KK’s Priest – The Sinner Rides Again

Capita anche nelle migliori famiglie che qualche frizione interna, dopo anni di convivenza, porti a dolorose separazioni e, quando ciò accade all’interno di una band, i Judas Priest, in pista addirittura dal 1969 e considerata seminale per quanto riguarda la NWOBHM, la cosa lascia ancor di più l’amaro in bocca; se poi a separarsi è la coppia di chitarristi che ha letteralmente inventato, ed incarnato, l’idea delle twin guitars, ovvero il concetto di due chitarristi che, invece di dividersi i compiti, ritmici e solisti, se li scambiavano, spesso e volentieri all’interno del medesimo brano, lo sconcerto dei fans è risultato essere decisamente notevole.

Il primo a mettere piede nella band, sin dalle origini, fu Kenneth Keith Downing Jr., al secolo K.K., che dopo essere stato affiancato da John Perry prima, e da Ernie Chatawaysuccessivamente, trovò in Glenn Raymond Tipton, nel 1974, il partner ideale, con il quale creò da zero il suono che contraddistinse i Priest lungo tutta la loro carriera cosicchè da allora, e fino al 2011, i due formarono una delle coppie di chitarristi più conosciute al mondo; ma, come detto, ad un certo punto qualcosa si ruppe ed in maniera irreparabile: un generico “on-going breakdown in working relationships between myself, elements of the band, and management, for some time” dice poco sui reali motivi di questo split, ma si tratta in fondo di questioni che riguardano la band.

K.K. Downing, ribelle sin da giovane, quando abbandona la scuola all’età di quindici anni, viene cacciato di casa a sedici e, da allora, non ha più avuto rapporti con i genitori, considera comunque i Judas Priest come una creatura musicale che lo riguarda e lo coinvolge direttamente, e trova il modo di riappropriarsi per lo meno di una parte di quel mondo al quale ha contribuito artisticamente per oltre quarant’anni.

Nel 2019, dopo alcuni anni di pausa, chiama l’ex-cantante dei Priest, dal 1996 al 2003, Tim “Ripper” Owens, ed il batterista Les Binks, che aveva suonato con loro dal 1977 al 1979, coinvolge inizialmente l’ex-bassista dei MegadethDavid Ellefson ed alla seconda chitarra A.J. Mills degli Hostile, di cui aveva prodotto due album.

Sostituito Ellefson con Tony Newton la band, che ha per nome KK Priest entra in studio e, dopo aver avvicendato Binks, infortunato, con il batterista americano Sean Elg, ne esce il 1° di Ottobre del 2021 con l’album di debutto, Sermons of the Sinner che, ovviamente, richiama in maniera evidente gli stilemi della band “madre”, del cui sound Downing era stato, peraltro, uno dei principali artefici.

Un azzardo? Un salto nel vuoto? Forse, ma il riscontro di pubblico è più che buono, perché le dieci tracce che compongono l’album contengono tutto ciò che i fans si aspettano di ascoltare: Owens, in proposito, è chiarissimo: “… sul disco c’è un po’ di tutto: c’è aggressività, e la puoi sentire sul pezzo Hellfire o ancora di più su un altro paio di brani, ci sono anche pezzi classic metal nel tipico stile di K.K., ci sono poi brani epici, con grandi cori fatti per essere cantati dal pubblico durante i live… c’è un po’ di tutto; il brano Sermons Of The Sinners ha delle parti molto alte, cantate in falsetto, ed il resto del disco mischia il tutto molto bene.

Confortati da questo esito, tutt’altro che scontato, e nonostante la critica non sia stata unanime nel plauso, i cinque ci hanno preso gusto e, nel giro di un paio d’anni, hanno confezionato il loro secondo full-lenght che, contrariamente a quanto si poteva azzardare, rappresenta un bel passo in avanti, soprattutto dal punto di vista delle idee.

The Sinner Rides Again, con le sue nove tracce, amplia gli orizzonti, permette alla band di muoversi con maggiore agilità, rispetto al sound da cui proviene, mantenendo comunque la dimensione di un tributo all’heavy metal più genuino ed autentico.

Sons Of The Sentinel è un classicone legato al passato, Strike Of The Viper un singolo di sicura presa, soprattutto dal vivo, Reap The Whirlwind una cavalcata epica, One More Shot At Glory una fiammeggiante scarica di epic metal.

I KK Priest non si risparmiano, “Ripper” Owens dimostra chiaramente il perché, a suo tempo, venne considerato anche dai fans un degno sostituto di Rob Halford, Downing e Mills, che hanno trovato un buon equilibrio, macinano riffs senza soluzione di continuità, Newton ed Elg offrono una base ritmica poderosa, per cui la band gira al massimo dei giri: Hymn 66 esplora il lato più oscuro e pesante del sound, la title track, dopo un inizio quasi cauto sprizza energia, addirittura in eccesso, in certi passaggi, Keeper Of The Graves e Pledge Your Souls rappresentano invece l’anima più dark della band, ma anche il luogo nel quale i passaggi solisti possono esprimersi compiutamente, e con uno spazio adeguato; la chiusura è affidata a Wash Away Your Sins, che sconfina nell’epic metal ma offre una sezione strumentale di assoluto valore.

Chi è appassionato di heavy metal, nella sua forma più classica ed in un certo senso storicizzata, troverà più di un motivo per apprezzare questo lavoro; chi si avvicina al genere per la prima volta potrà invece ricevere interessanti stimoli per ampliarne la conoscenza ad altri periodi, ad altre band, ad altri stili; chi invece ha percorso il lungo viaggio del metal, dalle origini ad oggi, potrà esprimere una differente serie di valutazioni che, in ogni caso, conducono ad una riflessione: K.K. Downing, Tim Owens ed i loro sodali hanno tutti gli strumenti, tecnici e creativi, per proporre un proprio approccio al metal, ma otterranno risultati decisamente più interessanti quando sapranno, o vorranno, distaccarsi in modo più sensibile dalle loro radici, andando ad esplorare altri spazi all’interno dei quali, per ora, non hanno osato avventurarsi.

Due album in certo qual modo derivativi, ma che ci stavano, assolutamente, anche perché come già detto, di questo sound sono stati creatori e protagonisti, ed era impensabile che non ne tenessero conto; ma quando, e se, ci sarà auspicabilmente un terzo album, forse allora sarà il momento di mollare gli ormeggi e di allontanarsi dai lidi conosciuti, da quella sorta di comfort zone dalla quale, inevitabilmente, era abbastanza difficile staccarsi, almeno all’inizio: dal vivo sarà già un piacere vederli, in studio hanno tutte le carte in regola per regalare qualcosa di valido ed originale.

(Napalm Records, 2023)

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