Billy Cobham – Tales from the Skeleton Coast

(Andrea Romeo – 25 febbraio 2020)

La Skeleton Coast, letteralmente “costa degli scheletri”, è una zona della costa atlantica della Namibia settentrionale, compresa fra le foci dei fiumi Cunene e Swakop, nota tra l’altro per essere particolarmente inospitale e non semplice neppure da raggiungere.
Un luogo difficile, dunque, in cui è possibile però osservare centinaia di relitti, appartenenti a navi di differenti epoche, ormai di fatto inglobati nelle dune sabbiose.
Uno spettacolo terribile, per certi versi, ma dall’indubbio fascino, e che induce a riflettere sulle idee di viaggio, di percorso, e di destinazione che, della vita, sono elementi non certo secondari.

Insieme a Jean Marie Ecoy, guitar, Michael Mondesir, bass, Cristophe Gravero, keyboards, violin, Camelia Ben Naceur, keyboards, cui si sono aggiunti, fra gli altri, ospiti del calibro di Gary Husband, piano, Joel Almeida, vocals, Jean-Michel Carbonnel, acoustic bass, Carl Orr, acoustic guitar, Kevin Reverand, bass, Marco Lobo, latin percussions, e Wilbert Jr. Gill, steel-pan, quella sorta di guru della batteria che risponde al nome di Billy Cobham ha realizzato questo Tales from the Skeleton Coast, un album che, non soltanto parla di viaggi, ma che è esso stesso un viaggio, fisico ed interiore.

Sulle doti tecniche, artistiche, sulla poliedricità e sulla adattabilità di Cobham alle diverse situazioni musicali incontrate, si potrebbero scrivere libri interi, e la carriera, ormai ultra cinquantennale, del batterista panamense, parla per lui più di qualsiasi altra parola.

Ma, in questo lavoro, il batterista più conosciuto ed ammirato, quello che stupiva, e stupisce ancora, grazie ad una maestria e ad una potenza difficilmente eguagliabili, decide consapevolmente di fare un passo indietro, concependo un album in cui le sue digressioni da virtuoso sono davvero minime, e neppure troppo evidenti, e questo proprio perché l’idea di fondo è quella di una musica di insieme, nella quale assorbire dai compagni di viaggio, sensazioni e suggestioni da poter poi scambiare con le proprie.

Il batterista che contribuì a fondare la Mahavishnu Orchestra insieme a John McLaughlin, incontrato poco prima alla corte di Miles Davis, che realizzò un album epocale come Spectrum, in cui lanciò nel firmamento chitarristico la meteora Tommy Bolin, che suonò nel leggendario School Days di Stanley Clarke, che, nel 1988, venne contattato da Peter Gabriel per la colonna sonora del film L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, e che ha collaborato con decine di artisti di altissimo livello, ribalta ora il proprio approccio verso la musica e, da creatore e motore delle esperienze in cui viene coinvolto, si affida invece ai suoi nuovi, giovani, compagni di viaggio, lasciando loro spazio, iniziativa e possibilità di esprimersi, quasi fosse una sorta di “padre” che si diverte a vedere in quale luogo, in questo caso musicale, i suoi giovani rampolli decideranno di condurlo.

Tanta umiltà, certo, ma anche un certo acume nell’intuire che, partendo dagli stimoli artistici derivanti da questa differente prospettiva, potranno indubbiamente nascere suggestioni e progetti nuovi, differenti ed inaspettati.

Un luogo davvero impervio, questa Skeleton Coast, ma evocativo e capace di suggestioni importanti: Billy Cobham vi ha condotto con autorevolezza la sua “ciurma”, ed ora lascia che i suoi ragazzi lo accompagnino nell’esplorazione, ben conscio del fatto che, altri viaggi, verso luoghi ed attraverso percorsi, magari differenti, si profilano già all’orizzonte.

(BMG/Rhythmatix, 2012)

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