La ricerca della felicità: Incontro a cuore aperto tra arte e vita

CARLO OZZELLA – EFFETTO NOTTE

Carlo Ozzella è tornato. Dopo gli EP “Aspettando qualcosa” (recensito su Musicalmind a novembre 2021) e “Fogli sparsi” (2019) ritorna con un nuovo disco “effetto notte” composto da nove brani inediti e dalla rivisitazione (in chiave musicale) del brano “La pioggia col sole” pubblicato nel già citato EP del 2021. Sono passati, invece, ben sei anni dall’ultimo disco “Demoni” uscito nel 2017 e, come dice lo stesso Ozzella: “C’è un’esigenza di liberazione, di far sapere su che cosa ho sbattuto la testa in tutto questo arco di tempo. È stata strana la gestazione di questo album, delle canzoni, passata attraverso la pandemia che ha creato stravolgimenti, lunghi e inattesi periodi di pausa, difficoltà non previste”. Questo disco, quindi, è la naturale prosecuzione di “Aspettando qualcosa” (nato anch’esso a ridosso di quel periodo) anche se, rispetto ad esso, è sostanzialmente cambiata l’impostazione musicale che è passata dalla forma “dolce” delle ballate alle sonorità più tipicamente rock (e la rivisitazione, appunto, di “La pioggia col sole” ne è la chiara testimonianza).

Non è venuta sicuramente meno, in questo disco, la volontà e la capacità di mettere al centro i sentimenti che rappresentano sempre la strada da percorrere senza cercare scorciatoie o vie di fuga. Amori tormentati, storie di solitudine, la perenne lotta tra il buio e la luce. Questa lotta è ben raffigurata nella foto di copertina dove c’è la persona “messa a nudo”, senza protezione, con quelle mani che coprono il viso quasi a fermare, a frenare, i pensieri per non esserne travolti. In questo contesto ecco la provocazione che Ozzella non nasconde, anzi, che dichiara apertamente: “Questo è un disco che ha come tema principale la ricerca della felicità!”. Ecco, la bomba è stata sganciata perché il tema della felicità è così ardito da sembrare quasi folle; ambiziosa e immensa sfida da rivolgere a sé stessi, al proprio io, alla propria anima. Davanti a cotanto coraggio ho pensato che il modo migliore per raccontare questo disco sia quello di “leggerlo dal di dentro”, tenendo ben chiara questa prospettiva in un percorso “comune”, a tu per tu con lo stesso Ozzella. Quella che leggerete, quindi, è una recensione “a cuore aperto”, una recensione che va al di là della semplice “analisi” di un disco. Naturalmente questa è stata anche l’occasione per conoscere, e far conoscere di più, questo artista che ama il rock e la canzone d’autore e che cerca sempre di trovare il giusto punto d’intesa tra queste due forme espressive. 

Di seguito, quindi, il resoconto di una chiacchierata idealmente fatta in un’antica osteria di Bologna, immaginando e rivivendo le atmosfere così ben descritte in quella “Canzone delle osterie di fuori porta” (di gucciniana memoria) che rappresenta la scena tipica in cui si “mette a nudo” la creatività unita alla sincerità, all’amicizia, alla semplicità, alla gioia di una condivisione.

Per Carlo Ozzella, chi è Carlo Ozzella?

Un equilibrista. Se arriva alla fine del percorso e compie il suo numero, se raggiunge il suo obiettivo, ha fatto qualcosa di molto bello, difficile ma anche tanto affascinante. Se cade, può farsi molto male.

Per molti tuoi fans, il nome di Carlo Ozzella rimane profondamente legato a “Notturno” (canzone inclusa nel primo album “Il lato sbagliato della strada”). Cosa rappresenta ancora oggi, per te, questa canzone?

Ci sono affezionato perché racconta ancora tanto di me. Il mio lato malinconico, solitario, sognante. Le domande che non mi lasciano mai, i miei dubbi. E in effetti è una delle pochissime vecchie canzoni che ancora oggi suoniamo dal vivo.

Questo tuo nuovo lavoro, “effetto notte”, è un altro tassello di un mosaico che stai costruendo, ormai, da molti anni. Come definiresti questo tassello?

