Robben Ford – Purple House

(Andrea romeo – 5 dicembre 2019)

Ai grandi musicisti piace, durante la loro carriera, stupire, uscire da quegli schemi all’interno dei quali, i loro ascoltatori, li hanno inevitabilmente inseriti probabilmente proprio perché li seguono da molto tempo; ma può anche succedere che, un appassionato che si avvicini per la prima volta ad un artista, e decida di andare successivamente a “frugare nel suo passato, si renda conto del fatto che, in anni di carriera, lungi dall’essere monocorde, il soggetto in questione sia transitato attraverso generi musicali differenti, pur mantenendo uno standard qualitativo elevatissimo, e soprattutto portandosi sempre dietro il proprio suono, ed il proprio stile.
Questa serie di sensazioni si palesa, chiaramente, ascoltando l’ultimo lavoro solista di Robben Ford, chitarrista californiano originario di Woodlake, che della poliedricità ha fatto un vero e proprio tratto distintivo del proprio percorso artistico.

Associato comunemente al blues, al jazz ma anche alla fusion, ad un certo punto della sua vicenda musicale, e questo per via di una serie di collaborazioni di altissimo profilo, Ford, in questo album spinge decisamente il pedale dell’acceleratore non soltanto verso accenti southern, Tangle With Ya, oppure carichi di groove e di chiari riferimenti funk, Somebody’s Fool, ma anche verso territori non molto lontani dal pop, come in Bound for glory, brano articolato ma estremamente diretto e fruibile.

In Purple House si ascolta un musicista che ha, forse, definitivamente smesso i panni del guitar-hero, panni che, inevitabilmente, gli erano stati cuciti addosso nel tempo; la musica si sviluppa in maniera più corale, la chitarra resta, si, in primo piano, e si esprime spesso con toni molto bluesy, come in What I Haven’t Done, ma non è certamente preponderante come lo era stata precedentemente.
Certo, fra le pieghe di questi brani, non è difficile riconoscere il fondatore degli Yellowjackets, oppure il chitarrista che si è seduto ed ha suonato, in studio, al fianco di Miles Davis, Joni Mitchell, Dizzy Gillespie o Ricky Lee Jones, ed ha prestato la sua sei corde alla causa dei Kiss, ma ciò che si avverte, in ogni caso, è il fatto che le cose sono cambiate, e di parecchio, da allora.

Il chitarrista virtuoso e tecnico c’è ancora, e ci mancherebbe, e questo perché le dita fanno ancora, e con la medesima padronanza, ciò che facevano dieci, venti, trent’anni e più fa, ma l’esperienza e la consapevolezza hanno fatto si che Robben Ford sia oggi un musicista ancor più a tutto tondo, un chitarrista che ha fatto sintesi del suo passato e, proprio per questo, sia alla ricerca di un approccio differente.

Purple House è un lavoro che, ascolto dopo ascolto, rivela dettagli, particolari, finezze che vanno colte, con attenzione, per poterne apprezzare il valore.

Casey Wasner (guitar), Ryan Madora (bass), e Derrek C. Phillips (drums), oltre ad un nutrito gruppo di ospiti, hanno posto il musicista statunitense nelle migliori condizioni per potersi esprimere al meglio, assecondandolo, stimolandolo, ma a tratti anche spingendolo, quasi, ad andare un po’ più in là.

(E.a.r. Music/Edel, 2018)

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