Peter Bardens – Long Ago, Far Away-The Recordings 1969-1971

Nel Gennaio del 2002 si spegnava a Malibù California, a soli 56 anni, il tastierista, cantante e compositore Peter Bardens, nome che forse ai più giovani dice poco o nulla, ma che ha contribuito a segnare indelebilmente una delle stagioni più feconde del progressive rock britannico degli anni ’70; dopo un breve periodo durante il quale aveva collaborato con The Cheynes e poi con i Them, aveva formato The Peter B’s, divenuti Peter B’s Looners ed infine Shotgun Express, in cui militarono anche Rod StewartMick Fleetwood e Peter Green.

Chiusa la parentesi con la nascita dei The Village, scioltisi nel 1970, abbandonate le velleità soliste, nel 1971 entrò nei Camel, con cui scrisse le pagine più belle di una lunga discografia: Camel, 1973, Mirage, 1974, The Snow Goose, 1975, Moonmadness, 1976, Rain Dances, 1977 e Breathless, 1978 rappresentano l’apice di una carriera da protagonisti di un periodo creativo, e ricco di suggestioni sonore.

Le radici del suono che caratterizzò l’approccio tastieristico e compositivo di Bardens però, arrivano proprio dai suoi inizi, e da una carriera solista che è sempre passata in sordina, messa in un angolo dal nome, in certo qual modo ingombrante, della band che avrebbe contribuito a creare ed a condurre ad un successo che, come per molte band coeve come CaravanMatching MoleHenry CowHatfield and the North o National Health, non fu immediato, ma si diluì nel lunghissimo periodo, arrivando infine ad una vera e propria riscoperta della cosiddetta Scena di Canterbury alla quale molte band, inclusi i Camel, vennero impropriamente associate, pur senza avere spesso una reale presenza su quel territorio, riscoperta avvenuta diversi anni dopo.

Le radici di Peter Bardens come autore, musicista e cantante affondano nel triennio 1969/1971 ed a questo periodo fa riferimento il cofanetto pubblicato dall’etichetta Esoteric, che ha recuperato i due album solisti prodotti dal musicista di Westminster, The Answer, uscito nel 1970, al quale parteciparono tra gli altri Andy Gee ed un non accreditato, Peter Green, e Peter Bardens, stampato negli Stati Uniti con il titolo Write My Name in the Dust; a questi due lavori sono stati aggiunti alcuni altri brani, tra cui alcune b-sides ed un paio di pezzi realizzati proprio dai The Village, l’ultima band con cui Bardens aveva lavorato prima del sui ingresso nei Camel.

Ci si immerge in uno scenario bucolico, dalle venature romantiche e sognanti in cui cogliere la continuità con la produzione dei Camel, in cui Bardens trasferì un approccio a mezza via tra il folk, il nascente progressive ed il rock più consolidato.

Ed ecco allora The Answer, sei tracce che prendono avvio dalla titletrack in cui la chitarra di Gee è assoluta protagonista, brano malinconico, quasi tutto in minore a sottolineare lo struggimento, con passaggi di tastiere dallo stile barocco, tanto che una spinetta o un clavicembalo non avrebbero affatto stonato, cui fanno seguito Don’t Goof with a Spook, bluesaccio circospetto, percussioni ammiccanti, organo e chitarra in punta di dita, voce quasi recitante, I Can’t Remember, dieci minuti di rock blues carico di groove, con il basso di Bruce Thomas in bella evidenza, una chitarra solista che gronda fuzz e wah ed un bel cambio di velocità a metà brano, prima di tornare al mood iniziale; interessanti le prestazioni vocali di Bardens, Alan MarshallDave WooleyLinda Lewis Steve Ellis che creano sovrapposizioni complesse ed accattivanti.

Si cambia registro con I Don’t Want to go Home, ballad pop ingentilita da un bel fraseggio di chitarra doppiato dal flauto, un notevole lavoro delle voci e delle percussioni di Rocky, Marshall e Wooley, mentre Let’s Get it On è un brano che rimanda a T-Rex o Groundhogs, al rock blues britannico che in quegli anni si stava affermando; si chiude con Homage To The God Of Light, tredici minuti in cui, trascinati dall’instancabile batteria di Reg Isadore, si percepiscono nitidamente i suoni e le dinamiche che faranno parte del patrimonio dei Camel: non a caso questo è stato l’unico brano solista di Bardens che avrebbe fatto parte del loro repertorio.

Man in the Moon e Long Time Coming sono i brani recuperati dal repertorio dei Village, ovvero Bardens, Thomas e Bill Porter alla batteria: andamento indolente, suoni dagli echi psichedelici del decennio precedente, tastiere in grande spolvero nel primo, ritmo brillante, bel pattern di basso e tastiere che si notano per le scelte dei suoni, nel secondo; Long Ago, Far Away, che dà il titolo al cofanetto, è invece una improvvisazione strumentale in studio, realizzata da Bardens insieme a Gee, Thomas, Isadore e Rocky, basata su un ostinato di piano doppiato dal basso, tra rock-blues e folk-rock, e che rimanda anch’essa ai futuri lavori di Bardens con i Camel.

Il secondo lavoro mette in fila nove brani che vedono la presenza di Vic Linton alle chitarre, Victor Brox al violino ed all’arpa, John Owen al basso e Lisa StrikeJudy PowellAnita Pollinger e Maxine Iffla alle voci; lo stile cambia, e lo si nota già da North End Road, curioso brano vaudeville cui fa seguito Write My Name in the Dust, il cui arrangiamento denota un deciso passo avanti rispetto al debutto, confermato dai brani successivi ricchi di personalità: Down so Long, dagli accenti dark, quasi doom/stoner ante litteram, Sweet Honey Wine, che strizza l’occhio al beat dei sixties, Tear Down the Wall, curioso ed insolito incrocio tra funk e psych-rock.

Simple Song rimanda al brano d’apertura, un po’ alla DonovanMy House è simile a certi passaggi dei Procol Harum, per la maestosità dei suoni, Feeling High è un rock-blues ritmato, carico di groove ed echi della summer of love, Blueser chiude, felpato e notturno, più New York che Londra; l’outtake finale è Homage To The God Of Light Pt.1 e Pt.2, lati A e B del singolo pubblicato in Francia nel Gennaio del 1971.

A Settembre dello stesso anno Bardens, dopo aver risposto ad un annuncio del Melody Maker e firmato Andrew LatimerDoug Ferguson ed Andy Ward, entrerà a far parte dei The Brew, che cercavano un tastierista: nel giro di un paio di mesi e dopo alcuni concerti come Peter Bardens’ On, i quattro divennero Camel, e fu proprio in quel momento che la storia prese tutta un’altra piega.

(Esoteric/Cherry Red Records, 2022)

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