The Winstons – Smith

(Andrea Romeo – 14 novembre 2019)

Enrico Gabrielli è un musicista davvero impegnato, molto impegnato, nel senso che riesce a stare dietro a talmente tanti progetti (la quantità di album in cui ha suonato è davvero impressionante) da rendere quasi inspiegabile il come riesca, non solo a portarli a termine tutti, ma in modo eccellente.
Roberto Dell’Era è un personaggio più sfuggente che, trasferitosi per qualche anno in Inghilterra, si forma là, come musicista, poi diviene il bassista degli Afterhours, collabora con Dente, ed incrocia Gabrielli, nei Calibro 35, prestando la sua voce nel brano L’Appuntamento: mai titolo fu più profetico, qualche anno dopo…
Lino Gitto è, dei tre, il più misterioso, perché collabora con Gianluca De Rubertis, Dario Ciffo, Marco Cocci e buona parte della scena alternative-rock milanese, ma appare poco, almeno finora…

Le cose vanno, più o meno, così: si incontrano, parlano, diventano amici, suonano… fumano qualche sigaretta, incidentalmente Winston (le stesse di Frank Zappa, noblèsse oblìge…), e diventano The Winstons, perché le influenze musicali comuni sono Emerson Lake and Palmer, Soft Machine, King Crimson, e perché mettere su un trio è una sfida che non si può non raccogliere.

Diventano Linnon Winston (quello con i baffi: batteria, tastiere, voce), Rob Winston (quello alto: basso, electric 12 string guitar, voce) ed Enro Winston (quello con i capelli lunghi: tastiere, woodwinds, voce), viaggiano mentalmente fino a Canterbury, dove fanno il pieno di musica, poi tornano e, voilà, la mettono su disco: The Winstons, Live in Rome, alcuni 45 giri (Nicotine Freak, Diprotodon, Play With The Rebels, Black Shopping Bag, Golden Brown), la riproposizione di Pictures at an Exhibition ed infine Smith, l’ultimo nato, il disco che li proietta in avanti da ogni punto di vista: composizioni ancora più articolate, suoni in buona parte mutuati dai seventies, ma interpolati con soluzioni più recenti, un approccio generale che va dal jazz-rock al garage, passando talvolta per il british pop.
Ascoltare anche solo Ghost Town, Around the Boat o la mini suite Tamarind Smile/Apple Pie, offre già una panoramica precisa di questo lavoro: psichedelia, Canterbury sound, jazz e brit-pop, unito a quel prog che li unisce nei gusti.

Per essere una band estemporanea, un gruppo nato quasi come una sorta di valvola di sfogo nei confronti delle singole carriere, The Winstons sono cresciuti, in fretta e parecchio, diventando necessariamente un progetto parallelo agli altri (Calibro 35 ed Afterhours, per l’appunto), tanto da reclamare il loro spazio. Cosa non difficile da realizzare, anche perché la risposta del pubblico è stata sorprendente e davvero entusiasmante: club sold out, ed una continua richiesta di musica, da parte peraltro di un’audience attenta, ed in grado di cogliere ed apprezzare i vari aspetti, musicali, strumentali, testuali e visivi; un pubblico, per così dire, “educato”, che ha saputo valorizzare un gruppo tecnicamente superiore, per scrittura ed esecuzione.
Una simile sinergia, che si concentra sulla musica e tralascia tutto ciò che è contorno, è in netta controtendenza rispetto all’ascolto medio odierno, distratto, superficiale, capace di cogliere solo gli stimoli più grossolani ma incapace di andare in profondità, di superare il livello massa/cori/sudore.

Difficilmente ci si incontrerà a S. Siro, ma il fatto è del tutto irrilevante: dal palazzetto, al teatro, al club, al Centro Sociale, The Winstons sono e saranno una realtà che viaggerà, sempre, tranquillamente una spanna sopra la media. Anche due, e forse più.

(Sony Music, 2019)

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