John Patitucci – John Patitucci

(Andrea Romeo – 4 agosto 2020)

Brooklyn, 22 dicembre 1959: la comunità italiana, trasferitasi anni prima nella Grande Mela, acquisisce un nuovo membro, un ragazzo che in ambito musicale, di strada, ne farà davvero parecchia: nasce infatti John Patitucci, famiglia originaria di Torano Castello, provincia di Cosenza (comune che, il 10 agosto 2011, gli attribuirà la cittadinanza onoraria), che inizia a suonare il basso elettrico sin da ragazzino, si interesserà in seguito anche al contrabbasso ed al piano e si formerà, didatticamente, alla San Francisco State University ed alla Long Beach State University.

All’inizio degli anni ’80 è pronto per il grande salto: si trasferisce a Los Angeles, entra in contatto con artisti quali Victor Feldman, Henry Mancini, Dave Grusin, e Tom Scott, ma l’incontro che gli cambia davvero la vita avviene nel 1985, quando viene chiamato da Chick Corea per divenire uno dei cinque elementi della neonata Chick Corea Elektric Band, con la quale negli anni successivi realizzerà sei album, e verrà coinvolto anche nei tre album della Chick Corea Akoustic Band formando, insieme al batterista Dave Weckl, una sezione ritmica che farà letteralmente epoca.

Un’esperienza, questa, che, abbinata ad una infinita serie di collaborazioni (David Benoit, Al Di Meola, Chuck Loeb, Eric Marienthal, Lee Ritenour, Wayne Shorter, The Manhattan Transfer, Natalie Cole, Vinnie Colaiuta, Mike Stern, Herbie Hancock…), lo farà assurgere non soltanto a musicista di livello assoluto, ma di vero e proprio pioniere del basso elettrico a sei corde, strumento che, proprio negli anni ’80, non solo entrerà nell’immaginario collettivo dei bassisti di mezzo mondo, ma cambierà radicalmente l’approccio allo strumento ed il modo i suonare di parecchi artisti.

E quali siano il suono e lo stile di Patitucci, anche al di fuori di una band di culto come quella di Corea, lo si evince chiaramente sin dalle prime note di Growing, il brano che, con il groove ed il “tiro” inimitabile, apre il suo primo album come solista, John Patitucci appunto, pubblicato nel 1987 per la GRP.

Album solare, verrebbe quasi da dire “mediterraneo”, e questo perché i dodici brani che lo compongono risentono indubbiamente delle origini europee del bassista, per quell’approccio arioso, ricco di melodia e di chiaroscuri.

Già allora, la tecnica del ragazzo di Brooklyn viaggiava a livelli di eccellenza, e le qualità espresse in quel decennio lo lanciarono definitivamente nel gotha del jazz e della fusion mondiali, tanto da consentirgli di risultare il “migliore bassista jazz” nel sondaggio dei lettori della rivista Guitar Player Magazine, nel 1992, 1994 e nel 1995 ed in quello della rivista Bass Player nel 1993, 1994, 1995 e 1996.

Un bassista tecnico, certamente, ma non ipertecnico, e che non ha mai sacrificato la musicalità nei confronti della velocità o del virtuosismo fini a sé stessi, anzi: il fatto di suonare assai spesso il contrabbasso gli ha permesso di essere estremamente eclettico, e di approcciare anche il basso elettrico su due piani di tipo differente, ovvero quello dell’accompagnamento puro e quello più specificamente solista, ambito in cui utilizza, ma senza mai abusarne, tecniche come lo slap alternate a svisate o arpeggi quasi chitarristici (Wind Sprint, ad esempio, come anche Our Family).

Si può ragionevolmente affermare che lo stile di Patitucci, già evidente con l’Elektric Band, ma ulteriormente enfatizzato e reso palese nei suoi lavori solisti, possa essere considerato una sorta di spartiacque, per lo meno nell’ambito del jazz elettrico e della fusion: c’è stato un approccio bassistico precedente alla sua comparsa ed uno, sensibilmente differente, in conseguenza della sua affermazione.

Quello che è certo è che, la sua figura, è ancora oggi assolutamente imprescindibile per chiunque si approcci a questo strumento, anche perché negli anni il musicista italo-americano non si è affatto seduto sugli allori, ma ha proseguito nella sua ricerca sia per quanto riguarda la tecnica che per ciò che concerne composizione ed arrangiamento, confrontandosi anche con la musica classica, la musica da camera e la realizzazione di colonne sonore.

Non solo un bassista, quindi, ma un musicista a 360°, in grado di interagire con artisti di spicco, e questo anche in contesti sensibilmente differenti da quelli all’interno dei quali si è formato musicalmente.

Certo è che, riascoltare quest’album a distanza di trent’anni, ancora oggi lascia stupiti ed ammirati per la poliedricità, l’inventiva, e la verve interpretativa che Patitucci è stato in grado di mettere in atto, e questo insieme al gruppo di musicisti che lo ha accompagnato in questo fortunato debutto: Michael Brecker – saxophone, Chick Corea – piano, John Beasley – synthesizer, Dave Whitham – synthesizer, Dave Weckl – drums, Vinnie Colaiuta – drums, Peter Erskine – drums, non esattamente dei personaggi di secondo piano!

E non stupisce certo il fatto che l’album, nello stesso anno in cui uscì, sia schizzato immediatamente al numero uno della classifica di Billboard Magazine – Top Jazz Albums.

(GRP, 1987)

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