April Wine – Harder… Faster

(Andrea Romeo)

Siamo a Waverley, Nova Scotia, municipalità di Halifax situata a nord del Canada, proprio di fronte all’Oceano Atlantico, terra di marinai, ma soprattutto di cercatori d’oro… beh, non soltanto, se diamo un’occhiata agli almanacchi musicali.

E’ il 1969 quando David Henman, chitarrista, Ritchie Henman, batterista, il cugino Jim Henman, bassista e Myles Goodwyn, cantante e chitarrista, formano i Prism e quasi subito decidono che quella zona non può offrire loro una vera chance per fare musica ad un certo livello: si spostano a Montreal e, dopo la firma per l’etichetta discografica indipendente canadese Aquarius Records, debuttano nel 1971 con l’album April Wine il cui singolo Fast Train ottiene un notevole airplay nelle radio canadesi facendoli conoscere al grande pubblico; al ritmo di un album all’anno ed attraverso numerosi cambi di formazione, pubblicano On Record, 1972, Electric Jewels, 1973, Stand Back, 1975, The Whole World’s Goin’ Crazy, 1976, Forever for Now, 1977 e First Glance, 1978, diventando i beniamini del paese della foglia d’acero.

Singoli come You Could Have Been a Lady, cover degli Hot ChocolateBad Side of the Moon, firmata Elton JohnThe Whole World’s Goin’ CrazyLike a Lover Like a Song e You Won’t Dance With Me li resero famosi in patria e nei vicini Stati Uniti.

Grandi album, senza dubbio, ma c’erano un paio di questioni da sistemare: la prima riguardava la possibilità di estendere la propria fama a livello internazionale, il secondo dettaglio riguardava proprio la band che, ad album eccellenti, abbinava un approccio dal vivo più energico, più potente, per certi versi incendiario: la differenza, soprattutto di suono, era evidente, ed allora occorreva riallineare queste prestazioni.

La quadratura del cerchio avvenne nel 1979: la formazione, finalmente stabilizzatasi, e che vedeva affiancati all’unico superstite del gruppo originale, Myles Goodwyn, Brian Greenway, voce, chitarra, Gary Moffet, chitarra, cori, Jerry Mercer, percussioni e Steve Lang, basso, cori, si ritrovò presso i Le Studio di Morin Heights, nel Quebec con l’obbiettivo dichiarato di provare a trasferire, nei solchi dell’album in preparazione, tutta l’energia sprigionata sui palchi.

Harder … Faster, più che un semplice titolo una vera dichiarazione di intenti, vide la luce ad Ottobre e, grazie ai due singoli Say Hello e I Like To Rock, divenuti veri e propri classici, fece conoscere gli April Wine anche fuori dai confini nazionali, attraverso un tour con i Nazareth che alzò di parecchio le loro quotazioni come possibili headliner, facendoli entrare negli anni ’80 da protagonisti.

I fuochi d’artificio iniziano subito con I Like To Rock, che contiene nel finale una doppia citazione di Day Tripper dei Beatles e di (I Can’t Get No) Satisfaction degli Stones, ed in cui le chitarre di Goodwyn, Greenway e Moffet spadroneggiano a colpi di riff, passando in scioltezza dall’hard rock settantiano a decisi accenni southern.

Goodwyn stesso, parlando di questa svolta “più dura e più veloce” del loro sound, non utilizzò giri di parole: “We are a guitar band, when we did Harder… Faster everyone had a Marshall stack. We took all of them and put them together, it covered an entire wall. We were able to jerry rig everything through everything else. There were like eight stacks of Marshalls all wired together, we would stand in front of it, we called it The Wailing Wall! Every single guitar part went through the Wailing Wall so it was a pretty big sound. When Brian Greenway came in, our sound changed. We got harder, we had another guitar, we went to another level. It happened with First Glance in ‘78 and it was the first time we sold a lot of records in the States.

Non c’è solo potenza, tra gli otto brani di questo lavoro: il groove sensuale e davvero cool di Say Hello svela un intreccio di chitarre elaborato e ricco di sfumature e la successiva Tonite aggiunge un delicato tappeto acustico, prima di scatenare i decibel.

E non va certamente tralasciata la sezione ritmica, perchè Mercer e Lang sono una vera macchina, perfettamente oliata ed in grado di fornire alla band tutti i cavalli necessari per marciare, in qualsiasi situazione, a pieno regime: lo si può ascoltare distintamente in Ladies’ Man, road song di razza a cavallo tra l’hard rock del decennio che si andava a chiudere e l’Aor che sarebbe stato uno dei generi di punta di quello successivo, e nella successiva Before The Dawn, altro brano che non sfigura affatto di fronte a molti pezzi coevi, probabilmente più conosciuti, di Aerosmith o Boston.

Babes in Arms si apre, e poi si regge quasi interamente, su di un riff che strizza l’occhio a quello di You Really Got Me, dopodichè viaggia davvero molto distante da qualunque tentazione anni ’60, mentre Better Do It Well contiene evidenti richiami al southern rock, sia per gli incroci vocali, sia per quelli chitarristici, ritmici e solisti; vanno sottolineate alcune influenze, quella dei Grand Funk Railroad, specie nelle parti ritmiche e, perché no, degli stessi Kiss, che avevano appena pubblicato Dynasty.

L’album si chiude con una vera sorpresa, determinata più che altro dalla scelta di un brano, 21st Century Schizoid Man, in linea teorica abbastanza distante dall’attitudine del quintetto canadese; ciò non impedisce però a Goodwyn e soci di proporne una versione che, non solo è molto rispettosa dell’originale, ma permette di apprezzare un eccellente lavoro delle chitarre e del basso, sostenuti da un Mercer il cui drumming dinamico ed effervescente spinge una cover che vale la pena di riscoprire.

E da riscoprire sono certamente anche gli April Wine che, dopo un inizio di eighties all’insegna del maggiore successo mondiale mai ottenuto, si perderanno lentamente lungo la strada tra numerosi cambi di formazione e l’evidente assenza di una linea musicale precisa: nonostante ciò, sono in pista ancora oggi, risultato da considerarsi davvero non male per una band che ha da poco festeggiato i cinquant’anni di carriera.

(Aquarius/Capitol Records, 1979)

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