No-Man – Flowermouth

Nel 1994 Steven Wilson aveva solo ventisette anni, e già una notevole carriera dietro le spalle: dopo aver iniziato a suonare sin da quand’era adolescente, aveva prodotto diversi demo con due tra i suoi primi gruppi, gli Altamont ed i Karma, aveva fondato i Porcupine Tree nel 1987, ma a quel tempo aveva già conosciuto, all’incirca un anno prima, colui che negli anni a venire sarebbe diventato uno dei suoi partner artistici più importanti, ovvero il cantante di Warrington Tim Bowness.

Il progetto No-Man aveva iniziato da subito a prendere forma, ma si sarebbe effettivamente concretizzato soltanto sei anni dopo grazie all’album di debutto, Loveblows & Lovecries – A Confession che diede modo al duo, coadiuvato da Ben Coleman al violino, e da un piccolo gruppo di collaboratori, ovvero i tre ex-Japan Richard BarbieriSteve Jensen e Mick Karn, tastiere, electronic drums e basso fretless, oltre a Richard Felix al violoncello, di presentare un lavoro che si muoveva tra l’art-rock ed il synth-pop, qualcosa di decisamente differente, soprattutto da quelle che erano state sino ad allora le influenze musicali dichiarate apertamente da Wilson; il progetto No-Man Is An Island (Except The Isle of Man), denominazione originaria, palesava già una delle caratteristiche che Wilson avrebbe successivamente sviluppato negli anni a seguire, ovvero il fatto di abbandonare, o comunque mettere da parte improvvisamente, un determinato percorso, per intraprenderne un altro, del tutto differente, incurante di critiche, obiezioni o giudizi esterni di qualsiasi sorta.

L’album venne portato in tour con la collaborazione di Silas Maitland al basso e di Chris Maitlandalla batteria, presenza quest’ultima assai rilevante perché il batterista, insieme a Barbieri, entrerà poco dopo nei Porcupine Tree con il bassista Colin Edwin.

L’album chiave dei No-Man tuttavia, quello forse più ambizioso e che, oltre a definirne lo stile, entrerà nel cuore dei fans per i quali è ancora oggi il lavoro decisivo, è però il secondo, Flowermouth, registrato tra Settembre e Dicembre del 1993 e pubblicato all’inizio dell’anno successivo: insieme a Wilson, Bowness, Coleman, Barbieri, Jensen, ed ai due Maitland, ospiti di riguardo come Ian Carr alla tromba, Mel Collins al sax soprano, Robert Fripp, chitarre e frippertronics e Lisa Gerrard alle voci.

La presenza di una componente fortemente prog, legata in vario modo ai King Crimson ed ai Porcupine Tree, e di un’altra decisamente new-wave, e strettamente connessa ai Japan, dà subito l’idea dell’ecletticità di questo lavoro, costituito da nove tracce che vanno a rappresentare un universo sonoro a sé stante, leggero se vogliamo, da un certo punto di vista, ma contemporaneamente variegato, ricco di suggestioni, compositive e sonore che, seppur immediatamente percepibili ed assimilabili, rivelano nel tempo trame molto più complesse rispetto all’apparenza.

Flowermouth è tanto accessibile quanto composito, apparente incongruenza che si risolve già con l’ascolto del brano che apre il lavoro, Angel Gets Caught In The Beauty Trap: pianoforte e sintetizzatori che lavorano su piani differenti, insieme agli “aggeggi” elettronici di Fripp, la voce di Bowness che spesso è poco più di un sussurro, il violino che regala profondità, i fiati di Carr e Collins che, ad un certo punto, aprono squarci improvvisi, il tutto all’interno di un contesto assolutamente ed inequivocabilmente art-pop, di altissima classe e dalle molteplici sfaccettature.

Il ritmo, che nel brano di apertura era rappresentato fondamentalmente dal pattern ostinato di pianoforte, in You Grow More Beautiful è invece condotto da un mix di percussioni e chitarre elettriche decisamente più aggressivo, quasi funk, ed in odore di new wave, grazie anche ad una linea di basso presente, dinamica e carica di groove, per un pezzo che ad un certo punto si “svuota” per ripartire con suoni acidi e taglienti.

Tutt’altra atmosfera in Animal Ghost, dall’intro decisamente “gabrieliana” che subito scivola in un synth-pop atmosferico, che si muove all’interno di uno spazio dilatato, tra sensazioni e percezioni avvolte nel mistero, illuminate infine da un flauto solare e quasi bucolico, differentemente dalla successiva Soft Shoulders, di tratti urban-pop e con il basso a dettare la linea melodica grazie ad un giro avvolgente e sicuramente attraente: la mano di Wilson si sente, e molto, soprattutto nella miscelazione dei suoni e nelle scelte degli arrangiamenti, che presentano aperture improvvise, quasi orchestrali, seguite da passaggi essenziali, minimali quando non addirittura scarni.

Shell of a Fighter è, probabilmente, il brano che risente maggiormente della presenza dei Porcupine Tree all’interno dell’orbita dei No-Man, ed in cui anche la vena compositiva di Wilson appare più presente e riconoscibile: il sottile senso di malinconia che lo pervade, lo si ritroverà, appena pochi anni dopo, in buona parte dei lavori solisti del musicista londinese il quale mette la propria firma inconfondibile anche su Teardrop Fall, che non solo richiama le inequivocabili influenze new wave, ma rimanda anche alla fascinazione di Wilson nei confronti dello space-rock.

A questo punto l’intero lavoro sembra quasi implodere, richiudendosi in sé stesso, perché Watching Over Me, più che un brano, è una sorta di rito, personale, privato, scandito da una ritmica che assomiglia ad un mantra, ipnotico ed avvolgente, e punteggiato da una chitarra suonata in punta di dita, poi, d’improvviso, un altro guizzo che lancia il duo in una sorta di trip psichedelico: chitarre distorte, voce lancinante, basso e batteria ossessivi, sono gli elementi che fanno di Simple un brano dolente, che trasmette sofferenza e che cresce lentamente, tra riff acidi e accordi ostinati e ruvidi.

Si chiude questa sorta di viaggio interiore in chiave pop con Things Change, la quiete dopo una tempesta emotiva che i No-Man hanno acceso, e lasciato scatenare, senza tuttavia perderne mai il controllo: Flowermouth è un album che, nella sua caleidoscopica varietà di suoni e di stili, mantiene una coerenza sonora ed una coesione tematica assolute, trasportando l’ascoltatore nei meandri dell’io, tenendolo per mano e non facendolo mai sentire solo durante un viaggio immaginifico, ma nel contempo estremamente concreto e reale.

(3rd Stone Records, 1994)

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