Venom – Black Metal

(Andrea Romeo)

Sin dalla pubblicazione, 1º Novembre 1982, Black Metal suscitò entusiasmi pari alle critiche, risultando uno degli album più controversi della storia del rock estremo ma anche, a suo modo, uno di quei lavori che definire epocale è tutt’altro che fuori luogo. Geoff Barton che lo recensì su Sounds fu chiarissimo: “Un avvertimento ai possessori di impianti stereo costosi: questo lp non è stato inciso in uno studio di registrazione, ma messo insieme usando pezzi di vinile di scarto, nel retro di una stazione di servizio in disuso.” Poi chiuse l’articolo in modo lapidario: “Bruttezza epica, rumore anarchico, casino terrificante: questo album conferisce un nuovo significato al termine ‘cataclismico’ ed è, probabilmente, il disco più heavy che sia mai stato autorizzato per la vendita e per il consumo da parte del pubblico.Dante Bonutto, Kerrang!, parlò di: “un macello di dieci brani di alitosi eretica” chiosando con: “Questa è un’orgia sfrenata di peccato originale: correte a prendere l’aglio e tenetevelo stretto, perché i Venom non vogliono i vostri corpi, vogliono le vostre anime.

Pietra tombale, dunque, sulla seconda fatica di Conrad Thomas “Cronos” Lant, voce e basso, Jeffrey “Mantas” Dunn, chitarra, e Tony “Abaddon” Bray, ovvero i Venom, nati a Newcastle upon Tyne nel 1979 dalle ceneri dei Dwarfstar, ex-Album Graecum, di Lant, dei Guillotine di Dunn e Dave Rutherford, e degli Oberon di Bray, Clive Archer, primo cantante dei Venom ed Eric Cook, chitarrista, manager di Mantas agli inizi, e poi degli stessi Venom?

Per niente, tutt’altro: un album che definire grezzo, ruvido, anche approssimativo è quasi generoso, ma che diventerà nel tempo una sorta di caposaldo del metal estremo, al netto del fatto che molti critici, già all’epoca, si dichiararono stupiti che i tre “musicisti” britannici fossero realmente in grado di suonarlo…

Gli inizi furono davvero epici: giusto per capire l’andazzo, Lant si fece prestare il basso da un amico, lo inserì in un amplificatore per chitarra, con distorsori ed effetti vari e, da questo accrocchio, fuoriuscì un frastuono terrificante: era nato il sound del basso “bulldozer”. Il bel volume di Andrea Valentini, Venom – Metallo Nero (1979-1982), edito da Tsunami, è una vera miniera di episodi, vicende, aneddoti grotteschi, eccentrici, bislacchi, surreali, che hanno contribuito a creare la leggenda di questa band.

Nel Dicembre del 1981 esce Welcome to Hell, registrato in tre giorni negli Impulse Studios, totalmente lo-fi e quindi dal suono anarchico, rozzo, di bassissima qualità, ma che fu di ispirazione per molti gruppi metal norvegesi che lo considerarono potente, e tecnicamente basilare per l’affermazione del genere black metal; sempre Barton affermò che aveva “le dinamiche hi-fi di una pizza di cinquant’anni”…

Cronos stesso racconta: “Rimasero sorpresi dalle vendite molto buone del singolo e mi chiesero se avevamo delle altre canzoni pronte. Risposi che ne avevamo in quantità, e quindi mi dissero che potevamo registrare tutto il materiale che avevamo, così loro l’avrebbero ascoltato. Tornammo in studio e buttammo giù quello che per noi era solo un mucchio di versioni demo dei nostri brani.

Eppure l’album fu, quasi senza volerlo, un vero successo, che fece il giro del mondo e spianò la strada al suo successore, uscito l’anno successivo, che consolidò la fama del gruppo e ne decretò lo status di band cult per i numerosi epigoni che avrebbero di lì a poco percorso le strade dello speed/thrash metal e del black metal.

Sempre Cronos, a proposito della produzione di Black Metal, è prodigo di dettagli: “C’era ormai abbastanza esperienza nel lavoro in studio per sapere esattamente che tipo di suono ci serviva, e poi non volevamo effetti sonori come quelli degli archivi della BBC; quindi, per scovare il rumore di una “trave d’acciaio trattata con una motosega” per Black Metal, portammo in studio una vera sega elettrica o, per Buried Alive, mettemmo dei microfoni in scatole di cartone e sabbia per riprodurre la sensazione di essere sepolti vivi.

Produzione sempre approssimativa, budget ovviamente bassissimo, tematiche sataniste, scenari da incubo, mitologia horror ma anche fantasie sessuali adolescenziali, il tutto realizzato con un approccio assolutamente minimale: come per il primo lavoro, ritmiche tirate via dritte, pochissimi assoli, tecnicismi ridotti al minimo (eufemismo), suoni pesanti ma che, rispetto all’esordio, guadagnano un minimo di nitidezza, pur restando abbondantemente al di sotto della media.

I titoli dei brani, che nella riedizione del 2002 diventano una ventina, sono lo specchio fedele dei testi: a Black Metal, To Hell and Back, Buried Alive, Raise the Dead, Teacher’s Pet, Leave Me in Hell, Sacrifice, Heaven’s on Fire, Countess Bathory, Don’t Burn the Witch ed At War with Satan (Preview), anteprima della lunga suite che troverà posto nell’album successivo, contenuti nell’album originale, vengono aggiunte Bursting Out, Black Metal (Radio1Session), Nightmare (Radio1Session), Too Loud for the Crowd (Radio1Session), Bloodlust (Radio1Session), Die Hard (12″ version), Acid Queen (12″ version), Bursting Out (12″ version) e Hound of Hell (outtake); durata media: tre minuti, perché i Venom vanno dritti al sodo, senza girarci intorno, emendandosi da quel marchio di fenomeni da baraccone che in molti avevano appiccicato loro addosso, prendendosi una rivincita che, sempre il leader Cronos, racconta così: “… lavoravo in studio come tecnico per gruppi come i White Spirit, i Fist e i Raven e tutti si credevano i più fighi. La maggior parte di quella gente l’ho fatta mettere sotto contratto io, perché facevo anche scouting: andavo nei club a sentire i gruppi locali, poi tornavo alla Neat e segnalavo quelli che meritavano di incidere un singolo o due per l’etichetta… quasi tutti erano solo dei tamarri provincialotti, dei palloni gonfiati e niente di più, ricevevano per la prima volta un po’ di attenzione e qualche rivista puntava su di loro e molti credevano, per questo, di essere autorizzati a trattare i Venom come merda…

Inutile dire che il tempo, non solo ha dato ragione ad una band che è tuttora in attività, ma ne ha fatto insieme Bathory, Celtic Frost, Hellhammer e Mercyful Fate, i padri fondatori della cosiddetta First Wave of Black Metal.

Non male, davvero, per un gruppo che pareva ineluttabilmente dover essere underdog, e che ha invece impresso il proprio nome a caratteri di fuoco sul libro del metal; la chiosa di Mantas è emblematica: “Ogni volta che ripenso a ciò che abbiamo fatto con Black Metal, resto stupefatto. Anche ora mi pare incredibile l’impatto che abbiamo avuto, quanto siamo stati influenti, e quanto continuiamo a esserlo…

(Neat Records, 1982)

Print Friendly, PDF & Email