Una chiave di (s)volta. In un ideale percorso a tappe, costituito dai dischi pubblicati negli anni, in cui ho cercato sempre di più di distanziarmi dai miei modelli di formazione e di cercare nello stesso tempo la mia voce e il mio suono, credo questo sia il primo lavoro in cui sono stato completamente me stesso, in cui le influenze e le passioni mie e della band sono stati come ingredienti ma utili a creare qualcosa di totalmente nostro, libero, che non volesse necessariamente richiamare qualcos’altro.

Nella realizzazione di questo disco (produzione, grafica, foto e anche alcuni musicisti) ti sei avvalso della collaborazione di nuove persone rispetto ai lavori precedenti. Cosa ha motivato questa tua scelta?

Avevamo fin da subito l’idea che questo disco dovesse segnare una nuova, piccola svolta, rispetto ai lavori precedenti. E come sempre succede in ambito artistico è lo scambio di esperienze, l’apertura al nuovo che ti porta a fare dei passi avanti e a crescere. La novità più significativa è stata quella di avvalerci di un produttore, Gianluca Morelli, a differenza del passato dove le scelte artistiche, sonore, erano state tutte nostre. Ci siamo accorti ad un tratto che quel modo di procedere era un limite, che per far sì che le canzoni esprimessero al meglio le loro potenzialità avevamo bisogno di un professionista in grado di dar loro la veste più giusta. Conoscevo Gianluca per l’eccellente lavoro fatto con il mio amico Lorenzo Semprini sul suo disco “44”, ci siamo parlati, ci siamo capiti…e ci siamo messi al lavoro!

Facciamo alcuni passi indietro e proviamo a ricostruire il tuo percorso artistico. Ho scelto di impostare questo percorso cercando di “leggere” le copertine dei tuoi dischi. La prima parte, rappresenta il viaggio propriamente detto: il binario del “Lato sbagliato della strada” e l’automobile di “Storie della fine di un’estate”, quindi una prospettiva di larghe vedute (spazi aperti, orizzonti di libertà). Poi c’è una seconda parte, dall’EP “Fogli sparsi” a “Demoni”, dove l’impressione che si ha è quella di un netto cambio di prospettiva. Tu sei al centro dell’immagine, oserei dire al centro del tuo mondo interiore… Tu che lettura ne fai?

Al di là di un certo immaginario “made in U.S.A.” a cui ero molto legato e che si rifletteva nelle copertine dei dischi, indubbiamente in quei primi lavori c’era una sorta di grande vocazione al sogno, alla libertà che il rock rappresenta, al futuro ancora da scrivere. Passando il tempo, maturando, ho iniziato a guardare molto di più dentro di me e alla vita quotidiana che conduco. Credo che il tutto abbia anche molto a che fare con un progressivo abbandonare certi “sogni di rock & roll”, a favore di un più autentico spirito realistico ma non meno appassionato. Raccontare qualcosa di più vicino, di molto diretto, esprimere nelle canzoni qualcosa di così vissuto, ha reso più significativo per me continuare a scriverle.

Sempre guardando la copertina, il tuo precedente lavoro “Aspettando qualcosa” (uscito nel 2021 solo in versione digitale) era caratterizzato da un pronunciato chiaroscuro con la luce di un faro ad illuminare un punto di un buio palcoscenico. Oggi quel palcoscenico ha trovato una piena luce?

Nel nuovo disco ho utilizzato ancora la metafora della notte e del giorno per raccontare una condizione esistenziale e uno dei pezzi-chiave dal punto di vista tematico, che parla della ricerca della felicità, ritengo sia “Buio”, quindi…no, direi di no.

Anche nell’immagine di copertina di “effetto notte” prevale una sorta di buio anche se, questa volta, ci sei tu in prima persona ad occupare la scena con la forza espressiva del tuo corpo. Si può dire che è una dimostrazione di forza inserita in un contesto di debolezza interiore?

Nonostante queste canzoni raccontino tanto di un vissuto “interiore”, contengano tanti pensieri, tuttavia ho avuto sempre chiara l’idea che questo non sarebbe stato un disco riflessivo. Volevo che i sentimenti espressi uscissero fuori e venissero raccontati con forza, con una fisicità e una visceralità che ritrovi nel sound e che è poi anche quella espressa dalla foto di copertina in cui a mio avviso però c’è anche un’idea di vulnerabilità.

