La Morte Viene dallo Spazio – Trivial Visions

(Andrea Romeo)

C’è ancora voglia di sperimentare, di recuperare sonorità che sembravano perdute, unirle ad idee nuove, e tirare fuori qualcosa di curioso, affascinante, un sound magnetico che è quasi un invito al viaggio, fisico o mentale che sia.

La Morte Viene dallo Spazio non è una band in senso stretto: oggi la si definirebbe un progetto musicale, attorno al quale ruotano diversi musicisti, ma forse è più romantico e, perché no, pertinente, vedere in loro gli epigoni moderni di una serie di gruppi che assomigliavano più ad una sorta di comune artistica, gruppi che grazie anche all’andirivieni di componenti riuscivano ad esprimere un magma musicale ribollente, creativo, ricco di sperimentazione, innovazione, azzardi.

Ed allora, citandoli senza un ordine particolare, un po’ Hawkwind, un po’ Gong, un po’ The Crazy World of Arthur Brown, qualche scheggia di Tangerine Dream, Can, Magma, qualche attinenza con i lavori solisti di Tim Blake o di Nik Turner… insomma, tutti riferimenti a soggetti musicali del tutto anarchici, ed ognuno a proprio modo, sognatori: il tutto sintetizzato da un nome che non è affatto casuale, perché fa riferimento ad una pellicola italiana di fantascienza, uscita nel 1958 e diretta da Paolo Heusch, che vedeva come protagonisti Ivo Garrani, Fiorella Mari, Madeleine Fischer, Paul Hubschmid e Dario Michaelis e la fotografia di un giovanissimo Mario Bava, che si occupò anche degli effetti speciali.

La Morte Viene dallo Spazio non è stato un film qualsiasi, perché ha rappresentato il primo tentativo di realizzare in Italia un film di fantascienza “serio” e non una parodia, con una trama intrigante ed avvincente, ricca di pathos e di tensione.

La band milanese, che rappresenta un’altrettanto interessante novità nel panorama musicale italiano e ruota intorno ai fondatori del gruppo, Angelo Avogadri (La Morte), flauto e chitarre, e Stefano “Bazu” Basurto (Lo Spazio), chitarre, sitar e voce, dopo un primo lavoro, Sky Over Giza, pubblicato nel 2018, e nel quale già si intravedevano le prime sperimentazioni sonore, con Trivial Visions ha deciso di spingere in maniera decisa sull’acceleratore, dandosi una struttura e definendo in modo preciso le proprie coordinate musicali: Melissa Crema, theremin, organo, sintetizzatori e voce, si è occupata anche delle liriche, Camilla Chessa ha portato il suo basso al centro della scena, facendolo diventare il vero perno attorno al quale si ancora il suono della band, Federico Rivoli ha reso il proprio drumming totalmente funzionale a questo viaggio sonoro e, non a caso, qualsiasi parallelo con Terry Ollis, Simon King, Alan Powell o Pierre Moerlen è del tutto comprensibile e congruo.

Space rock, dunque, con forti e precise connotazioni psichedeliche e qualche non isolata influenza industrial: tastiere dai suoni dilatati, interventi precisi di theremin e flauto disegnano paesaggi stranianti già a partire da Lost Horizon, il brano che apre l’album, e che catapulta l’ascoltatore in una dimensione spaziale onirica in cui una chitarra “che arriva da lontano” ed un drumming nervoso e teso, accrescono lentamente la tensione, quella stessa tensione che esplode letteralmente nella successiva Trivial Visions, brano che dà il titolo all’album e che, con un incedere tra lo space e l’industrial, scatena un vero e proprio tornado di suoni: voce che giunge da un’altra dimensione, batteria dritta e martellante, poche e rapide pause, ed il basso che inizia a prendere per mano il suono.

Con Cursed Invader siamo in pieno territorio space rock, ed ogni riferimento agli Ozric Tentacles (ed in verità, almeno in qualche accenno, anche ai Rockets più estremi…) è del tutto ovvio ed evidente: chitarre cariche di reverbero, tastiere sovraccariche di eco, dilatate ed espanse, batteria e basso che viaggiano in sincrono, senza perdere un colpo, psichedelia pura, laddove invece Oracolo Della Morte vira verso territori più “mistici”, con suoni acidi, il basso fortemente effettato ed il sitar protagonista, e quasi nocchiero di un’immaginaria imbarcazione che si avventura in antri oscuri e carichi di mistero e di fascinazione: l’abilità dei sei musicisti nel mescolare suoni ed influenze è davvero notevolissima, così come anche l’indubbia attitudine nel recuperare un sound che non è nuovo, e di rivestirlo con abiti attuali.

Il viaggio prosegue, attraverso lo spazio profondo, con Ashes, forse il brano più prossimo al doom grazie ad un incedere pesante, ossessivo, ed in cui la voce, sempre registrata quasi fosse in un immaginario altrove, riesce a creare un profondo senso di inquietudine e di angoscia appena alleggerito da un minimo passaggi del flauto, mentre la successiva Spectrometer invece, rappresenta letteralmente una discesa negli abissi, un brano doom con forte influenza elettronica che, grazie a passaggi spigolosi, a trame nervose e ad un andamento tormentoso, diventa l’anello di congiunzione tra il metal più oscuro e la psichedelia più spinta.

La manipolazione dei suoni non si ferma, anzi, grazie ad Absolute Abyss trova nuove opportunità di esprimersi perché, se il brano inizia quasi in punta di suoni e con un’intro che profuma di oriente, inizia poi a crescere, lentamente ma inesorabilmente, fino a lambire i confini del metal, in puro stile Hawkwind (ed in Lemmy Kilminster bass-style…): l’astronave prosegue quindi il proprio viaggio ed Altered States non risulta affatto il punto di arrivo, bensì una semplice stazione intermedia perché, parafrasando il titolo di un brano della band nata a Londra nel 1969, Space is Deep, e dunque c’è ancora molta strada da percorrere.

Jazz rock, stoner rock, psych rock, prog rock, space rock, metal, industrial… La Morte Viene dallo Spazio è sicuramente tutto ciò, ma senza alcun tipo di vincolo stilistico, perché le scelte stilistiche dei cinque musicisti sono, ancorchè coerenti e connesse tra di loro, assolutamente libere e prive di qualsiasi forzatura; il loro è un viaggio, nel tempo e nello spazio, un viaggio che guarda indifferentemente in avanti ma anche verso il passato, guidato pervicacemente da quell’“insano” desiderio di conoscenza, che è poi l’energia che guida, da sempre, tutti gli esploratori.

(Svart Records, 2021)

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