Uzeb – Reunion Live

(Andrea Romeo – 25 novembre 2019)

All’immaginario tavolo da gioco del jazz-rock, della fusion, e dello smooth jazz, preparato tra gli anni ’70 e gli anni ’80, c’era seduto letteralmente mezzo mondo tant’è che, osservato a distanza di trent’anni, quel periodo riuscì ad esprimere una quantità, ed una qualità musicale, davvero impressionante tale che, allora, forse nessuno se ne rese realmente conto.

Gli Stati Uniti la fecero da padrone, ma proprio per una questione di numeri: Wheater Report, Spyro Gyra, Yellowjackets, Chick Corea Elektric Band, Pat Metheny Group, Dixie Dregs, Mahavishnu Orchestra, Steps Ahead, sono soltanto i più noti, e neppure tutti; l’Inghilterra aveva giocato le sue carte migliori nell’area di Canterbury, iniziando qualche anno prima, e mettendo in campo Soft Machine, Matching Mole, National Health, Egg, Khan, Ian Carr ed i suoi Nucleus, Arzachel, Steve Hillage, Kevin Ayers e Robert Wyatt, e successivamente i Brand X.
Ma il resto del mondo, seppure con una quantità minore di artisti, non stette certo a guardare: l’Italia, ad esempio, giocò le sue ottime carte con Perigeo, Napoli Centrale, Agorà, Area, Arti & Mestieri e persino il Giappone fu della partita, grazie ad un “carico” che rispondeva al nome di Casiopea.
Il Canada, anzi il Quèbec, verso la metà degli anni ’70, gettò anch’esso il suo asso, e che asso: Alain Caron (basso elettrico), Michel Cusson (chitarra) insieme a Paul Brochu (batteria), entrato poco tempo dopo, nel 1976 diedero vita a quel fantastico trio che risponde al nome di Uzeb.

Un batterista capace di sminuzzare il tempo in mille rivoli e di ricondurre poi tutte queste trame ad un filo unico, un chitarrista assolutamente riconoscibile, per i fraseggi articolati, ma anche per i suoi suoni, saturi, mai distorti, anche se vicinissimi al limite, ed un bassista che, dopo Jaco Pastorius, imbracciò anche il basso fretless ampliandone e variandone ulteriormente gli orizzonti.
Come succede, non spesso, ma alle volte, il successo non arrivò subito; la band ebbe un periodo di rodaggio e di assestamento, anche della line-up: giusto qualche anno, per approdare infine a quel poker che, qualsiasi giocatore, sogna di poter piazzare, almeno una volta nella vita: Fast Emotion, Between the Lines, Absolutely Live e Noisy Nights, nel giro i cinque anni fecero saltare il banco, e catapultarono il trio fra i grandissimi della fusion mondiale.
Poi, dagli anni ’90 in poi, un ventennio di pressochè totale silenzio: giusto qualche apparizione occasionale, e le carriere soliste, certamente ricche di soddisfazioni, soprattutto per Caron, ma un senso di incompiutezza, come se un discorso, giunto al suo culmine, fosse stato lasciatolì, a mezz’aria.
Nel 2016, a sorpresa, la reunion che, forse, nessuno più si aspettava, ed un tour che, in numerose location, prese quasi di sorpresa gli appassionati, stupiti per questo repentino ritorno.

E proprio da quel tour, iniziato e proseguito negli anni successivi, è tratto Reunion Live, l’album che rimette in pista il trio canadese che, affiancato da una ottima, e discreta, sezione fiati, ha suonato in Canada, Francia, Israele ed Italia.
Per chi li aveva amati all’epoca, un ritorno di questo livello è davvero una gioia: sono passati gli anni, certo, le chiome non sono più quelle fluenti di tre giovani e talentuosi musicisti, ma la testa, il cuore e le dita sono in pienissima forma.

Riascoltare, fra gli altri brani, Junk Funk, Slinky, Wake up Call o 60 rue des Lombardes, è un po’ come reincontrare dei vecchi amici, che non si vedevano più da tanti anni: i capelli, se ci sono ancora, sono brizzolati, ma gli occhi, lo sguardo, che poi sono la musica, sono sempre gli stessi, ed il tempo, davvero, sembra non essere affatto passato.

(Cream Records, 2019)

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