L’opera-rock secondo i dettami dei Pretty Things: S.F. Sorrow

(Maurizio Galli)

Quest’oggi ci troviamo nel Kent, in Inghilterra, più o meno agli albori di quella che verrà ricordata come la British Invasion ovvero il movimento musicale della metà degli anni ’60 composto da gruppi britannici la cui popolarità si diffuse rapidamente negli Stati Uniti. E loro sono i Pretty Things, uno dei gruppi decisamente più creativi e pionieristici di quella nascente scena, ma ahimè anche uno dei meno fortunati.

Una band che fino a pochi mesi prima dell’uscita del loro quarto album, S.F. Sorrow veniva annoverata come la versione più acida e rude dei Rolling Stones e che, di punto in bianco nel 1968 si chiude negli studi di Abbey Road – quelli dei Beatles e del loro Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – e danno vita ad una vera e propria rivoluzione nel mondo della discografia: la prima opera-rock, precedendo tra l’altro di poco il capolavoro degli Who, Tommy.

L’idea del cantante della band, May, è assurda (per il periodo) e geniale al tempo stesso: partire da una storia per raccontare l’intera esistenza, dalla culla alla bara, del personaggio cardine della storia stessa. Dal punto di vista musicale il rythm’n’blues e il folk rock strizzano un occhio a Sgt. Pepper’s e l’altro all’acid rock d’oltreoceano, quello dei Grateful Dead per intenderci.



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