Tears for Fears – The Tipping Point

(Andrea Romeo)

Amici fin da quando erano teenagers, nella natia Bath, Somerset, Roland Orzabal e Curt Smith hanno attraversato almeno tre fasi fondamentali durante loro vita, e di conseguenza la loro carriera: in primis gli anni ’80, ovvero i primi passi nel mondo musicale, il debutto sull’onda del mod revival con i Graduate, scioltisi nel 1981, lo spostamento verso la new wave, grazie all’uso dei synth, la nascita dei The History of Headaches subito divenuti Tears for Fears, il debutto nel 1983 con The Hurting, subito al vertice delle charts inglesi grazie alle hit Mad World, Change e Pale Shelter; da lì in poi, un crescendo che, grazie a Songs from the Big Chair, 1985 (Mothers Talk, Shout, Everybody Wants to Rule the World ed Head over Heels) e The Seeds of Love, 1989, costato oltre un milione di sterline (Woman in Chains, Sowing the Seeds of Love, Advice for the Young at Heart e Famous Last Words) li ha resi famosi nel mondo ma nel contempo ha minato profondamente il loro rapporto: dopo un lunghissimo tour, grazie al quale ripianare gli ingenti debiti, il duo andò in pezzi.

Ed allora gli anni ’90, quelli del grande freddo, l’allontanamento dovuto all’eccessivo perfezionismo di Orzabal, ai problemi personali e familiari di Smith, alla bancarotta dichiarata dal loro manager Paul King, i continui attacchi reciproci attraverso i media: nel frattempo Orzabal collabora con il produttore Alan Griffiths, Smith con l’autore e produttore newyorkese Charlton Pettus, ma il destino era davvero dietro l’angolo.

Ecco quindi gli anni ’00, durante i quali le acquisizioni e le fusioni tra etichette discografiche portarono la Universal ad entrare in possesso dei diritti sul catalogo dei Tears for Fears: è stata dunque (anche) la burocrazia contrattuale a riportare l’uno di fronte all’altro, a parlare dopo oltre dieci anni ed a ricominciare a scrivere insieme: il risultato si concretizzò in Everybody Loves a Happy Ending, uscito alla fine del 2004, che li rimise in gioco e li riportò sulla ribalta internazionale.

Poi diciotto anni di concerti, collaborazioni, ristampe oltre all’improvvisa scomparsa della moglie di Orzabal, nel 2017: già dal 2013 però, avevano iniziato a scrivere musica per un futuro nuovo album, insieme a Charlton Pettus, e nel frattempo si erano uniti ai tre il produttore e polistrumentista Sacha Skarbek ed il compositore e produttore Florian Reutter; quasi dieci anni dunque, per giungere al 22 Febbraio 2022, giorno in cui è approdato negli scaffali The Tipping Point, settimo album a nome Tears for Fears (il nome deriva da un trattamento psicoterapeutico, sviluppato da Arthur Janov, in cui il paziente riprova le primissime sensazioni dell’età perinatale: “lacrime in sostituzione delle paure”), di fatto il completamento di un percorso, iniziato oltre quarant’anni prima, e mai davvero definitivamente concluso.

Che non si tratti di un’operazione di mero revival new wave o electro-pop appare chiaro sin dalle prime note di No Small Thing, brano che apre il lavoro con una chitarra acustica anni’60/’70, che quasi subito ripropone gli incroci vocali da sempre marchio del duo britannico, e cresce poco alla volta verso un finale ricco di pathos: un ritorno al passato, a detta degli stessi protagonisti, che li ha però spinti verso il futuro.

Ovvio che non sia possibile rinnegare la propria storia, ed allora ecco The Tipping Point che rimanda agli anni ’80 ma lo fa attraverso una ricerca dei suoni attenta e scrupolosa, producendo una sensazione di straniamento, perché i Tears for Fears degli anni ’20 sono riflessivi, scuri, persino più cupi; e se Long, Long, Long Time è un eccellente brano pop nel cui ritornello spicca l’eterea voce di Carina Round, è con la successiva Break the Man (il cui chorus in origine doveva essere “…kill the man…”) che l’album decolla: una stigmatizzazione del patriarcato fatta attraverso un brano che rimane impresso e riconduce a quei passaggi in minore che hanno sempre contraddistinto il suono malinconico della band britannica.

La svolta che sposta il fuoco dell’intero lavoro avviene con My Demons, pezzo oscuro, ossessivo, che potrebbe sembrare uscito dalla penna di Dave Gahan per come unisce un suono quasi industrial ad un testo distopico e disturbante.

Siamo solo a metà ed i Tears for Fears hanno già sviluppato un caleidoscopio sonoro eterogeneo e dalle molteplici suggestioni, perchè i vent’anni trascorsi e gli accadimenti verificatisi hanno condotto i due ad osservare la realtà da diversi punti di vista, ed il fare musica ne è conseguenza evidente: la serenità e la pace interiore che traspaiono in Rivers of Mercy, unite ad una punta di malinconia solo accennata, parlano di due persone che hanno ritrovato sé stesse e riallacciato un rapporto che, per quanto difficile e contrastato, era comunque imprescindibile: questa tensione si risolve definitivamente nella successiva Please Be Happy, più che un brano un’accorata richiesta, una vera e propria invocazione, l’aspirazione a lungo repressa.

You need a lot of rage, to get by these days, you need a lot of faith, to reach the sun…”: in questo breve passaggio contenuto in Master Plan c’è tutto il senso di anni di conflitti, a partire dai problemi con il management, vissuti da Orzabal e Smith, rievocati con una punta di rammarico per la loro inevitabilità, unita all’incapacità di fronteggiarli senza esserne travolti, fatto che per due amici, prima ancora che colleghi, è stata davvero una montagna decisamente molto ardua da scalare.

Ed allora, in questa narrazione così personale ed intima, le parole “Took my hand and led me through the labyrinth, showed me all the sadness and the suffering, tears she turned to joy and through the wall of noise told me…” passaggio cruciale di End Of Night, indicano l’apertura verso il futuro che questa seconda occasione ha offerto ad una band sempre in grado di coniugare estetica musicale e profondità di scrittura: la conclusiva Stay, riflessione sul contrasto tra desiderio che i propri cari restino, ma non debbano nel contempo soffrire, è degna conclusione di un album che lievita, ascolto dopo ascolto, rivelando una maturità, una saggezza che accompagnano i Tears for Fears verso una nuova fase della loro lunga, contrastata, ma luminosa carriera.

(Concord Records, 2022)

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