Alexander “Skip” Spence and his psychedelic artefacts

(Alessandro Priarone)

Syd Barrett e Roky Erickson non sono gli unici che nel loro ciclo storico dominano l’influsso sulla creazione dell’Universo percettivo. Formulazione connaturata a menti folli, fulgide e geniali. Non sono i soli che hanno dato vita alle proprie distorsioni illusorie, trasformando in musica l’aspetto ed il senso degli oggetti o l’intensità dello spazio e del tempo, plasmando l’archetipo psichedelico. Alexander Lee Spence, detto Skip, va di diritto tra i luminescenti, scintillanti, otherworldly, intelletti che si sono lasciati cadere così lontano da non poter tornare.

Prima di morire nel 1999 all’età di 52 anni, era diventato un itinerante, per lo più un senzatetto, in California a Santa Cruz e San Josè, frequentemente in cura. A detta di tutti, Skip Spence, nato in Canada, era una figura carismatica nella San Francisco nei primi anni sessanta e questo era ciò che attraeva Marty Balin verso di lui. Balin offrì a Spence – cantautore-chitarrista protagonista nella prima incarnazione dei Quicksilver Messenger Service – un posto nella sua nuova band, Jefferson Airplane. La posizione proposta prevedeva di applicarsi alla batteria e Alexander la colse al volo entrando nel vinile di debutto Jefferson Airplane Takes Off nel ’66. Quando è scappato in Messico, con un paio di donne, fu licenziato dai Jefferson, per i quali aveva scritto My Best Friend apparso poi nell’album Surrealistic Pillow. Se ne fece una ragione. Si unì velocemente a un altro gruppo di musicisti per co-fondare i Moby Grape, facendo parte della loro distintiva formazione con tre chitarre.

La storia di Moby Grape è quella di una grande promessa, una rapida ascesa e seguente caduta. Il chitarrista Jerry Miller e il batterista Don Stevenson furono reclutati dai Frantics, e il terzo chitarrista Peter Lewis aveva precedentemente suonato sulla costa californiana con il gruppo di musica surf The Cornells. Il bassista Bob Moseley aveva militato in diverse formazioni nel sud-ovest della California. Sembravano aver fatto musica insieme da una vita. Il lavoro di partnership tra loro è stato diviso equamente e questa unità ed identificazione viene chiaramente sentita. Sebbene si siano caratterizzati con la scena psych, la grande specialità era comporre un eccellente sound contemporaneo, un crossover di folk, pop, blues e rock. Spence ha scritto il singolo Omaha, un gioiello metamorfico che trasforma l’esperimento caustico in canzone,nel loro disco di debutto. Così come Indifference e condiviso i crediti su Someday.

Per il loro secondo album Wow/Grape Jam, ha contribuito alla rockeggiante Motorcycle Irene, l’eccentrica Just Like Gene Autry, Three Four e Funky Tank. Questo lp è diverso dalla maggior parte delle uscite di album doppi in quanto è stato pubblicato attraverso due manufatti diversi in copertine separate, ma confezionato insieme e venduto per un solo dollaro in più rispetto al prezzo di un singolo prodotto. Wow aveva una cover-art apribile colorata, mentre Grape Jam era non apribile ma sempre a colori. Come suggerisce il titolo, Grape Jam consiste in cinque selezioni semi-improvvisate in cui i musicisti si esprimono a lungo, principalmente su brani lenti e influenzati dal blues, con diversi assoli di Peter Lewis, Jerry Miller e Skip Spence, mentre Al Kooper e Mike Bloomfield siedono alle tastiere per alcuni numeri. La sezione ritmica di Bob Mosley e Don Stevenson mostra di potersi adattare a qualunque cosa la band proponga, il suono e le performance serrate hanno reso i Moby Grape uno delle migliori band del momento. Spence sembrava volare da un’estremità all’altra dello spettro armonico. Insieme al suo comportamento personale.

A inizio 1968, Skip va a New York per incidere il disco. La città non stava tirando fuori il meglio di lui. Una notte, come racconta il suo compagno di band Peter Lewis, Spence “andò fuori controllo insieme ad una strega nera di nome Joanna” che “lo nutriva spesso di acido”: non il solito LSD ma una potente variante che presumibilmente induceva fantasie con tre giorni di allucinazioni e folgorazione cognitiva. Il risultato? “Pensava di essere l’Anticristo”.

Spence si avvicinò all’Albert Hotel, dove tenne sollevata un’ascia sopra la testa del portiere; da lì, riuscì ad arrivare alla stanza di un compagno di band, Don Stevenson, per distruggere la porta ed entrare. Il posto era fortunatamente vuoto. Così, sempre con l’ascia in mano, ha chiamato un taxi e si è diretto verso l’edificio della CBS, dove, al cinquantaduesimo piano, è stato fermato, bloccato e arrestato. Ha trascorso un periodo di sei mesi al Bellevue Hospital di New York, in cui viene considerato schizofrenico. “Gli hanno sparato un pieno di cloropromazina per sei mesi”, ha detto Lewis. “Ti porta semplicemente fuori dal gioco.”

Ma Spence non era fuori dai giochi. Lo stesso giorno in cui lo rilasciarono dal Bellevue, grazie al produttore David Rubinson, compra una moto e finisce dritto a Nashville, dove registra una serie di nuove canzoni ideate in ospedale: “Hear this music for the truth it tells”. Pare fosse partito, secondo la leggenda, a cavallo di una Harley e vestito con un pigiama.

