Max Fuschetto – Ritmico non Ritmico

(Andrea Romeo)

Iniziamo da un paio di definizioni, che sono valide in generale, ma sono applicabili anche all’ambito musicale; essenziale: che contraddistingue una cosa, fondamentale, sostanziale, indispensabile, ridotto alla sua essenza; minimale: che determina o costituisce il limite minimo.

Non è dato sapere se Max Fuschetto abbia coscientemente fatto riferimento a questi due termini, durante la composizione di quello che poi si è concretizzato in Ritmico non Ritmico, album uscito a quattro anni dal suo ultimo lavoro discografico, Mother Moonlight, ma rimane il fatto che questa sua ultima fatica si muove, a passi felpati, all’interno di un mondo rarefatto, in cui i suoni sono centellinati, i timbri sono a volte solo appena accennati, la stessa quantità di note è ridotta al minimo.

Ed anche il titolo, apparentemente spiazzante, ha un suo perché: il ritmo c’è, magari non nel senso più comune del termine, magari non nella scansione in quarti, ottavi o sedicesimi, ma in una serie di sequenze per immagini, in cui gli spazi, pieni e vuoti, seguono un percorso lineare, preciso, una metrica visuale più difficile da cogliere ma altrettanto presente e significativa.

La terna di brani che apre l’album è, in questo senso, illuminante: Number 1, Number 2 e Number 3 non sono tre tracce distinte ma, appunto, una sequenza che, volendo proprio ragionare per immagini, potrebbe rappresentare un gatto che, arrivato da poco all’interno della sua nuova casa, inizia ad esplorarla per inquadrarne gli spazi, le dimensioni, gli ambiti, e prenderne per così dire le misure.

Un inizio assolutamente morbido, quasi felpato, in cui il pianoforte di Enzo Oliva svolge il ruolo di chaperon, mentre il violino di Eleonora Amato ed il violoncello di Silvano Fusco sottolineano con grazie a delicatezza tutti i cambi di situazione; dall’esplorazione si passa alla presa di possesso che, nel secondo passaggio, significa una maggiore densità sonora, l’uso più pronunciato di effetti, un andamento più movimentato in cui la chitarra elettrica carica di delay di Pasquale Capobianco regala sprazzi di profondità che definiscono l’ambiente.

Si arriva così al terzo momento che, non solo torna alla fase iniziale, ma addirittura la supera: siamo alla totale ambientazione, all’essersi accomodati ed acclimatati, e dunque al sentirsi del tutto a proprio agio nell’ambiente circostante.

Giunti a Vortex, A Jackson Pollock, il cambio è tanto palese quanto voluto: tocca agli archi aprire il discorso, e condurlo con un linguaggio aspro, talora dissonante, o per lo meno ai limiti del dissonante: un momento di anarchia controllata, per certi versi libero e liberatorio, per altri fortemente voluto, quasi cercato; non un vortice continuo, bensì una continua serie di scivolate e risalite, a tratti ansiogene.

Midsommar Choral rappresenta invece l’estremizzazione dei concetti iniziali, poiché crea una struttura musicale circolare di cui gli archi, ed il corno francese di Luca Martingano, definiscono i confini: una sequenza di pieni e di vuoti, ed ecco ancora una volta apparire il ritmo, nella sua forma meno schematica, ma più marcatamente visuale, ritmo che diventa non-ritmo lella successiva Trame, caratterizzata da suoni liquidi, fluidi, ed in cui gli archi, ed il sax di Fuschetto, si adagiano sulla traccia del pianoforte, decisamente strumento leader di questo lavoro.

Definire questo lavoro un album di musica classica contemporanea non è affatto fuori luogo, perché le caratteristiche ci sono tutte: ricerca sonora, tonale e ritmica, mescolanza di linguaggi: Midsommar, introdotta dal flicorno dall’ospite, Luca Aquino, è un brano che si potrebbe definire atmosferico, dalla notevole ampiezza e profondità sonora, e che vive anch’esso su una sequenza continua di pieni e di vuoti, creando una sorta di ambient music in versione classica che pare volersi rivolgere più al subconscio dell’ascoltatore, che non ad una coscienza di superficie.

E per confermare questo doppio binario lungo il quale corre l’intero lavoro, da una parte la apparente semplicità, dall’altra la percepibile complessità dello sviluppo sonoro, ecco un brano come Iride, A Paul Klee, contorto, intricato, con la voce di Antonella Pililli sullo sfondo, l’oboe e gli archi a dettare la melodia e la marimba di Giulio Costanzo a dettare, questa volta in maniera “canonica”, il ritmo.

Ci si avvia alla conclusione con l’ultima traccia, A Lucio B., che si potrebbe definire un esempio di urban-pop, in cui un musicista si immerge nella realtà quotidiana ritagliandosi uno spazio fisico dal quale poter condividere la propria forza espressiva con chi, per caso o per scelta, decida di fermarsi ad ascoltare.

Max Fuschetto è un musicista classico, ovviamente, ma è anche un cultore della storia della musica, a cui non è affatto estranea una certa fascinazione per quella forte spinta alla sperimentazione che ha caratterizzato principalmente gli anni ’70; da questo connubio fra impostazione classica ed apertura a sonorità più innovative, ha tratto linfa un album decisamente originale, che va ascoltato nel momento stesso in cui si cerca di comprenderlo, e che richiede certamente un approccio non superficiale per poter essere assorbito pienamente.

Rispondendo alle domande, postegli dal giornalista e scrittore Donato Zoppo, durante la presentazione del lavoro avvenuta recentemente alla Domus Ars di Napoli, e riportate dal sito https://www.ondamusicale.it/ il musicista ha così sintetizzato il proprio lavoro: “I brani di Ritmico non Ritmico non nascono da melodie, ma dall’elaborazione di piccoli motivi che possono essere, ad esempio, rappresentati da mattoncini: nel modo in cui, poi, i suoni vengono messi l’uno dietro l’altro, nasce una musica piuttosto che un’altra. Per uscire fuori dai parametri stringenti di un arte, utilizziamo delle analogie: la linea nella pittura può diventare il suono lungo, il punto, invece, il suono breve. Quindi, ci sono delle coordinate che legano le varie forme d’arte, o di vita.” La musica, dunque, come costruzione guidata dalla creatività, ma anche dalla percezione che, nel crearla, si riesce ad avere di essa stessa.

(NovAntiqua Records, 2022)

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