Black Helium – Um

Stub: It’s possible to create a better world, but it wouldn’t be the same world you live in
Immaginate come la sera del 21 novembre 1963 John Fitzgerald Kennedy stesse assolutamente bene. In
forma, nonostante i numerosi problemi di salute e senza quel fastidioso mal di schiena che lo tormenta da
tanto tempo. Talmente in forma da rinunciare a quel maledetto busto ortopedico. Scomodo al punto da
non permettere il più semplice movimento lombare a causa di quelle dannate stecche rigide. Così nella
Suite 850 dell’Hotel Texas di Fort Worth riesce ad addormentarsi tranquillo insieme alla moglie
Jacqueline. La mattina del 22 novembre atterra all’aeroporto Love Fields di Dallas con l’Air Force One e
poco dopo il corteo presidenziale inizia il suo percorso. In prossimità della curva tra la Houston Street e la
Elm, mentre saluta la folla, diversi colpi di fucile esplodono in direzione della vettura: uno colpisce John
alla gola. Il Presidente si accascia immediatamente ed istintivamente sul sedile, ferito, mentre altri spari
risuonano fino a quando un secondo proiettile sibila e centra la parte anteriore della macchina. Forse
diretto alla testa e fortunatamente evitato. La limousine si dirige velocemente verso il Parkland Memorial
Hospital, dove i medici si adoperano per salvare la vita al Capo di Stato, grave ma cosciente. Le ore si
dipanano convulse. Il vicepresidente Lyndon Johnson dichiara che Kennedy è stato sottoposto ad un
delicato intervento chirurgico e che le sue condizioni sono critiche ma stabili: “Non credo che l’attentatore
abbia agito da solo, anche se posso accettare che abbia premuto il grilletto”. Intanto un certo Lee Harvey
Oswald viene fermato e poco dopo accusato di essere il presunto killer. Non confesserà mai.

So come on, Jack be nimble, Jack be quick
Immaginate ora di essere alla fine di quel decennio dei ’60, quando cominciano gli assalti di MC5 e
Stooges, quando Woodstock era solo un raduno, quando tutto diventa un’immensa jam session, quando
Putin era un adolescente, figlio di un membro del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni.
Immaginate come Jimi Hendrix sia riuscito a scuotersi dal torpore e respirare in quella notte del ’70 al
Samarkand Hotel, che l’ex detenuto Charles Mason sia stato buttato fuori da una comune di Los Angeles
perchè preferivano gli Stones ai Beatles e i Grateful Dead ai Beach Boys. Oppure immaginate Bob Dylan,
Allen Ginsberg e Lou Reed riconosciuti dal Congresso degli Stati Uniti come rappresentanti eccellenti
delle istanze popolari e promotori delle nuove leggi sui diritti civili. Consacrati col Nobel per la Pace e
per la Letteratura nel ’67, ’69 e ’71. L’apprezzato guru psichedelico Timothy Leary viene autorizzato
all’uso di additivi chimici solo come mezzo per il ricongiungimento con il Dio in cui crediamo. Altamont
è un pacifico festival sulla costa ovest grazie al mite servizio d’ordine prestato da un collettivo hippies. La
cantante Merry Clayton, invece, riesce a portare a termine una gravidanza, mettendo alla luce una bella
bambina futura Segretario di Stato USA. Questo è un segmento temporale ucronico che prende forma e
rimodella il mondo dentro un Universo parallelo. Jack Kennedy, guarito ed in carica, dopo l’incidente nel
Golfo del Tonchino, avvia i colloqui di mediazione con i Nordvietnamiti ed evita l’escalation bellica. La
guerra del Vietnam si spegne col capodanno Buddista del ’68 a Da Nang. I bambini fanno festa correndo
in strada felici per unirsi a Marines e Vietcong, intonando a squarciagola canti Quan Ho e Surfin Bird.
War is over and no Nixon, Watergate, Carter, Reagan and Bush. Il Muro di Berlino finisce per essere
inondato da fiori e Vodka Moskovskaya e abbattuto nel ’72. Russi e tedeschi salutano l’Ostpolitik e vanno
a vedere Love Story al cinema. Tutti questi avvenimenti, sublimati dallo smantellamento della vetusta
Nato e dal disgelo fra Israele, Paesi Arabi e Palestina, creano un filone artistico-musicale solennemente
radicato alla “cultura della controcultura”. Nessun germe punk, grunge o black metal.

