Uriah Heep – Demons and Wizards

(Andrea Romeo)

Recita la pagina di wikipedia: “Tutto inizia con una band, chiamata The Stalkers, nella quale militano il chitarrista Mick Box ed il cantante David Byron. Quando il gruppo si scioglie i due fondano gli Spice, ai quali si unisce presto anche il bassista Paul Newton e, successivamente, il batterista Alex Napier. La fama degli Spice aumenta ed una sera, ad un loro spettacolo, è presente il produttore musicale Gerry Bron che li invita ad alcune session in studio.

Lo stesso Bron (patron della Bronze Records) suggerisce ai quattro di ingaggiare un tastierista e la scelta cade, dietro consiglio di Newton, che lo conosceva dai tempi dei The Gods, su Ken Hensley.

A questo punto il nome alla band viene mutato in Uriah Heep, grazie al suggerimento di Bron, che diventerà il loro manager, e preso in prestito dal personaggio, presente nel romanzo di Charles Dickens, David Copperfield.”

Questa, in estrema sintesi, la storia delle origini di una band che, durante tutta la propria carriera, ha vissuto direttamente sulla propria pelle una dicotomia tanto evidente quanto inspiegabile: amati, anzi ad un certo punto adorati dai fans, ma stroncati, a qualsiasi livello, dalla critica, e non soltanto da quella inglese.

Gli Uriah Heep, non perdono certo tempo e, nel giro di due anni pubblicano l’album di debutto, Very ‘eavy…Very ‘umble in cui, alla batteria si alternano Napier e Nigel Olsson (poi con Elton John), il successivo Salisbury, con Keith Baker dietro le pelli e di seguito, dopo l’ennesimo cambio di batterista, questa volta è il turno di Ian Clarke, Look at Yourself, album in cui il suono si indurisce ulteriormente, e che proietta la band nell’ambito dell’universo hard rock/prog all’interno del quale verrà, di lì in poi, comunemente inserita.

Come detto in precedenza, la critica è impietosa: la giornalista Melissa Mills afferma, dalle colonne di Rolling Stone: “Se questo gruppo ce la farà, io dovrò suicidarmi…

Dopo tre lavori che hanno comunque consolidato la propria fama e creato uno zoccolo duro di fans devoti ed appassionati, la band è pronta per calare l’asso che ne decreterà il successo definitivo: il 19 maggio 1972 esce Demons and Wizards, il loro album “definitivo”, il disco che definirà quella cifra stilistica che, ancora oggi, guidato dall’immarcescibile chitarrista Mick Box, il gruppo porta orgogliosamente in giro per il mondo.

Al basso è già presente il neozelandese Gary Thain, sicuramente uno dei bassisti più “underrated” della storia del rock, tanto solido quanto virtuoso e creativo (da ascoltare, ed apprezzare, in particolare, le sue linee di basso su Uriah Heep Live, del 1973), mentre dietro i tamburi ha preso posto il quinto batterista della loro storia (e non sarà neppure l’ultimo…), quel Lee Kerslake che, negli anni a venire, oltre a continuare a lavorare con gli Uriah Heep, siederà alla batteria nei primi album solisti di Ozzy Osbourne.

La tracklist è davvero pazzesca, e cresce di intensità, brano dopo brano… si parte dal gioiellino acustico The Wizard, si sale con l’energia grazie a Traveller in Time, in cui prog ed hard rock trovano una sintesi mirabile, ma l’esplosione vera e propria avviene con quella Easy Livin’ che diventerà uno dei brani simbolo del gruppo, la loro Highway Star, o Smoke on The Water, per dire, due minuti e mezzo di energia pura.

Si prosegue sempre a cavallo tra progressive, in cui le tastiere di Henley dominano, ed hard rock, grazie al trio Box/Thain/Kerslake, diretti ed efficaci, e che garantiscono un “tiro” invidiabile: Poets’ Justice, Circle of Hands, Rainbow Demon ed All my life preparano il terreno all’uno-due finale, ParadiseThe Spell, che dal vivo viaggeranno sempre in coppia, e che andranno a formare una mini-suite che cresce lentamente, e passa da un’intro acustica ad una parte centrale più hard, seguita da un passaggio pianistico che dà il là ad un finale che scivola verso terreni antesignani dell’art-rock.

A rendere coerente e ricco di pathos il tutto, la splendida voce di David Byron (ma anche quei cori che, nel tempo, diventeranno un vero e proprio marchio di fabbrica della band), cantante dalle doti vocali e dall’espressività notevolissime, anch’esso spesso “dimenticato”, quando si discetta di grandi voci del rock, artista che, soprattutto a causa di una vita personale complicata, se non dissennata, venne allontanato dalla band nel 1976; morirà dieci anni dopo, abbandonato da tutti e probabilmente, per primo, da se stesso, dopo aver rifiutato l’invito di Box e Trevor Bolder, a rientrare nella riformata band.

Demons and Wizards resta, a tutt’oggi, la pietra miliare, ed uno dei vertici artistici della storia di questo gruppo, dalle vicende spesso complicate, a tratti tragiche (Gary Thain, già da tempo tossicodipendente, durante un concerto a Dallas, il 15 settembre 1974, fu scaraventato in mezzo al palco privo di sensi da una scossa elettrica, fatto che acuì i suoi già notevoli problemi di salute, psichici e familiari, conducendolo al licenziamento da parte della band ed alla morte, pare per overdose, l’8 dicembre 1975), in cui hanno militato quasi una trentina di musicisti ma che, nonostante tutte le difficoltà e le mutazioni di line-up, ha realizzato una quarantina di album, tra studio, live e raccolte, ritagliandosi meritatamente un posto fra i grandi esponenti del prog-rock europeo.

Nella ristampa dell’album, rilasciata nel 2003, troveranno posto, oltre a diverse alternate versions dei brani presenti in origine, alcuni pezzi che, all’epoca, non vi avevano trovato posto, pur essendo stati registrati nel medesimo periodo.

(Bronze Records/BMG-Sanctuary, 1972)

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