Peter Gabriel – I-O

Se per avere tra le mani l’ultimo lavoro di Peter Gabriel per intero sono dovuti passare qualcosa come ventun’anni (se si escludono i tre lavori rilasciati nel frattempo, ma che sinceramente in molti hanno considerato degli riempitivi… ben fatti, ma sempre riempitivi), il tempo per ragionarci sopra non può, né deve, essere limitato, e per tale motivo l’ascolto va centellinato perché il rischio di esprimere valutazioni superficiali, o peggio ancora banali, è davvero elevatissimo; e non è neppure sufficiente l’aver ascoltato i singoli brani al momento del loro rilascio, e cioè con cadenza mensile, al sorgere della luna piena, altra trovata che il cantante, compositore e performer, giunto alle soglie dei tre quarti di secolo, si è riservato di proporre ad un popolo di ascoltatori che ha fatto della pazienza un’arte, anzi di più, uno stile di vita.

Le aspettative, inutile dirlo, erano molto alte, e per tutta una serie di motivi: la caratura umana, artistica e musicale del personaggio, lo spessore che ha sempre mostrato nei suoi lavori, la lentezza, financo eccessiva, che ha caratterizzato la sua carriera, per lo meno dal 1986 in poi, ed in questo caso anche la curiosità di capire che cosa avrebbe tirato fuori dal “cilindro”, soprattutto dopo un periodo così lungo.

Occorre essere onesti sin da subito: se questo lavoro fosse stato pubblicato da un musicista, magari non proprio debuttante ma comunque ad inizio carriera, si sarebbe gridato al miracolo, senza se e senza ma; essendo invece l’autore un personaggio con quasi cinquantacinque anni di carriera, ma soprattutto dotato di una creatività non esattamente comune, e che gli ha permesso di anticipare spesso i tempi (dai travestimenti sul palco, ai videoclip, alla tecnologia utilizzata per i suoi spettacoli…), le valutazioni vanno fatte, inevitabilmente, utilizzando una maggiore circospezione.

Quindi meglio partire da una serie di legittime obiezioni, critiche, sottolineature che si potrebbero sentire a proposito di questo lavoro: si, ci sono riferimenti agli anni ’80, ai suoi anni ’80, anche se è cambiato radicalmente l’approccio strumentale perchè allora la tecnologia supportava un gruppo di strumentisti che emergevano, di volta in volta, all’interno dei brani mentre adesso, nella maggiorparte dei pezzi, il suono è più omogeneo, ha meno sfaccettature, anche perché i musicisti utilizzati sono di più, inclusa un’orchestra, e forse questo non è esattamente un bene.

Inoltre: se qualcuno afferma di cogliere, all’interno di Panopticon, o di Playing For Time echi più o meno precisi di Blood of Eden o di Here Comes the Flood, beh non sbaglia certamente, e se The Court rimanda agli anni ’90, non è affatto casuale perché quei rimandi ci sono, eccome, così come si percepisce, nella seconda parte del lavoro, una sorta di atmosfera meditativa, riflessiva e non si colgono, se non occasionalmente, i guizzi ritmici che di Gabriel sono stati una caratteristica importante.

Il musicista di Chobham, Surrey, si avvia a compiere 74 anni, e conoscendone il carattere è inevitabile che sia giunto ad un punto della propria carriera e della propria vita in cui tirare, per così dire, le somme: c’è ancora spazio, indubbiamente, per qualche momento più catchy, perché Gabriel il pop lo ha frequentato, eccome, e con grande successo, ed in tal senso non stupiscono brani come Olive Tree e Road To Joy, ma la sensazione è che il guardarsi intorno di i/o, di Four Kinds of Horses, di And Still, incentrata sulla perdita, o ancora di This is Home sia decisamente prevalente, e permei l’intero lavoro: So Much, di fatto, è il sequel concettuale di Playing For Time e ciò non è affatto casuale perché questo guardarsi intorno a 360° non tralascia alcun dettaglio, neppure il più piccolo ed in questo senso Love Can Heal e la conclusiva Live And Let Live sono parte, integrante, di questo sguardo così ampio e meditativo.

Le due versioni dell’intera tracklist proposta da Gabriel, ovvero il Bright-Side Mix ed il Dark-Side Mix, sono stati affidati rispettivamente a Mark “Spike” Stent e Tchad Blake, due produttori davvero differenti per storia ed approccio: il primo rappresenta sicuramente un talento che si è espresso nell’ambito del pop-rock internazionale, lavorando fra i molti, con MadonnaU2BeyoncéBjörkDepeche ModeEd SheeranBeth OrtonHarry StylesSelena GomezAll SaintsSpice GirlsLady GagaColdplayMaroon 5MuseLily AllenGwen StefaniMobyNo DoubtKaiser ChiefsLinkin ParkYeah Yeah YeahsOasisKeaneMassive AttackBastille e Take That, mentre il secondo ha lavorato su vari fronti del rock, legandosi, fra gli altri, ad Ani DiFrancoArctic MonkeysBonnie RaittCrowded HouseDavid RhodesElvis CostelloFiona AppleFishboneHalloweenKula ShakerLisa GermanoLos LobosPearl JamPhishRichard ThompsonSam PhillipsSheryl CrowSuzanne VegaT-Bone BurnettThe Bangles,The Black KeysThe Dandy WarholsThe PretendersTom WaitsTracy Chapman e Travis.

Due visioni differenti per cogliere le quali però occorre un ascolto attento perché i dettagli si trovano nelle sfumature, nè sono percepibili ad un ascolto superficiale. 

Ed allora, volendo fare una sorta di sintesi, le suggestioni degli anni ’70 sono distanti, le vette degli anni ’80 sono lontane, i guizzi degli anni ’90 spuntano solo a tratti ma, se si considera l’intera carriera di Peter Gabriel partendo dal 1970 ed arrivando sino al 2002, occorre inevitabilmente fare caso al fatto che, in questi trentadue anni, il musicista britannico ha prodotto una tale quantità di musica, ed a livelli il più delle volte eccelsi, da non poter pensare di avere, ancora oggi, la medesima creatività e la stessa fertilità; il meglio era già stato offerto e di questo, Gabriel, è stato probabilmente consapevole, ed il fatto di essersi preso tutto questo tempo è dovuto, ragionevolmente, ad una lunga riflessione sul cosa poter dire, oggi, e sul come poterlo dire.

Il disco è denso, sicuramente, e va assorbito lentamente perché alla fine non delude affatto, ma semplicemente rappresenta la certificazione del fatto che un grande artista si stia avviando, serenamente verso la fine di una carriera per molti versi irripetibile, e lo stia facendo con una coerenza ed uno spessore compositivo che gli fanno onore.

(Real World Records, 2023)

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