Sono passati ormai più di dieci anni dal tuo primo lavoro (l’EP “Dove comincia la notte” del 2011). Da allora ad oggi c’è stato un periodo, o un particolare momento, che ha determinato uno spartiacque tra un prima e un dopo?

Sì e coincide con una canzone. Quando a fine 2016 ho scritto e registrato una versione chitarra elettrica e voce di “Non sarai sola mai”. È stato il mio primo passo verso un nuovo modo di scrivere, di intendere le canzoni, anche verso una nuova sonorità.

Il tuo modo di scrivere è prevalentemente caratterizzato dal mettere la persona, con i suoi sentimenti, il suo stato d’animo, decisamente in primo piano rispetto agli eventi. L’interiorità dei sentimenti va sempre anteposta alle ideologie o alle passioni?

No, non necessariamente. Personalmente non le trovo neanche due realtà così distanti. Di qualunque tematica si scrive, lo si fa perché dietro ci sono sentimenti forti che ti guidano, che ti appassionano, è la storia che vuoi raccontare in quel momento.

Non puoi capire chi sei fino a quando non resti da solo” hai scritto in “L’ultima corsa” (dall’album “Demoni”). Hai dei momenti in cui riesci a rimanere solo con te stesso, con il tuo io più profondo?

Ricerco molto la solitudine, è una condizione che mi piace e in cui esploro più che posso, forse metto anche alla prova, cosa c’è dentro di me, in profondità. È anche la situazione in cui riesco a scrivere meglio, a leggere, a pensare, in cui lascio più libere certe mie emozioni, in pubblico sono più “controllato”. E alla solitudine associo spesso la ricerca del silenzio (che detto da chi poi sta tra chitarre elettriche e batterie sul palco fa strano lo so, eppure…).

Tu, Carlo, sei una persona “normale”, nel senso che hai una famiglia, un lavoro e, spesso, le tue giornate rappresentano la normalità di molti di noi. La figura del rocker, però, è spesso associata al “bello e dannato”. In te c’è questo lato nascosto e, se presente, approfitti delle tue canzoni per portarlo alla luce?

Per tanti anni ovviamente sono stato affascinato dall’immaginario che il rock si porta con sé, ho sognato di esserne parte, di esserne protagonista. E ho sentito forte la distanza tra quel mondo e quello della vita quotidiana. Le canzoni senz’altro sono un luogo dove puoi “vivere” tante altre vite e spesso le ho usate per far emergere aspetti meno “ordinari” di me. Ma con il tempo ho imparato anche ad accorciare quella distanza, a sentirmi bene nei miei panni, a sentirmi un musicista rock anche quando sono in ufficio, nel mio “daytime job”, anche senza essere bello e dannato.

Torniamo adesso a parlare più in dettaglio di “effetto notte” e della ricerca della felicità che ha ispirato questo lavoro. Adesso voglio fare con te “un gioco” che potrebbe sembrare un po’ crudele ma che mira a inquadrare questo tuo lavoro proprio nella prospettiva della felicità applicata ad ogni singolo brano. Ho, per questo, associato ad ognuno di essi il tema della felicità cercando di inquadrarlo da più posizioni. 

WHITEOUT

“Non sei mai, non sei mai al centro dell’immagine” è l’inizio del viaggio alla ricerca della felicità, di un’immagine, appunto, che possa illuminare il percorso verso la conoscenza di sé dopo “il buio e la vertigine” che favoriscono la fuga (“abbandonarsi è un solo istante”). “Chi capirà com’è che stai se non racconti mai chi sei?”. La ricerca inizia dal proprio io, da quella parte di sé dalla quale non si riesce, non si può, fuggire. In questo brano ci sono molti punti di domanda, molti interrogativi, che sottintendono un bisogno di chiarezza.

La felicità è un mistero, un enigma? 

Lo è fino a che la percepisci come qualcosa di inafferrabile, di distante. Quando ho scritto questa canzone avevo in mente l’immagine del whiteout in montagna, quella condizione piuttosto difficile e pericolosa in cui a causa dei venti e della nebbia causata da nuvole basse non si distingue più il suolo già innevato dal resto del paesaggio, è semplicemente tutto bianco e sei completamente disorientato e senza punti di riferimento. In questa condizione cercare una salvezza è davvero un enigma.