Can music save your mortal soul?
Col passare degli anni una strana band londinese, chiamata Berkelium, verso il termine dei pacifici ed
ecologici anni dieci, nel XXI secolo, cavalca le linee dell’opposizione ideologica, addentrandosi nel freak

out armonico/disarmonico e nei colori della formula oppioide. Ma non è questa la linea temporale che
conosciamo? Non è andata così? No, certo, ovviamente. Purtroppo per noi, siamo custoditi da una precisa
distopia. Bruscamente risvegliati dai sogni e dalle teorie facciamo parte di Universo non molto fortunato,
dove la scritta “this machine kills fascists” rimane un messaggio utopico. La Thatcher con la vittoria alle
elezioni del ’79 sancisce la sconfitta delle classi popolari contro quelle dei ricchi e determina lo
spartiacque liberista, tracciando il conseguente decadimento culturale e ideologico. L’America è più che
mai “uber alles” e l’Europa una potenziale polveriera sociale. L’unica cosa rimasta quasi uguale è sempre
la stessa strana band londinese che imperversa nell’underground britannico inneggiando a componimenti
barbarico-lisergici e adrenalina magnetica. Stavolta il nome, reale, è Black Helium.

Eight miles high and falling fast
Um è il terzo album che si inchina, col volume alzato al massimo, a svisate concentrazioni iper-distorte.
Ci sono bagliori che riconducono al blues inquinato dei Groundhogs sino al feedback discordante di
Spacemen 3. Fugaci abrasioni derivano dalle orgiastiche funzioni spaziali degli Hawkwind, protratti in
nebulose maligne nei dintorni della JPT Scare Band, col conseguente atterraggio terrestre alla volta di
Pompei e Colonia. Su Um ci sono cinque brani che consentono la formulazione coerente nell’insieme di
definizioni, principi e convenzioni immaginarie che consentono di descrivere, interpretare, classificare,
fenomeni di varia natura. L’approccio è sicuramente più definito riguardo al talento tetragono-ossessivo
dei lavori precedenti (Primitive Fuck e The Wholly Other). Il clima che si respira è quello del
neoprimitivismo, come se i tre ragazzi fossero gli unici sopravvissuti al declino dell’Era antica. Traspare
una convinzione nelle pieghe dell’opera, il mondo, attualmente, nonostante le scoperte tecnologiche e le
vicissitudini storiche espletate, rimane peggiore rispetto al favoloso passato. Per questo il rumore divampa
come un incubo pesantissimo, le buone vibrazioni si condensano riunendo lo stoner, ricurvo su se stesso,
ad alcune intense, narcotiche, dilatazioni.
Dal “perpetuum vitium” dei Blue Cheer mutuano gli strati technicolor e capricciosi di Another Heaven. I
Saw God ha l’evoluzione ritmica regolare, pulsata in riff hard-blues. Dungeon Head scorre fluttuante,
rincorrendo tamburi dispersi dai venti stellari. Il motorik, voluttuoso e chirurgico, esonda in Summer Of
Hair. Un arazzo mantrico sospeso intorno alle orbite di corpi celesti incandescenti. The Keys To Red
Skeletons House (I Open The Door) destruttura quindici minuti di acid trip animale, travolto da refrain
disossati con sovraccarichi di mega-elettricità. Nevrosi epilettica consumata mediante intensa riflessione
spirituale.
I Black Helium sono lì a dimostrare come sia possibile essere inseriti in una mappa infinita di “psych
universe”, senza limiti, senza ostacoli, in tutte le estensioni ipotetiche o improbabili. Far parte dunque del
Multiverso, all’interno del quale le coesioni sonore offrono a Um la capacità di spaziare da una
dimensione all’altra. E a un’altra ancora, innumerevoli volte e innumerevoli vite.

(Riot Season Records)

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