Toto – 40 Tours Around the Sun

(Andrea Romeo – 20 gennaio 2020)

La California, fra la fine degli anni ’60, gli anni ’70 ed i successivi anni ’80, fu davvero un luogo in cui, letteralmente, ci si poteva perdere, e questo per tutta una lunga serie di motivi non ultimo dei quali, una “way of life” sempre votata al limite che, in qualsiasi ambito si esprimesse, aveva una inconscia tensione all’estremo.
Se San Francisco rappresentò, da allora in poi, il lato più “freak” e creativo di quello che venne definito The Golden State, Los Angeles assunse il ruolo di luogo più complesso, spigoloso, un ambiente in cui la creatività faceva, in senso lato ma non solo, “a pugni” con uno spazio curiosamente risultato stretto, e nel quale per emergere dovevi quasi necessariamente tenere la guardia, ed i gomiti, ben alzati.
Heavy Metal, Rap, Thrash Metal, con tutte le loro numerose emanazioni e commistioni, trovarono da queste parti il terreno ideale per sbocciare, ma all’interno di questo imperversare di decibel e di serate ad altissimo tasso alcolico, tossico e di “vizi” di vario genere, nacque e si sviluppò qualcosa che, artisticamente, prese davvero tutt’altra strada.

Un gruppo di giovanissimi musicisti, con già però all’attivo una carriera di tutto rispetto, e che vantavano collaborazioni con artisti del calibro di Steely Dan, Seals and Crofts, Boz Scaggs, Sonny & Cher come turnisti, come dire, “di lusso”, decisero di provare a mettersi in proprio, formare una band, e vedere come sarebbe andata a finire.
Jeff Porcaro, Steve Porcaro, David Paich, Steve Lukather, David Hungate e Bobby Kimball, più o meno intorno al 1976, diedero vita ai Toto, una delle più longeve, celebrate, premiate e famose band di tutti i tempi; da quel momento la vita, di quei sei ragazzi californiani, non sarebbe stata più la stessa.
Quindici album in studio (tra cui l’epocale Toto IV, uscito nel 1982), undici dal vivo, numerose raccolte e best, hanno decretato che, si, dei turnisti di lusso, abituati a rivestire con i loro suoni i brani di altri artisti, potevano anche fare da sé, e farlo anche terribilmente bene.
La loro carriera è stata un susseguirsi, oltre che di successi, di cambi di formazione, di partenze, di ritorni, anche di lutti (Jeff Porcaro, Mike Porcaro e Dennis “Fergie” Frederiksen se ne sono andati…), ma la testardaggine, in special modo, di Lukather e di Paich,ha fatto si che la band, malgrado qualche momento di pausa, ed anche di sbandamento, non sia mai venuta meno.
Tutto ciò non ha impedito loro, come gruppo o singolarmente, di collaborare e di scrivere brani per una quantità impressionante di artisti rock e pop di altissimo livello: valga per tutte Human Nature, scritta da Steve Porcaro, poi prodotta da Quincy Jones ed interpretata da Michael Jackson insieme ai Toto stessi.
Il debutto della band nel 1978 e, quarant’anni esatti dopo, un album celebrativo, 40 Tours Around the Sun, registrato dal vivo e nel quale hanno cercato di inserire tutto, o quasi, il meglio della loro produzione: nell’occasione, ai quattro membri “storici”, ovvero Steve Lukather, David Paich, Steve Porcaro e Joseph Williams, si sono affiancati tra gli altri, Shem von Schroeck al basso (Kenny Loggins, Don Felder, Steve Perry, Gary Wright and Ambrosia), Shannon Forrest alla batteria (Brooks & Dunn, Taylor Swift, Rascal Flatts, Carrie Underwood, Mary Chapin Carpenter, The Chieftains, Willie Nelson, Ricky Skaggs, Trisha Yearwood, Lee Ann Womack, Jerry Douglas, Merle Haggard), Warren Ham, al sassofono, ed il vecchio amico Lenny Castro, le cui collaborazioni sono davvero troppe per essere elencate, alle percussioni.

Quasi una trentina di brani, tra cui un paio di eccellenti inediti tratti dall’ultimo lavoro in studio, impeccabili come loro solito, certamente con un alto tasso di nostalgia, perché quando ti volti indietro a guardare quarant’anni di carriera è normale ripercorrere, con la mente, quanto di bello e di meno bello è successo, in un lasso di tempo così ampio.
Ma, di fondo, una gioia condivisa con la gente che ha riempito i palazzetti durante un tour, durato un anno ed oltre, in cui la band californiana ha avuto l’ennesima conferma del fatto che, il proprio pubblico, non solo quello anagraficamente più “vintage”, continua a seguirli.
E che, quando partono gli accordi di piano di Hold The Line, o lo shuffle di batteria di Rosanna, la magia si ripete, sempre, senza perdere un grammo del proprio incanto.

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