The Flower Kings – Waiting for Miracles

(Andrea Romeo)

Siamo ritornati allo stile pieno di vita che ha reso la band famosa alla fine dei Novanta. I testi sono più seri nei loro contenuti, parlano della situazione del mondo oggi, ma in ogni caso non mancano gioia e colori, il tema portante del disco.

Sono le parole stesse, del chitarrista e leader Roine Stolt, ad inquadrare le caratteristiche del quattordicesimo album in studio dei The Flower Kings, la band svedese che è diventata, in oltre vent’anni di attività, alfiere del prog scandinavo.

Osservando le fotografie contenute all’interno del booklet, poi, non sfugge certo il fatto che, l’ambiente in cui Waiting for Miracles è stato registrato, gli studi RMV di Stoccolma, di proprietà di Benny Andersson (ABBA), mostra quel tocco retrò in cui, il calore del legno, gli strumenti vintage e l’atmosfera quasi agreste, hanno contribuito non poco a determinare il risultato finale del processo creativo.

Formazione parzialmente rinnovata, quella del combo nato ad Uppsala nel 1995, perché ai membri ormai storici, ovvero Roine Stolt, guitar, vocals, keyboards, bass guitar, Hasse Fröberg, vocals, guitar, acoustic guitar e Jonas Reingold, bass guitar, si sono uniti due nuovi musicisti, Zach Kamins, keyboards, guitars e Mirko DeMaio, drums.

In questo nuovo lavoro la band riduce, in parte, il suo lato più “sinfonico”, a favore di un approccio che, come detto, privilegia aspetti acustici, ed un lavoro più “di fino” da parte di chitarre e tastiere.

Questo orientamento alleggerisce parecchio le tracce che appaiono decisamente più ariose, e meno cariche di suoni: Black Flag e Miracles for America, che fanno seguito alla iniziale e breve House of Cards, suonata da Stolt insieme al fratello Michael ed al nuovo tastierista proveniente da Boston, pur mantenendo le caratteristiche tipiche dei brani dei Flower Kings, ovvero gusto per la melodia, grandi armonie vocali, tastiere e chitarre che si intersecano creando interessanti giochi di rimandi, ed una batteria sempre molto ricca di variazioni ritmiche, strizzano da (molto) lontano l’occhio anche alla musica pop, se non altro per il fatto di non essere brani dalla struttura inestricabile o troppo “aggrovigliata”.

Stolt è un chitarrista di stampo Hackettiano, e quindi in un certo senso “romantico”, ed utilizza sempre timbri e tonalità lievemente malinconici, che trasmettono un certo calore ed a loro modo “fanno ambiente”.

Waiting for Miracles è un lavoro eclettico, diversificato nelle sue quindici tracce, ma decisamente solido e consistente, che fa chiaramente riferimento al prog classico degli anni ’70, da sempre il periodo verso il quale la band svedese ha manifestato la sua maggior predilezione, ma soprattutto è un album estremamente piacevole da ascoltare, perché scorre in maniera fluida, trasmettendo ottime sensazioni tra cui una profonda serenità.

Strumenti vintage, come detto, ed il suono dell’album deve molto a questo tipo di scelta: Mellotron, Hammond B3, Minimoog, Fender Rhodes, Piano Wurlitzer, per rimanere nell’ambito delle tastiere che, Zach Kamins, padroneggia con notevole maestria, creano davvero un calore particolare, enfatizzato dal basso fretless, o reso più aspro dal fuzz-bass (splendido il Rickenbacker 4003 in The Rebel Circus ed in Sleep with the Enemy) che, Jonas Reingold,utilizza alternandoli con il basso elettrico ed il contrabbasso.

Roine Stolt, come è solito fare nelle sue interpretazioni, disegna melodie delicate, piazza rapidi ma significativi interventi, caratterizza spesso i brani con brevi cascate di note che, da sempre, rappresentano il tocco distintivo che contraddistingue le sue esecuzioni.

Dopo un periodo abbastanza interlocutorio, segnato anche da un album, Manifesto of an Alchemist, attribuito a Roine Stolt’s The Flower King, la band si è nuovamente rimessa in linea, ed ha trovato un rinnovato slancio compositivo ed esecutivo.

Ciò le ha permesso di realizzare un lavoro che, innovativo solo in minima parte, è in realtà la riconferma di uno stile peculiare, amato dai musicisti prima ancora che dai fans, cristallizzato ma non monolitico: ciò che la band sa fare meglio, è assolutamente presente all’interno di queste tracce.

(InsideOut Records, 2019)

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