LA PIOGGIA COL SOLE

“Ma se possiamo vivere una vita soltanto cosa stiamo aspettando a fare un passo com’è che siamo soli e quasi sembra normale, proprio come l’inganno della pioggia col sole”. L’attesa di un qualcosa che possa dare un senso alla vita di ogni giorno. Un qualcosa che sia vero, non un’illusione, non un inganno, appunto, come la pioggia col sole: “Dovresti credere a chi dice di amarti, c’è una luce perfetta che attraversa gli sguardi”. Ed è proprio l’amore la grande verità e, allo stesso tempo, il grande mistero della vita quel “filo sottile tra passione e follia”. 

Ci può essere felicità senza amore? 

Io credo di no. L’amore può avere diverse declinazioni, può essere rivolto e può giungere da tante direzioni. Ma non può mancare in una vita felice.

INCENSO

“L’attesa è un’emergenza, un uragano che sta arrivando, sulla porta è già troppo tardi, mi sfiori gli occhi, ti sto spogliando. Ora i vestiti che abbiamo addosso sono di meno di quelli a terra, è cominciata come una danza e adesso esplode come una guerra”. Questo incipit letterario unito a quello musicale (con le chitarre spinte ad alta velocità) rivela un’intensa e quasi disperata storia di un rapporto che si può riassumere in quella “attrazione tra noi” che può essere letta anche come una vera e propria attrazione fatale. Tu dai una visione chiara, esplicita, di ciò che sta succedendo in questo incontro (“ti ritrovo sopra al mio petto…carezze e fuoco su questo letto…il tuo respiro che sta ansimando”) ma poi, tra le righe, c’è quel “non credere che sia tutto qui” che può rappresentare la rivendicazione di un’anima nascosta o, forse, schiacciata. 

La felicità deve sempre avere un’anima?

Per come sono fatto io, la felicità passa da lì, è sempre qualcosa di interiore, di profondo, di significativo. Ammetto che non debba essere necessariamente così, però io principalmente la considero una condizione dell’anima.

FINO A VEDERTI RIDERE

“La solitudine, lo sai, a volte è come un grido, a volte invece brucia come un’esigenza…….Ci vuole buona compagnia per ritrovarsi in una stanza e stare bene ad occhi chiusi mentre fuori piove.” La solitudine può essere una scelta mentre lo stare “bene insieme” dipende esclusivamente dalla “buona compagnia” che si riesce a creare intorno a sé. Una buona compagnia è, sicuramente, quella di un amico/a che ci accompagna nel cammino tra luci e ombre: “Ci sono stelle intorno a noi……Ma fino a che potrò riparerò le crepe, senza nasconderti le mie……E fino a che potrò camminerò al tuo fianco, fino a vederti ridere”.

L’amicizia può avere la capacità di generare felicità?

Assolutamente sì. È un valore a cui do tanta importanza, fondamentale. E non solo può generarla, può moltiplicarla.

BUIO

“Ho una benda sul mio volto, non si sogna ad occhi aperti” è la ricerca di un buio che apra alla speranza in contrapposizione a quel buio che “ha spento ogni luce”. Ancora nuove domande nascono per capire come mai “da troppo tempo inciampo nel disordine che ho dentro”. La risposta non arriva perché “non si dimentica mai” ma la felicità può racchiudersi in un abbraccio anche se “trovarsi (o ritrovarsi) fa paura”.

Il passato può essere un ostacolo definitivo per una felicità futura?

Il passato ha delle conseguenze su ciò che siamo, su come stiamo, e in qualche caso sì, può essere un ostacolo, quando non ci siamo liberati di alcuni pesi, di alcuni traumi, di alcune mancanze. Può anche essere motivo di slancio però, uno stimolo e uno specchio in cui rivedersi e con cui confrontarsi, per trovare fiducia, capire cosa sei stato in grado di costruire.

VIVERE A METÀ

“A pochi passi dalla fine……..È così forte questa angoscia di non conoscere la strada che mi ha portato fino a qui, non riconosco più il mio volto, non riconosco le mie scelte……..”. Parole che esprimono, ancora, tanto buio e una disperata ricerca di “un’alba che pulisca il cuore”, una ricerca che sembra poter avvenire solo se si è soli “per andarmene senza ferire”. Ma la solitudine diventa, a sua volta, sofferenza perché “non so vivere a metà”. 