Dicembre ’68. L’ambientazione dei Columbia Recording Studios al 504 della 16th Avenue South a Nashville, nel Tennessee. La voce è sorprendentemente brillante e concentrata, rivolta ad un ingegnere dall’altra parte del vetro dello studio. “Puoi avere un po’ più di basso sulla chitarra?” Quest’ultima parola viaggia attraverso un’eco che sembra percorrere la lunghezza di una cattedrale medievale. “Questo è perfetto”. Il tono, alimentato con un arabesco freak, ottiene un ringraziamento sfacciato dall’interno, dove si riverbera fra le mani alla consolle. “È davvero bello quando esce, perché risulta perfetto per cantare”.

L’etichetta pubblicò Oar il 19 maggio 1969. Skip suona tutti gli strumenti. Una magnifica colata di fantasmagoriche espressioni, con nuance, tinte, aspetti, costantemente mutevoli, assorbiti dalla mente dell’artista. Ballate acustiche, una sorta di space-blues riverniciato da country lunare. Oscuro a tratti, in uno stato di grazia assurdo. Nutrimento nevrotico, indirizzato a scontrare radiazioni luminose fra spigoli nero-lucenti, con la visionaria insensatezza dello spirito-manifesto e la coscienza infinita. Il drumming è un dispositivo ritmico arcaico che pulsa come dei piccoli battiti in un cuore affaticato. Tutta la strumentazione si raccoglie entro i limiti del posto. Si adatta perfettamente a ciò che producono due bobine di nastro a 3 tracce, in quattro giorni di registrazione nella solitudine di Nashville. Il senso fragile delle canzoni distilla la voce di Skip tra toni bassi e frequenze aride e tossiche. Amore, donne, morte, religione, immagini infantili, cosa rispecchiano? Il futuro prossimo? The End Of The Game o The Cycle Is Complete?

Skip si è lasciato corrodere dalla musica che scivola come un torrente in piena, immerso nel suo mondo ibrido, nel suo petto e nella sua anima. Troppo in avanti rispetto al resto. Le influenze tradizionali della propria cultura vengono destrutturate da questa forza compositiva, sconosciuta e innovativa. L’immaginazione diventa un concetto quasi commovente che giunge sino alla soglia più alta.

“Mi piace quello che faccio ogni volta che lo faccio e mi piace fare un po’ di tutto, purché crei costantemente. Il mio vero obiettivo nella vita è quello di esibirmi al meglio”. Ingenuamente beffardo.

I Moby Grape pubblicarono nel gennaio 1969 Moby Grape ’69 con all’interno un brano di Skip, “Seeing” totalmente accreditato a lui, ormai disperso, sprofondato nel vuoto. Poi Bob Mosley abbandona il gruppo e alla fine dello stesso anno esce Truly Fine Citizen con i tre rimanenti componenti della band. Durante i primi anni ’70 Spence forma un paio band: Pachuca e The Rhythm Dukes senza particolari risultati. Continua ad avere un minore coinvolgimento nei successivi progetti e riunioni dei Grape. Ha contribuito a 20 Granite Creek, la reunion del 1971, più il bellissimo Live Grape nel 1978, quest’ultimo con concerti effettuati in California a San Francisco e Cotati, nello stesso anno. I tre grandi chitarristi, flessuosi e formidabili, per descrivere “quello che poteva essere e non è stato”. Una stupefacente fotografia della grandezza perduta, un’occasione nostalgica di un suono gioisamente estroso. Alexander “Skip” Spence terminerà la sua parabola fatta di intuizioni, solitudine e depressione dopo la lunga malattia ai polmoni che finì per consumarlo il 16 Aprile del 1999.

Trent’anni e quattro mesi dopo aver registrato Oar e a poche settimane dall’omaggio-riconoscimento di More Oar A Tribute To The Skip Spence Album, con performance di Robert Plant, Tom Waits, Robin Hitchcock, Mark Lanagan, Flying Saucer Attack, Beck, Greg Dulli, Mudhoney.

Ed è ancora vivo, là dentro.

Albums & CDs

Oar ‎(LP, Album) Columbia 1969                           
Oar ‎(LP, Album, Reissue) Edsel Records 1988       
Oar ‎(CD, Album, Reissue) Edsel Records 1991      
Oar ‎(CD, Album, Reissue+bonus) Sony Music Special Product 1991                   
Oar ‎(CD, Album, Reissue+bonus) Sony Music Special Product 1995       
Oar ‎(CD, Album, Reissue+bonus) Sundazed Music, Sony Music 1999                 
Oar ‎(LP, Album, Reissue+bonus) Sundazed Music, Columbia 2000                     
Oar ‎(LP, Album, Reissue+bonus) Sundazed Music, Columbia 2009
Oar ‎(LP, Album 180, Reissue) Music On Vinyl 2011          
AndOarAgain ‎(3xCD, Album, Reissue+bonus & other) Modern Harmonic, Columbia, Sony Music 2018         
AndOarAgain ‎(3xLP, Ltd, Reissue+bonus & other)    Modern Harmonic, Columbia, Sony Music 2019

Singles

All My Life (I Love You) / Land Of The Sun (7″, Single) Sundazed Music 2000
After Gene Autry / Motorcycle Irene ‎(10″, Single, Mono) Sundazed Music 2009
I Want A Rock & Roll Band / I Got A Lot To Say / Mary Jane ‎(7″, Single) Modern Harmonic, Columbia 2019  

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