Tinsley Ellis – Naked Truth

Ritornare alle origini rappresenta per molti artisti coraggiosi, soprattutto in ambito blues, una sorta di purificazione catartica derivante dalla riconciliazione con le basi e con i Maestri iniziatori della più grande rivoluzione musicale, che dall’inizio del 1900 ha influenzato tutte le note prodotte e suonate fino ad oggi.

Tinsley Ellis non si sottrae a questa sfida e confeziona un disco acustico, “Naked Truth” di pregevole fattura, ribadendo ancora una volta la sua estrema bravura nel maneggiare le chitarre, per l’occasione rispolverate dalla sua collezione: una Martin D 35, regalatagli dal padre, ed alcune National Steel guitar. Ellis, nato ad Atlanta in Georgia nel 1957, nell’adolescenza subì il fascino di B.B. King, decidendo di diventare chitarrista e bluesman. Infaticabile performer dal vivo con più di 150 concerti all’anno, percorre in lungo ed in largo tutti gli Stati Uniti. Con una ventina di album all’attivo, esprime in modo funambolico il suo ecclettismo musicale preferendo lo stile di Chicago, senza mai abbandonarsi ad una sterile manifestazione di virtuosismo fine a sé stesso. Moltissime le sue collaborazioni tra le quali vale la pena citare Warren Haynes, Widespread Panic, The Allman Brothers Band, Stevie Ray Vaughan, Jimmy Thackery, Otis Rush, Willie Dixon, Son Seals, Koko Taylor, Albert Collins and Buddy Guy.

L’atmosfera che si respira fin dalle prime note del CD riporta al profondo Delta del Mississippi, quando nel 1903 W. C. Handy, musicologo e direttore d’orchestra, in transito alla stazione di Tutwiler fu colpito dal suono di un “nero dinoccolato che utilizzava la lama di un coltello sulle corde della chitarra … ripetendo lo stesso verso tre volte”. E’ la prima conosciuta descrizione del blues e dello stile slide, stile che Tinsley Ellis maneggia con competenza e grande maestria. Dodici i brani contenuti in questa pubblicazione, tutti originali composti da Ellis, ad eccezione di tre standard: Death Letter Blues di Son House, Don’t Go No Further di Willie Dixon e The Sailor’s Grave On The Prairie di Leo Kottke.

Cio’ che colpisce l’ascoltatore attento è la straordinaria voce di Ellis, capace di passare da toni aspri e rasposi al falsetto, con accenti quasi celestiali – alla Skip James – nell’ipnotico brano Windowpane, riuscendo a trasmettere gli stati d’animo e le emozioni che hanno alimentato la sua penna sapientemente utilizzata tra le righe degli spartiti. Racconta plasticamente le inquietudini, le frustrazioni ma anche la dignità e il riscatto degli ultimi e, nel farlo, sente l’esigenza di suonare e cantare lasciando per una volta da parte elettricità e arrangiamenti complessi per concentrarsi sull’essenza della musica del diavolo, per l’appunto la nuda verità, come lo era in origine, cantata dalle anime perse degli hobos e dei vagabondi, nei juke joint del sabato sera, ad alto tasso di Moonshine, o tra le assi di legno delle casupole nelle piantagioni.

Un vortice di note slide avvolge la voce di Ellis, come nell’omaggio a Son House di Death Letter Blues, o lo strumentale Silver Mountain, aulica descrizione musicale della dorsale degli Appalachi, con un arpeggio a volte quasi rabbioso, ma ingentilito da armonie dolci. Il boogie fa capolino in Don’t Go No Further di Willie Dixon, un brano che stuzzica le dita del nostro Ellis, lasciandole andare a magistrali assoli. Leo Kottke è omaggiato con la sua The Sailor’s Grave On The Prairie, un brano strumentale dal sapore languido e trascendentale. L’ascolto di Tallahassee Blues ci porta nelle polverose strade della città della Florida, dove nei primi anni dello scorso secolo lo sferragliare di vecchie automobili è magistralmente richiamato da poderose note strascicate dalla slide. Un brano meraviglioso, come il successivo Hoochie Mama, un walking blues che ci riporta ai riti ancestrali delle piantagioni. Alcovy Breakdown è il classico brano che faceva ballare nei juke joint al sabato sera, riportando almeno un po’ di spensieratezza. Horseshoes And Hand Grenade inevitabilmente mi fa pensare a quel grande bluesman di Mississippi Fred Mcdowell e la sua You Gotta Move. Una magistrale prova di Tinsley Ellis alla slide. Lo stile inconfondibile di John Mayall è evidente nel successivo brano Grown Ass Man, la voce e lo stile richiamano tipicamente quelli del grande ed anziano musicista, capofila del british blues. L’ultima traccia, la strumentale Easter Song, sembra appositamente scritta per questo periodo Pasquale. Il brano è un dolce arpeggio alla Martin, che lascia un sapore dolce di serenità. Naked Truth è una grande prova d’artista, che riconcilia Tinsley Ellis e noi amanti del buon blues con la musica dell’anima, una dichiarazione d’amore verso quel tempo nel quale bastava una chitarra e la voce per raccontare la vita sperduta dei pionieri del blues.

Le tracce:

1 – Devil In The Room (Tinsley Ellis);

2 – Windowpane (Tinsley Ellis);

3 – Death Letter Blues (Son House);

4 – Silver Mountain (Tinsley Ellis);

5 – Don’t Go No Further (Willie Dixon);

6 – The Sailor’s Grave On The Prairie (Leo Kottke);

7 – Tallahassee Blues (Tinsley Ellis);

8 – Hoochie Mama (Tinsley Ellis);

9 – Alcovy Breakdown (Tinsley Ellis);

10 – Horseshoes And Hand Grenades (Tinsley Ellis);

11 – Grown Ass Man (Tinsley Ellis);

12 – Easter Song (Tinsley Ellis)

(Alligator Records – 2024)

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