La felicità può fare a meno della pace interiore? 

Conosco tante persone, tanti artisti anche, che nell’irrequietezza, nell’inquietudine, trovano la loro dimensione ideale di vita e quindi anche la loro felicità. Io ammetto che faccio più fatica ad immaginare una condizione di benessere che sia disgiunta da una certa serenità interiore, da una pace con sé stessi e con i propri desideri.

DA QUI A QUANDO È TARDI

“Un uomo da solo che parla col mare…….Lei passa leggera guardando lontano…….Ed è un pensiero che dà i brividi, quello di amarsi senza aversi accanto”. Un lui e una lei si incrociano creando una vicinanza fisica ma in un contesto di lontananza. La vicinanza genera il  ricordo di una felicità perduta e un desiderio, forte, di ritrovarla: “…..abbracciami e fammi credere che da qui a quando è tardi avrai voglia di me…….sceglimi ancora e promettimi che da qui a quando è tardi avrai voglia di me”. Forse, c’è ancora tempo per ritrovare la felicità: “da qui a quando è tardi”. 

Il tempo può uccidere la felicità?

Non credo possa farlo il tempo. Possiamo farlo noi se non usiamo bene il tempo che ci viene messo a disposizione.

QUANDO TU VAI VIA

“Gli occhi sanno sempre cosa hai dentro, non nascondono la verità, niente che non sia una stella nel cielo può far luce nell’oscurità”. La storia è ancora una storia di lontananza e di solitudine: “Quando tu vai via provo una vertigine……abito i miei giorni in una stanza d’albergo……il vuoto mi trascina più giù” ma, alla fine, c’è un tentativo di ritrovare la verità: “…e ancora cerco di raggiungerti con parole che non sai fino a che non tornerai da me”.

Verità e felicità sono difficili da coniugare tra loro?

Sono difficili magari da fare incontrare, sai quelle frasi, “la verità fa male”, la “verità può far male”… Ma in realtà la vera felicità per me deve coincidere con la verità, con l’autenticità, altrimenti è incompleta.

PAROLE PER SALVARMI

”Sotto quale luna nuova posso scrivere davvero? Sono perso, sono altrove, sono un universo intero”. L’anima non sa più quale strada percorrere, l’artista e/o l’uomo stanno vagando alla ricerca di una nuova luce. La solitudine fa paura ed allora: “Ho ascoltato attorno a me parole per salvarmi” e, forse, “c’è un’occasione nuova, un’altra melodia……le luci accese in fondo ad una galleria”. Le luci possono essere due piccoli punti accesi nella notte: “Ho guardato nei tuoi occhi, so che forse puoi capirmi, tutto capita in un lampo al momento giusto per stupirti”. 

La felicità è sempre un percorso da condividere con qualcuno?

Ricordo la frase celebre, scritta da Christopher McCandless, autore di “Into the Wild”: “la felicità è reale solo se condivisa”. Naturalmente mi affascina, la condivido, ma ci ho anche tanto pensato su. Forse, e questo non sminuisce la bellezza della condivisione, ma anzi la rafforza, si potrebbe dire che la felicità è molto più grande se condivisa.

NON DIMENTICARTI INDIETRO

“Non dimenticarti, non lasciarti indietro”, rappresenta l’esortazione a non rinnegare sé stessi (in un dialogo che avviene in terza persona ma che, fondamentalmente, è rivolto al proprio io) nonostante “quei muri a pezzi e intorno cenere”. Essere consapevoli che “per ritrovarsi serve perdersi” può essere lo stimolo per una ripartenza perché: “La sveglia è pronta ma non serve mai, conosci l’alba e i brividi che dà……”.

La felicità deve essere l’unico obiettivo di una rinascita?

Rialzarsi, vivere a pieno la propria vita, inseguire i propri obiettivi, trovare sé stessi, questa è una bella rinascita. La felicità non è l’obiettivo, ma può essere una splendida conseguenza.

A questo punto non mi resta che ringraziarti per la disponibilità e la cortesia e augurare buon ascolto a chi vorrà dedicare del (buon) tempo all’ascolto di questo, ottimo, disco. 

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