Budgie – Never Turn Your Back on a Friend

Galles, terra selvatica, brulla, adagiata tra la pianura detta il Deserto Verde e le montagne della Snowdonia, terra di musica, certamente quella tradizionale, ma anche rivolta a generi meno tipici: The AlarmBadfingerFuneral for a FriendMagentaScritti PolittiSuper Furry Animalssono solo alcune tra le band che hanno visto la luce dalle parti di Cardiff, o Swansea e tra di esse, a rappresentare l’heavy metal nella sua forma primigenia, ci sono sicuramente i Budgie, nati come Hills Contemporary Grass proprio a Cardiff nel 1967, grazie all’incontro fra Burke Shelley, basso e voce, Anthony “Tony” James Bourge, chitarre e voce e Raymond “Ray” Phillips, batteria, tutti originari di Tiger Bay, Cardiff, South Glamorgan.

Va subito detto che i Budgie non divennero mai una band di successo anzi, restarono confinati in un ambito di nicchia, ma ebbero un peso enorme all’interno del panorama hard rock ed heavy metal perché, dal loro suono veloce ed insolitamente pesante, presero ispirazione quei gruppi, Iron Maiden e Judas Priest su tutti, che contribuirono qualche anno più tardi all’esplosione della New Wave of British Heavy Metal.

Iniziarono con un robusto hard rock, decisamente blues oriented, che si fa apprezzare già nell’album di debutto, Budgie, registrato nel 1971 presso i Rockfield Studios di Monmouth insieme a Rodger Bain, produttore dei Black Sabbath, cui seguì l’anno successivo il secondo lavoro, Squawk, disco d’oro, ed arricchito da una particolare copertina firmata da Roger Dean; sempre il designer e grafico di Ashford firmò la cover dell’album successivo, forse il migliore realizzato dalla band, di certo uno dei più riusciti esempi di hard rock venato di blues usciti nella prima metà del decennio.

Never Turn Your Back on a Friend, datato 1973, diede loro notevole notorietà e determinò un consenso crescente al punto che la band alcuni anni dopo, nel 1982, venne invitata come headliner al celebre Festival di Reading, tributo del tutto doveroso verso un gruppo che si può a buon diritto definire seminale.

L’album, che contiene diversi pezzi di livello, ruota però intorno ad un brano che, non solo decretò la loro fortuna, ma li consacrò tra i padri fondatori del futuro heavy metal, e cioè Breadfan, la cui cover fu ripresa dai Metallica che la inclusero nel 1987 in Garage Inc., il pezzo che ogni band spera di centrare almeno una volta in carriera: semplice, immediato, un mix di energia e potenza nato intorno al riff iniziale di Bourge, assolutamente riconoscibile ed a suo modo storico, cui si uniscono la batteria drittissima di Phillips ed il basso profondo di Shelley; il risultato diverrà inequivocabilmente un archetipo del metal degli anni ’80, grazie anche alla voce di Shelley, acuta ed affilata, il cui timbro si ritroverà in vocalist come Rob HalfordKing DiamondMidnight dei Crimson Glory ma anche Geddy Lee dei Rush.

Come detto però l’album, pur non potendo prescindere da questa iconica hit, è davvero ricco di brani di spessore a partire da una grintosissima cover, firmata Big Joe WilliamsBaby, Please Don’t Go, già ripresa dai Them di Van Morrison nel 1964, dagli Amboy Dukes nel 1967, poi dagli AC/DCnel loro debutto High Voltage del 1974 e dagli Aerosmith, che la inclusero in Honkin’ on Bobo nel 2004; con una chitarra in odore di psichedelia ed un basso che pulsa e spinge in modo quasi ossessivo.

Non che i cinque non dicano la loro anche in contesti soft intendiamoci, e lo dimostrano i poco più di due minuti di You Know I’ll Always Love You, voce e chitarra acustica, semplicità e delicatezza, ma la vera cup of tea della band è musica energica, tirata: ci pensa Phillips con un breve assolo di batteria, altro topos musicale dell’epoca, ad introdurre di nuovo decibel e potenza in You’re the Biggest Thing Since Powdered Milk, rock blues sincero e quadrato in cui Shelley ed il suo basso vanno oltre la ritmica con limpide pentatoniche su cui Bourge e la sua chitarra scorazzano liberamente; e se, verso la fine, vi chiedeste a chi si sia ispirato Steve Harris per brani come Wratchild o per il bridge centrale di Phantom of the Opera beh, sapete dove cercare, ma non solo: anche con la successiva e parecchio elaborata In The Grip Of A Tyrefitter’s i Budgie si pongono come ideale punto di passaggio tra band come i Free ed i futuri metal kids che conquisteranno un posto al sole a partire dagli anni ’80.

Riding My Nightmare, seconda ballad acustica, non è nulla di trascendentale nonostante le armonizzazioni vocali del ritornello che, negli anni a venire, avranno sviluppi interessanti anche in ambito metal, ma va ad introdurre il brano finale, la maratona di oltre dieci minuti intitolata Parentsstruggente, malinconica, guidata inizialmente dal basso di Shelley ma presa poi per mano da una chitarra ispirata, nostalgica, capace di esprimere un mondo anche solo con pochissime e centratissime note, intense e cariche di tensione, che rendono questo pezzo davvero emozionante.

I like the idea of playing noisy, loud music… Grandaddies of heavy metal? I prefer to think of us as kindly uncles!” aveva affermato Shelley parlando dei suoi Budgie, ed in effetti un gruppo di zietti così arzilli e casinisti avrebbe seriamente fatto la gioia di qualsiasi nipote, soprattutto negli anni ’70.

La conferma di quanto, questa band, sia stata fondamentale nel passaggio dall’hard rock all’heavy metal, si trova in un passaggio dell’autobiografia Dave Mustaine: A Heavy Metal Memoir in cui il chitarrista e cantante, membro fondatore dei Metallica, poi ideatore dei Megadeth, ricorda: “I’d been introduced to Budgie, a groundbreaking band from Wales, in fact they are regarded in some quarters as the first heavy metal band, while hitchhiking… the driver worked for a radio station in Los Angeles… he smiled and said: “Dude, you gotta listen to these guys”. Then he inserted a Budgie tape into the cassette deck. I was instantly blown away: the speed and power of the music, without abandoning melody, it was like nothing I’d ever heard…

(MCA Records, 1973)

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