Didier Lockwood – The Unique Concert

(Andrea Romeo)

Le 1er Novembre 1980 au Théâtre de la Ville de Paris, un concert exceptionnel réunissait quelques uns des plus grands musiciens français et européens de jazz de cette époque: Didier Lockwood, Aldo Romano, Allan Holdsworth, Gordon Beck et Jean-François Jenny-Clark. Une affiche exceptionnelle n’est pas forcément l’assurance d’un grand concert, et pourtant, ce soir-là, c’est le cas!

The Unique Concert, un titolo che potrebbe dire tutto ed al quale, le parole di un appassionato presente quella sera di quarant’anni fa, aggiungono il senso di eccezionalità per uno di quegli eventi che acquisiscono, nel tempo, la fama di “imperdibili”, proprio per essere stati, come si suol dire, “one shot”. Chi erano, allora, i cinque musicisti che si presentarono sul palco di quel teatro parigino ma soprattutto… chi sarebbero diventati, negli anni successivi?

Jean-François Jenny-Clark, contrabbassista nato a Toulouse nel 1944, proveniva da una serie di collaborazioni decisamente impressionante, tra le quali quelle con Don Cherry, Steve Lacy, Keith Jarrett, Gato Barbieri, Martial Solal, Giorgio Gaslini, Jean-Luc Ponty, Steve Grossman e dal 1965 al 1980 si era già imposto come uno dei più influenti contrabbassisti a livello europeo. Sarebbe poi diventato uno dei principali esecutori di musica contemporanea, interpretando composizioni di John Cage, Luciano Berio, Mauricio Kagel, Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez e Vinko Globokar, suonando anche in trio con il pianista tedesco Joachim Kühn ed il batterista elvetico Daniel Humair.
Gordon Beck, pianista di Brixton, classe 1935, aveva lavorato tra gli altri con Don Byas, Tubby Hayes, Phil Woods e la vocalist Helen Merrill, ed i Nucleus, prima di diventare house pianist al Ronnie Scott’s Jazz Club di Londra. Registrerà insieme ad Henri Texier, Didier Lockwood ed Allan Holdsworth, con cui andrà anche in tour, segnalandosi per lo stile preciso e nel contempo assai fantasioso.
Aldo Romano, batterista bellunese, classe ’41, si era già esibito con Don Cherry, Steve Lacy, Dexter Gordon, Michel Petrucciani (che spinse ad intraprendere la carriera musicale), Enrico Rava, e stava iniziando quella che sarebbe stata una lunga e fortunata carriera come solista, durante la quale lavorerà anche con Steve Kuhn, Miroslav Vitous, Louis Sclavis ed Henri Texier, dopo essersi stabilito in Francia.
Allan Holdsworth, chitarrista di Bradford, classe 1946, aveva iniziato a produrre album solisti dopo essere esploso nell’ambito della scena di Canterbury grazie alle collaborazioni con Nucleus, Tempest, Soft Machine, Pierre Moerlen’s Gong, oltre a The New Tony Williams Lifetime, Jean-Luc Ponty, Bill Bruford, ed UK.

Durante una lunga carriera votata alla ricerca ed alla sperimentazione sonora, diverrà un vero e proprio punto di rifermento per i chitarristi di mezzo mondo, a prescindere dai generi musicali, sviluppando tecniche di fraseggio tuttora studiate; lungo la strada, incontri con artisti del calibro di Stanley Clarke, Stuart Hamm, Jack Bruce, Chad Wackerman, Steve Hunt, Derek Sherinian, Jimmy Johnson, Gary Novak, Jeff Berlin, Alan Pasqua, Gary Husband, Vinnie Colaiuta, Planet X, Level 42, Krokus

Didier Lockwood, colui che radunò la band per l’evento, era il più giovane della compagnia; nato a Calais nel 1956, militò in diverse importanti band francesi, Lockwood, Magma, Surya, Clearlight, Henri Guedon Congress, New Quintet Du Hot Club De France, Swing Strings System e Synthesis, iniziando nel contempo una promettente carriera come violinista acustico ed elettrico, ispirato dall’ album King Kong: Jean-Luc Ponty Plays the Music of Frank Zappa. Negli anni successivi, oltre a realizzare parecchi album solisti, sarà presente in numerose situazioni: All Star Quartet, Didier Lockwood Group, Didier Lockwood Quartet, Fusion, The String Summit, Utopic Sporadic Orchestra, oltre ad un cameo con i canadesi degli Uzeb, immortalato nell’album Absolutely Live del 1986.

Cinque primedonne, senza alcun dubbio, una formazione che avrebbe potuto paradossalmente anche deludere per eccesso di protagonismo, oppure fare letteralmente faville; in effetti, quella sera, tutto funzionò davvero alla grande, Lockwood ed Holdsworth si sfidarono, in velocità e precisione, come racconta Romano in un’intervista, ma la gioia ed il piacere di suonare con gente di quel livello presero il sopravvento ed il pubblico vide ed ascoltò qualcosa di davvero grandioso.
Il batterista descrive la sorta di osmosi creatasi tra i musicisti ed in effetti, nelle cinque composizioni a firma Lockwood (tre brani) e Beck (due brani), si percepisce in maniera tangibile una sinergia musicale con cui raramente capita di avere a che fare: quando scatta quella “magia” è davvero difficile fermare artisti di questo calibro.

Sin dalle prime note del brano di apertura, i ventuno minuti di Flight, titolo quanto mai azzeccato, il quintetto prende letteralmente il volo e ci si trova di fronte a qualcosa di molto interessante: ritmo, swing, contrabbasso e batteria trascinanti, ed i due solisti a scambiarsi fraseggi mentre il pianoforte disegna le sue trame tenendo insieme ritmica e melodia; in sintesi, un interplay assoluto, esaltante, figlio non solo di un tasso tecnico fenomenale, ma anche di una spontaneità fluida e totale.

Virtuosismo, certo, ma anche intensità; voglia di primeggiare, come no, ma anche capacità di concedere spazio per creare un insieme; energia, assolutamente, ma anche totale controllo della dinamica; in questo senso, i repentini cambi di atmosfera che si possono ascoltare con Zebulon Dance e con la successiva Fast Travels, oltre a dare la misura dell’ecletticità dei cinque, contribuiscono a gettare i semi di quelli che saranno la fusion e lo smooth jazz dei successivi anni ’80.

Halfway House, con le sue trame tenui, sposta ancora l’approccio della band verso una delicatezza in cui il tocco dei singoli e le atmosfere create dalle scelte timbriche denotano, ancora una volta, l’attitudine nel saper cogliere ed interpretare le reciproche sollecitazioni musicali; la conclusiva Sunbird introdotta dal violino di Lockwood, cui si accodano prima il pianoforte di Beck e poi il contrabbasso di Jenny-Clark, si scatena grazie ad un gioioso ritmo latineggiante, una samba allegra e solare che conclude degnamente una serata davvero memorabile.

(Jms/Galileo Music Communication, 2020)

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