Voivod – Synchro Anarchy

Recita Wikipedia: “Il thrash metal è un sottogenere dell’heavy metal, che trae origine dall’heavy metal classico incorporando caratteristiche dell’hardcore punk.” e fin qui è tutto chiaro: un genere diretto, quadrato, tutto sommato monolitico e ricco soprattutto di decibel, una versione più energica di quella party music che ha imperversato a partire dagli anni ‘80… si, il trash metal è anche tutto questo, ed i detrattori del genere potranno aggiungere altri aggettivi a piacimento… ma non è soltanto questo.

C’è una band che, sin dall’inizio della propria carriera, in ambito trash metal ma non solo, è sempre stata all’avanguardia: nello stile, nei tempi, nei timbri sonori, nella costruzione e nella scansione dei brani e non è, come parrebbe logico, una band proveniente dalla Bay Area, da Los Angeles o da New York, bensì dalle terre canadesi del Quèbec, dove si era formata nell’ormai lontano 1981: il suo nome è Voivod.

Avanguardia era ai tempi in cui la band era nata, avanguardia è stata nel suo periodo di massimo splendore, a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, ma avanguardia è ancora oggi, anno 2022, perché l’ultimo lavoro partorito dalle fertili menti di Denis “Snake” Bélanger, voce, Dominique “Rocky” Laroche, basso, Michel “Away” Langevin, batteria e Daniel “Chewy” Mongrain che, nel 2008, ha avuto il difficile compito di sostituire il chitarrista e membro fondatore Denis “Piggy” D’Amour, Synchro Anarchy, riparte proprio dalle caratteristiche di una band atipica: passione per l’immaginario sci-fi, testi complessi e scevri da banalità o riferimenti, fuori tempo, a “sex, drugs and rock n’ roll” ed un sound che, sempre cerebrale e raffinato, sovrappone suggestioni sonore all’insegna della continua e fortemente voluta sperimentazione.

Ovviamente gli anni, l’esperienza acquisita e l’evoluzione stilistica hanno raffinato ulteriormente le doti della band che, al netto dei non pochi cambiamenti di lineup, ancora oggi mantiene una coerenza artistica ed un livello tecnico assolutamente ineccepibili: Paranormalium, che apre l’album, stabilisce da subito alcuni punti fermi: il basso di Laroche gioca un ruolo chiave perché, unito alle ritmiche distopiche di Langevin, crea una struttura ritmica assolutamente peculiare, addirittura schizoide; su di essa si innesta la chitarra di Mongrain che non solo agisce in continuità con il suo predecessore ma ne sviluppa e ne arricchisce l’apporto melodico, connotando in maniera precisa il suono dei Voivod odierni, mentre il cantato di Bèlanger, sfruttando il particolare timbro, ne fa una sorta di narratore del terzo millennio, che espone, quasi recita una sorta di vera e propria sceneggiatura.

Gli anni di Dimension Hatröss e Nothingface sembrano davvero meno lontani di quanto non dica il calendario perché la continuità è impressionante, e la title-track, Synchro Anarchy sembra letteralmente schizzare fuori da quei decenni, rinnovandone il linguaggio, assolutamente peculiare, grazie anche a suoni affatto “old style”.

Il paradosso di questo lavoro è che ad un primo ascolto potrebbe sembrare quasi vintage, almeno nelle intenzioni: entrando in profondità invece, suona moderno, non subisce mai cali di tensione e ripropone, aggiornandoli, tutta una serie di suoni fortemente manipolati, caratteristica che la band ha avuto sin dalle origini.

E se Planet Eaters suona forse un po’ meno complessa di altri brani, senza mai peraltro scivolare nel catchy, la successiva Mind Clock cupa, oscura, giocata su un tema lento ed ossessivo, rinvia ai Voivod nella loro versione più dark ed aggressiva.

Quello del quartetto canadese è, senza dubbio, un approccio che, se non per veri e propri iniziati, è indirizzato comunque ad una cerchia di appassionati che mostrino estrema attenzione verso i dettagli di cui i brani sono ricchissimi: le dissonanze di Sleeves Off, ad esempio, vanno comprese per essere apprezzate, ma spalancano un universo sonoro che mescola fraseggi molto semplici e diretti, nello specifico quasi punk, ad elaborazioni molto più complesse, con una sconcertante naturalezza.

Holographic Thinking e la rocciosa The World Today possono essere considerati i due brani più lineari, più quadrati, e forse meno elaborati dell’intera tracklist, momenti di relativa quiete che nulla tolgono allo spessore complessivo del lavoro.

Quello che nonostante tutto rimane scolpito nella mente dell’ascoltatore è il suono dei Voivod, che è loro e di nessun altro: poche band, soprattutto in ambiti musicali in cui le similitudini, per forza di cose, risultano quasi inevitabili, sono riuscite a mantenere inalterate negli anni le proprie peculiarità come hanno fatto i quattro di Jonquière: Quest for Nothing e la conclusiva Memory Failure sono di fatto la summa degli stili che la band è stata in grado di proporre negli anni, esprimendo uno stile assolutamente inconfondibile: chitarra e batteria viaggiano in sincrono, spaziando dalla nwobhm all’industrial senza soluzione di continuità mentre le fughe del basso rappresentano il simbolo di quel techno-thrash di cui il quartetto è nel contempo, custode dell’ortodossia e continuo stimolo all’evoluzione.

Il ruggito trash-punk con cui i Voivod chiudono il loro quindicesimo album in studio è la sintesi estrema di un approccio musicale che non si è mai posto né limiti né steccati: partendo da una matrice ben precisa, ha continuamente cercato di interpolarla con suggestioni ed influenze captate esternamente, mantenendo però inalterate la coerenza stilistica e la scelta dei suoni, divenuti vero e proprio trade-mark.

Incarnano più di altri il concetto di cult band, hanno un sound inconfondibile che unisce prog e thrash, coltivano una storica passione per il genere letterario che si può considerare più “di culto”, la fantascienza, dalla quale hanno tratto anche una grafica molto precisa ed originale: sono un vero e proprio mondo da visitare che, una volta scoperto, non può lasciare certamente indifferenti.

(We Are Connected Music/Century Media Records, 2022)

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