Savatage – Streets-A Rock Opera

(Atlantic Records/Edel, 1991)

Due sono le date che, nel racconto della genesi di questo lavoro, saranno fondamentali: e la prima è il 1979 quando Paul O’Neill, produttore discografico, arrangiatore e compositore statunitense, elabora un testo ideato originariamente per trarne un musical a Broadway, in cui racconta la vicenda di un immaginario musicista, DT Jesus, spacciatore di droga e membro della malavita che domina le strade di New York City, narrandone l’ascesa, il successo, la caduta e la resurrezione; DT come de-tox, riferito a chi cerca di disintossicarsi, oppure a down town, la zona più “difficile” della città.

Il testo rimase in un cassetto di casa O’Neill per una dozzina d’anni finchè il chitarrista Criss Oliva chiese di utilizzarlo per creare un album: il caso volle che il fratello, Jon Oliva, cantante e tastierista, stesse vivendo una vicenda personale simile a quella del protagonista: i Savatage avevano la sceneggiatura perfetta per il loro nuovo lavoro.

Anno 1993, Zephyrhills, Florida, località situata a nord di Tampa: mentre Criss e sua moglie Dawn percorrono la Higway 301 un camionista, poi rivelatosi ubriaco, occupa contromano la carreggiata colpendoli in pieno: la donna rimane gravemente ferita e non si riprenderà mai del tutto dall’incidente, ma per il musicista di Pompton Plains non ci fu proprio nulla da fare: di fatto, per i Savatage, l’inizio di una lenta fine.

All’interno di questo arco temporale si pone la non semplice gestazione di Streets-A Rock Opera, l’ultimo album in cui i fratelli Oliva suonarono insieme e, probabilmente, il punto più alto della carriera della band nata in Florida con il nome di Metropolis nel 1975; cinque album tra il 1983 ed il 1989, poi un lungo lavoro per realizzare quello che avrebbe dovuto chiamarsi Ghost in the Ruins; insieme a loro, oltre al produttore e scrittore Paul O’Neill, Johnny Lee Middleton al basso ed alla voce, Steve Wacholz alla batteria, oltre ad alcuni collaboratori quali Bob Kinkel alle tastiere, John Zahner, chitarra, tastiere e voce, ed Abi Reid, voce femminile.

L’album, che diverrà il masterpiece della band, è un lavoro in un certo senso anomalo perché i quattro, dopo anni di metal veloce e roccioso, di riff e di ritmiche serrate decidono, forse proprio a causa del testo cha avevano sottomano, di cambiare registro: per narrare la storia di questa rockstar immaginaria, rimasta letteralmente “per strada” a causa delle sue dipendenze, per descrivere i suoi stati d’animo occorreva lavorare sui testi, prima ancora che sulla musica, ed occorreva farlo con un’attenzione ed una meticolosità che il metal, e la sua perenne smania di velocità, a volte non permettono proprio: Streets-A Rock Opera è un lavoro che, durante l’ascolto, va analizzato ed assorbito in profondità, perché molto distante dagli stilemi del genere.

Dodici le tracce, alcune delle quali sono brani legati insieme, oltre ad una outtake acustica, Desirèe, rimasta fuori dall’album ed inclusa nella ristampa del 1997, affidata alla voce di Zachary Stevens che, dal 1993, avrebbe preso il posto di Jon Oliva.

La contorta vicenda di DT Jesus, personaggio immaginario nel quale Jon Oliva si immedesima in modo terribilmente convincente, si dipana in un viaggio che attraversa i suoi pensieri, più che i fatti che lo vedono protagonista, in positivo o, più spesso, in negativo: la New York tetra e minacciosa di Streets, il fallimento di Jesus Saves, la caduta verticale di Tonight He Grins Again, lo straniamento doloroso di Strange Reality… la chitarra di Criss Oliva dipinge scenari eterogenei ed intensi grazie a tecnica e creatività notevoli, il duo Middleton/ Wacholz ricrea atmosfere plumbee e tetre mentre Jon Oliva si sdoppia: da una parte tastiere sinfoniche, dall’altra un cantato ruvido, graffiante, che esprime rabbia, disperazione, delusione, desiderio di rivalsa.

A Little Too Far, piano e voce, è il momento della riflessione su passato e presente, You’re Alive quello della rinascita, Sammy and Tex il colpo di grazia (Tex è il tour manager di DT, Sammy uno spacciatore con cui ha debiti, che si presenta alla fine di uno show uccidendo Tex) che rischia di distruggere tutto, St. Patrick’s la frustrazione cui segue l’inevitabile domanda sul se, e come, il divino si occupi degli umani.

L’album offre una notevole varietà di strutture armoniche e rappresenta un deciso avvicinamento ad atmosfere prog, per quanto riguarda la stesura dei testi e l’aspetto strumentale in cui anche i riff più pesanti vengono inseriti in un contesto che guarda più al senso della narrazione che non ad un discorso più strettamente ritmico.

Can You Hear Me Now racconta la disperazione di chi aveva perso tutto, era riuscito a riemergere ma veniva ricacciato verso il fondo, senza ottenere aiuto, New York City Don’t Mean Nothing è l’atto d’accusa verso una città capace di creare, ma anche di distruggere i sogni, ben rappresentata dal verso: “…New York City don’t mean nothing, just a good place when you’re running…”, un inferno oscuro che diventa desolazione con Ghost In The Ruins, brano che diverrà imprescindibile per la band.

Il finale di questo percorso così accidentato ed irto di spigoli inizia con If I Go Away, la domanda di chi, rifiutato, riflette su cosa accadrebbe se dovesse scomparire, e su quali tracce lascerebbe dietro di sé, prosegue con Agony and Ecstasy, ispirata ai Judas Priest dei primi eighties, attimo di illusoria pace determinato dalle sostanze mentre Heal My Soul è la dichiarazione di resa in cui la stanchezza del vivere prende il sopravvento, prima di un finale decisamente epico: Somewhere In Time è, contemporaneamente, ammissione delle proprie debolezze e richiesta di aiuto verso Jesus (quello vero…), Believe è l’incontro finale tra i due Jesus, una sorta di epifania in cui il divino e l’estremamente terreno si incontrano e si comprendono, portando con sé la consapevolezza dell’oscurità e la speranza di redenzione.

Succede che una band, nell’arco di una carriera, colga l’attimo in cui combinare al meglio songwriting, doti espressive e capacità tecniche ed i Savatage, con Streets-A Rock Opera, sono riusciti a confezionare il loro masterpiece: non un lavoro “leggero”, certo, ma un album denso, ricco, in cui trasmettono sensazioni, comunicano sentimenti, esprimono emozioni, e lo fanno davvero ad alti livelli ed in modo credibile.

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