Alice Cooper – Detroit Stories

(Andrea Romeo)

Insomma, alla fine il ragazzaccio è ritornato a casa, proprio in quella Detroit che lo ha visto nascere o meglio che, per la precisione, ha visto nascere nel 1948 Vincent Damon Furnier, frontman di una band di giovani di belle speranze, The Spiders che, partita nel 1969, ad un certo punto decise di cambiare nome: in un’intervista Furnier racconta che la scelta andò più o meno in questo modo: “E se il nostro nome suonasse come se fossimo la zia di qualcuno? Serve un nome… tipo di una vecchia signora, tutta americana e dolce…”

Cinque anni dopo Vincent si separò dai suoi compagni, ma quel nome se lo portò via e la storia narra che, ad un certo punto, Alice Cooper, quella fantasiosa “vecchia zia”, si impossessò persino all’anagrafe del Sig. Furnier: come a suo tempo Ziggy Stardust si impadronì di David Bowie, così avvenne anche nel caso del cantante del Michigan, ma con una sostanziale differenza: ad un certo punto Bowie “uccise”, artisticamente, Ziggy, mentre Vincent si arrese definitivamente ad Alice.

Quando si torna in un luogo bisogna festeggiare, ovviamente, e farlo con chi si sente particolarmente vicino, ma soprattutto con chi quel luogo lo conosce, e lo ha in buona parte vissuto: ed allora, prima di tutto, Bob Ezrin (Lou Reed, Alice Cooper, Aerosmith, Kiss, Pink Floyd, Deep Purple, Peter Gabriel, Thirty Seconds to Mars, Deftones…) tastierista, autore, produttore ed amico sin dagli inizi, poi Johnny “Bee” Badanjek, il batterista che non poteva essere che lui perché “…è il miglior batterista di Detroit…” ed infine chi se non Wayne Kramer (MC5… detto tutto…), un altro che la città non solo l’ha vissuta, ma l’ha addirittura “indossata”, proprio con la sua band.

Di seguito, e ci mancherebbe altro, i vecchi “compari” del periodo 1969/1974, Dennis Dunaway, Michael Bruce, Steve Hunter e Neal Smith, cui si aggiungono Mark Farner dei Grand Funk Railroad, Tommy Henriksen, compagno di viaggio anche negli Hollywood Vampires, Paul Randolph, altro musicista “autoctono”, Garret Bielaniec, “Guitar-player from Detroit-Michigan, who has spent most of his career playing bars, clubs, venues and recording for other people…”, Joe Bonamassa, uno che il rock-blues lo mastica da venti e passa anni e poi, davvero una sorpresa, Debra Sledge, cofondatrice delle Sister Sledge, e la figlia Camilla, un lampo di soul ed r’n’b che, parole di Cooper: “… di solito mi tengo ben lontano da cose soul o rhythm and blues, ma qui ci volevano proprio…” (da un’intervista di Luca Fassina pubblicata da Hard Rock Magazine, Sprea Ed.), ed ancora Larry Mullen Jr. (U2), Steven Crayn, da Londra, Matthew Smith, altro ragazzo di casa, Rick Tedesco ed altri ancora…

Detroit, dunque, la Motor City ma anche la Rock City, come cantarono i Kiss in un loro celeberrimo brano, una città vivace, pulsante, che attira e coinvolge chi ne viene a contatto e che, prima o poi, inevitabilmente ci ritorna ed alla quale Alice Cooper non ha certo saputo dire di no: Detroit Stories ed i suoi quindici “racconti” sono un tributo non solo alla città, ma anche a quella voglia di hard-rock che essa ha rappresentato per decenni, il contesto in cui Cooper è nato e dal quale ha assorbito potenti vibrazioni.

Dodici brani scritti a più mani insieme agli amici, perché ognuno ha un pezzettino di storia da aggiungere, cui si aggiungono quattro cover affatto casuali, che portano in sé un marchio indelebile che sa di strada, cantine, amplificatori, polvere, umidità, vita vissuta ed un pizzico di malinconia; non a caso si apre con una ruvida Rock & Roll, firmata da Lou Reed e dai suoi Velvet Underground, newyorkesi certo, ma in sintonia totale, seguita poco dopo da Our Love Will Change the World, cover degli Outrageous Cherry di Matthew Smith; ad un certo punto appare Sister Anne, scritta da Fred “Sonic” Smith, MC5, mentre la chiusura è affidata ad East Side Story, Bob Seeger: quasi tutta gente del posto, insomma.

Detroit è un po’ punk, e corre parecchio, Go Man Go, ma è anche ironica, irriverente ed a suo modo spudorata, e Social Debris, $1000 High Heel Shoes (soul ed r’n’b come se piovesse…) ed Hail Mary sono una terna di vita vera, vissuta.

A metà album, il vero colpo al cuore, Detroit City 2021, tra citazioni e ricordi: “Me and Iggy were giggin’ with Ziggy and kickin’ with the MC5, Ted and Seeger were burnin’ with the fever, and Suzi Q was sharp as a knife…” e se non è amore questo…

Poi via, tra fumi di alcol ed amori incasinati, Drunk and in Love, dichiarazioni di intenti, Independence Dave, ricordi di una gioventù in cui ci si voleva bene, anche litigando, I Hate You, una spruzzata di dark-pop anni ‘80, perché ci si dovrà anche rilassare ogni tanto, Wonderful World, ed una Hanging On by a Thread (Don’t Give Up) in cui la fatica per lo stress della pandemia e l’attenzione verso la salute mentale camminano insieme (…This is Alice Cooper in Detroit… Let’s keep fighting, don’t give up. Call the Suicide Prevention Hotline 1-800-273-8255…); infine una specie di invocazione, breve, sintetica, ma di una chiarezza assolutamente lampante: Shut Up and Rock, che vale più di mille altre affermazioni.

Nostalgia, quindi, malinconia e quella sottile inquietudine che trasmette l’inesorabile passare del tempo, certo, ma in una rimpatriata tutto ciò non soltanto è lecito, anzi permesso, ma è quasi doveroso, anche perché il ragazzo ventenne che proprio da Detroit decollò verso una lunghissima carriera, ci ritorna oggi con quasi tre quarti di secolo sulle spalle e davvero tante vicende da raccontare.

Questa in fondo è la storia della sua vita, ed è anche la storia dei suoi amici inclusi quelli, e sono molti, perduti lungo la strada, citati espressamente o tra le righe; queste sono le sensazioni intime di un artista che, con il rock, ha fatto un vero e proprio patto, molto tempo fa, e non ha alcuna intenzione di tradirlo: certo, ogni tanto ci sarà da tirare il fiato, perché gambe e polmoni non sono chiaramente quelli di una volta ma, se il termine rock ha ancora il significato di voler sempre andare al massimo, che rock sia, e che lo sia fino alla fine.

La notte è ancora lunga, e il bicchiere della staffa può attendere…

(earMusic, 2021)

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