The Clash – Live at Shea Stadium

(Andrea Romeo)

Shea Stadium, New York, la casa dei New York Mets, arena già resa famosa dal leggendario concerto dei Beatles, datato 1965: il 12 e 13 Ottobre del 1982, durante un ormai storico tour condiviso con gli Who, i Clash registrano il loro secondo ed ultimo album dal vivo, pochi mesi dopo aver pubblicato Combat Rock, quinto album in studio, uscito il 14 Maggio, ed ultimo lavoro realizzato con la line-up storica del gruppo, poco prima dell’allontanamento di Mick Jones ed appena dopo la cacciata di Topper Headon, a causa della sua dipendenza dall’eroina.

Ci pensa Kosmo Vinyl, al secolo Mark C. Dunk, con la sua proverbiale energia: “Good evening New York City… We ain’t got no baseball!!! No baseball tonight. We ain’t got no football!!! They’re on strike. But what we’ve got is a little bit of what’s going on in London at the moment!!!” a scaldare e caricare una platea già comunque entusiasta e che, per la band nata a Londra nel 1976, era decisamente inusuale: abituati a suonare in club, teatri, palasport in grado di contenere al massimo 5/6.000 persone, e quindi in ambienti relativamente raccolti, in cui il rapporto con il pubblico, oltre che in decibel e sudore, si poteva calcolare letteralmente in metri, i Clash vengono catapultati davanti a ben 50.000 spettatori e, nonostante qualche incertezza palesata ad esempio in Police on my Back, portano comunque a casa un grande risultato.

Welcome to the Casbah Club!” esordisce Joe Strummer al microfono, dando il via a cinquanta minuti, tempo concesso loro come gruppo di apertura, in cui condenseranno quindici brani, tra i più significativi, un “best of” che chiuderà, di fatto, la loro esistenza come band: pubblicheranno ancora Cut the Crap nel 1986 ma, come affermò lo stesso Strummer: “La fine è cominciata il giorno in cui abbiamo fatto fuori Topper.

Va detto che in molti, malgrado il richiamo degli Who fosse ragionevolmente maggiore, arrivarono volutamente prima per non perdersi questo “opening act” che riuscì malgrado, o forse anche grazie al tempo limitato a disposizione, ad esprimere quella attitudine punk che li aveva resi celebri in patria.

Dietro ai tamburi torna il loro batterista originario, Terry Chimes, Mick Jones alla fine dello show è soddisfatto, e non immagina di essere estromesso dal gruppo circa un anno dopo a causa, questa fu la motivazione ufficiale, del suo “comportamento problematico e delle divergenze nelle aspettative musicali”; Joe Strummer e Paul Simonon invece, sono già di fatto due separati in casa, divisi da una differente visione della musica, dell’ambiente musicale, e di quello che viene definito lo star- system con cui, volenti o nolenti, a causa della loro fama si dovevano misurare.

Le parole del fotografo Bob Gruen, a proposito della fine dell’avventura giunta ufficialmente poco tempo dopo, sono illuminanti: “It was important for the band to be in touch with their fans but, at the Shea, the stage was high with a security zone that kept them right back. I was surprised when The Clash broke up, a few weeks later, but I understood why. They didn’t want to be so big that they couldn’t reach the people.

E difatti Live at Shea Stadium, nonostante l’eccellente qualità sonora dei nastri, riportati casualmente alla luce dallo stesso Joe Strummer anni dopo, mentre si preparava ad un trasloco,non è un album in cui apprezzare l’evoluzione musicale della band, oppure le finezze degli ultimi lavori: la scaletta è tiratissima, la band viaggia a rotta di collo, ad una velocità spesso clamorosamente superiore rispetto alle versioni in studio, non ci sono pause, l’aggressività strumentale e vocale esprimono l’urgenza di dire tutto, subito, in modo diretto, a prescindere dal fatto che il pubblico colga o meno i messaggi di cui i brani sono disseminati: anche il look da “urban guerilla”, con il quale i quattro si presentano sul palco, dice davvero molto sulla veemenza, dettata da tante e profonde motivazioni, messa in campo dalla band in questa occasione.

La scaletta è, come detto, di tutto rispetto, con London Calling, Police on My Back, The Guns of Brixton, Tommy Gun, The Magnificent Seven, Armagideon Time, The Magnificent Seven (Return), Rock the Casbah, Train in Vain, Career Opportunities, Spanish Bombs, Clampdown, English Civil War, Should I Stay or Should I Go, per chiudere con una corale I Fought the Law e fotografa, questo si, l’inizio della fine; ma la band esprime ancora tutta la propria onestà intellettuale rivelando una dignità, una fierezza rabbiosa, una tensione emotiva che gli “eventi da stadio” iniziavano già da allora a seppellire sotto una ritualità che diverrà, di lì a poco tempo, ripetitiva e persino noiosa; un successo che il New York Post, riferendosi a quella serata, sottolinea: “There were as many Clash fans on those nights as Who fans.

La vicenda musicale dei Clash si chiuse ufficialmente, dopo una serie di vicende anche personali abbastanza dolorose, nel 1986: Strummer, dopo essersi occupato a vario titolo di cinema, aver suonato con i B.A.D. ed accompagnato in concerto i Pogues, riunì un gruppo di musicisti formando la propria band, The Mescaleros; morirà a causa di un infarto il 22 Dicembre del 2002, appena cinquantenne.

Jones già nel 1984, appena dopo la sua controversa estromissione dai Clash, aveva fondato i Big Audio Dynamite, che sono attivi ancora oggi, mentre Simonon, dopo aver costituito gli Havana 3 a.m. realizzando un singolo album, si dedicò per diversi anni alla pittura, sua passione giovanile, esponendo tra l’altro in numerose gallerie londinesi e solo nel 2006 imbraccerà di nuovo il basso per entrare a far parte dei The Good, the Bad & the Queen, che realizzarono un solo album omonimo.

Headon, dopo essere transitato prima nei Fastway, nel 1982, poi nei B.A.D. l’anno successivo, ed essere stato estromesso da entrambe le band, convisse a lungo con i suoi problemi di tossicodipendenza, che lo allontanarono dal mondo della musica, e lavorò come tassista a Londra; solo nel 2004 riuscì a disintossicarsi completamente.

Muchas gracias, adios, adios!!!” sono le parole pronunciate da Strummer, alla fine dello show: un saluto, certo ma con il senno di poi anche un commiato definitivo.

(Epic Records, 2008)

Print Friendly, PDF & Email