Babe Ruth – Darker than Blue

Leggi il nome Babe Ruth e la memoria, se appassionati di sport, corre subito alla leggenda del baseball, soprannominato “Il Bambino” e “The Sultan of Swat”, nato a Baltimora nel 1895, lanciatore mancino prima dei Boston Red Sox, poi dei New York Yankees, ancora oggi detentore di alcuni record stabiliti nella MLB tra il 1914 ed il 1938… ed invece, dopo decenni durante i quali se ne era pressochè ignorata l’esistenza, salta fuori che è esistita una band inglese fondata ad Hatfield nel 1970, con il nome di Shacklock, dal chitarrista Alan Shacklock, attiva fino al 1976, scioltasi, ed infine riunitasi, con la formazione originale, nel 2005.

Attorno al musicista londinese, la cui prima band, The Juniors, includeva il chitarrista Mick Taylored il bassista John Glascock, che sarebbe transitato successivamente nei Chris Farlowe’s Thunderbirds e nei The Gods, in cui suonarono Taylor, Glascock ed il fratello Brian, Ken HensleyJoe KonasLee Kerslake e Greg Lake, si riunì un gruppo di eccellenti artisti tra cui una delle voci più sottostimate del decennio, quella di Janita “Jenny” Haan, potente ed affascinante, antesignana del glam rock anche grazie ad un look provocante e sensuale; insieme a lei arrivarono Dave Hewitt al basso, Dave Punshon alle tastiere e Dick Powell alla batteria, sostituito da Ed Spevock nel 1973 e questa formazione realizzò il primo singolo, Wells Fargo, ed il primo album, First Base, registrato da Tony Clark e Kete Go agli Abbey Road Studios, pubblicato nel 1972 con la copertina realizzata dal già celebre illustratore Roger Dean.

Sei brani, tra hard rock e prog, con venature funk che, oltre al singolo dal chiaro stile blaxploitation ed in cui svetta la chitarra di Shacklock, autore anche di Joker, brano che chiude l’album, presentano una classicheggiante The Runaways, in cui la Haan offre un’interpretazione affascinante e che si ripete in Black Dog, scritta nel 1970 dal cantautore canadese James Ridout “Jesse” Winchester, oltre a due interessanti e decisamente inusuali cover, almeno per l’epoca, ovvero la zappiana King Kong, e The Mexican, all’interno della quale è stato inserito il fraseggio morriconiano di Per Qualche Dollaro in Più, il cui tema viene ripreso in una delle tre outtakes presenti, e che diversi decenni dopo verrà campionata in ambito hip hop.

Il cofanetto copre il primo periodo che va dal 1972 al 1975 e comprende anche Amar Caballero, uscito nel 1973, ed il terzo album, Babe Ruth, presentato nel 1975.

Nel secondo album, in cui Spevock sostituisce Powell alla batteria e Chris Holmes affianca Punshon alle tastiere, la band amplia notevolmente il proprio repertorio e probabilmente commette l’errore che le precluderà un successo maggiore, ovvero quello di non canalizzare la propria produzione all’interno di un ambito ben preciso, ma di lasciarsi trasportare dall’ispirazione andando a toccare generi discordanti, non offrendo al pubblico un punto di riferimento preciso: Lady è un soft-funk, elegante ed armonioso, la mini suite  Amar Caballero, dalle chiare influenze classiche vira verso un ambito più “latino”, l’acustica Baby Pride è invece jazzy-oriented, soprattutto per quanto riguarda il cantato mentre We Are Holding On è quasi un brano cameristico, grazie a Raymond Vincent, violino, Duncan Lamont, flauto e Nick Mobs, tambourine; Broken Cloud è una ballad british, quasi in stile Canterbury, influenzata però da un’orchestrazione orientale che rimanda chiaramente ai coevi Jade WarriorGimmie Some Leg è invece un mid-tempo curioso, pesantemente cadenzato, effetti sonori dagli echi psichedelici, una chitarra secca ed essenziale e l’ennesima superlativa prova vocale della Haan, qui decisamente aspra ed aggressiva.

Cool Jerk è spiazzante, aperta e guidata da un riff surf-oriented mentre Doctor Love, che sarebbe un gran bel funk-rock in stile Wells Fargo, soffre terribilmente il posizionamento all’interno della tracklist: tra We Are Holding On e la title track è il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro, e paga inevitabilmente dazio.

Amar Caballero è ricco di (troppi) spunti, punta su una (eccessiva) varietà di stili, non offre coerenza ed uniformità stilistica: peccato grave, che non si ripeterà nel terzo lavoro, Babe Ruth, che vede alle tastiere l’ingresso di Steve Gurl; voce e chitarre dettano la linea e le cover, A Fistful of Dollars di Ennio Morricone, decisamente inusuale, quasi maideniana ante litteram, We People Darker than Blue, a firma Curtis Mayfield, notturna e profonda malgrado il break centrale e Private Number, scritta da Booker T. Jones e William Bell ed arrangiata come slow-blues, oltre a rinviare al primo album si inseriscono con coerente logica all’interno della tracklist. 

Siamo nei pressi di un heavy-prog in stile Wishbone Ash, come si evince da Dancer, in cui la Haan cambia pelle adattandosi senza sforzo ad uno stile pesante ed aggressivo; in totale continuità Somebody’s Nobody, altro pezzo heavy ricco di venature funk, in cui appaiono i synth, a cui si può affiancare Jack O’Lantern che ricorda artisti come Suzi Quatro o i Grand Funk Railroad prima maniera; Turquoise, scritta dalla Haan e da Hewitt, cambia orizzonte per l’influenza iberica ma si inserisce bene come break acustico in un contesto che riemerge in Sad But Rich, robusto hard-rock quadrato nella ritmica ma arrangiato con soluzioni strumentali interessanti, mentre la chiusura è affidata all’anthemica The Duchess of Orleans, che anticipa di qualche anno i brani che le band metal inseriranno nella tracklist dei propri album e dei propri show.

Che dire… i Babe Ruth sono stati un vulcano di idee con pregi e difetti del caso; una proposta musicale ricchissima, spontanea e poco mediata, suggestioni disordinate, caotiche che li hanno privati di uno stile preciso: avevano i numeri per sfondare, una cantante di livello assoluto ed un chitarrista notevole, che avrebbero meritato ben altra considerazione, una sezione ritmica all’altezza, tre tastieristi che hanno aggiunto varietà al sound; un management avveduto e produttori di maggior carattere avrebbero forse potuto guidarli meglio, ottimizzando un magma creativo davvero ribollente.

Le riscoperte tardive lasciano l’amaro in bocca ma tuttavia, per come sono poi andate le cose, rappresentano comunque il riconoscimento di un percorso, e di un talento.

(Cherry Red/Esoteric Records, 2022)

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