Trouble – Trouble

Stoner rock e doom metal vengono spesso considerati territori musicali limitrofi, propaggini dell’heavy metal che, pur dirigendosi verso esiti abbastanza differenti, hanno mantenuto in comune non pochi aspetti, ma soprattutto le proprie radici…

Proprio dalle radici di questi due generi musicali occorre partire, ed esattamente dalla fine degli anni ’70, periodo in cui l’heavy metal emetteva i suoi primi (ruggenti) vagiti, per raccontare da dove proviene questo album, e chi sono i suoi creatori, che l’hanno intitolato proprio con il nome della band: Trouble.

Riavvolgiamo dunque il nastro e dirigiamoci ad Aurora, Illinois, località in cui, nell’anno 1979, si incrociano le strade di Rick Wartell e Bruce Franklin, chitarristi, Eric Wagner, cantante, Tim Ian Brown, bassista e Jeff Olson, batterista che, ispirati dal nascente heavy metal britannico, ed in particolar modo da Black Sabbath e Judas Priest, aggiungono una spolverata di rock psichedelico e creano un proprio stile ed una miscela sonora assolutamente personale e riconoscibile.

Questo approccio permetterà loro, nel giro di pochissimo tempo, di entrare a far parte di quella sorta di quadrumvirato di pionieri, che la storia del rock ha posto alla base del doom metal, ovvero gli svedesi Candlemass, i Pentagram provenienti da Alexandria, Virginia, i losangelini Saint Vitus ed appunto i neonati Trouble.

La band suona incessantemente, per almeno tre, quattro anni, attraverso tutto il Midwest poi, il 5 Gennaio 1983, registra una cassetta, Trouble Live in Chicago che il batterista riesce a recapitare a Brian Slagel boss della Metal Blade Records: a quel punto la storia prende di colpo tutta un’altra piega perché, con l’etichetta di Agoura Hills, registrano Psalm 9, 1984, The Skull, 1985 e Run to the Light, 1987.

In questi quattro anni cambiano formazione diverse volte: Sean McAllister sostituisce Brown al basso nel primo album, viene sostituito a propria volta da Ron Holzner nel secondo lavoro, mentre nel terzo Dennis Lesh siede al posto di Olson che, dicono alcune voci, pare volesse diventare un predicatore anche se, in realtà, riceverà il Bachelor of Music Degree “cum laude” in Film Scoring presso il Berklee College of Music di Boston; la miscela sonora mantiene tuttavia intatto il proprio elevato potenziale malgrado i grossi problemi di Wagner derivanti dall’abuso di sostanze.

Per questo motivo la band viene congelata per due anni e mezzo, poi un colpo di fortuna, e la loro seconda occasione perché, a ripescarli dal limbo provvede Ric Rubin, della Def American Records, che si propone come produttore; sostituiscono Lesh con Barry Stern, si chiudono in studio e, il 13 Febbraio del 1990, licenziano il quarto album, quello che segnerà da un lato il loro definitivo successo ma dall’altro, negli anni immediatamente successivi, il loro lento ed inevitabile declino.

Trouble è sostanzialmente differente dai lavori precedenti, molto più sperimentale, perché mescola power chords con derive psichedeliche, e proprio per questo motivo risulta essere più complesso, ed anche interessante: in pratica rappresenta l’inizio di quella transizione che porterà la band ad essere fra coloro che contribuiranno a sviluppare un nuovo genere, commistione tra doom metal, acid rock, hardcore punk, heavy metal classico, psichedelia e blues rock, che prenderà il nome di stoner rock.

A partire da At the End of my Daze, brano che apre l’album, le caratteristiche della nuova direzione musicale ci sono tutte: chitarre cupe, ringhianti, basso martellante, ritmi lenti e sempre molto scanditi, insomma una sorta di ritorno alla vecchia scuola degli anni ’70, ma con timbri più attuali e dinamiche articolate; con la successiva The Wolf l’influenza della scuola metal britannica appare evidente, specie per l’approccio chitarristico, quella doppia chitarra che diverrà un archetipo per il metal moderno.

Con Psychotic Reaction, la transizione verso lo stoner è completa, perché in brani come questo si identificano gli stilemi basilari del genere: fraseggi brevi, accordature basse, ritmiche che devono molto alla psichedelia, circolari, ripetitive quasi ipnotiche.

Anche la blueseggiante A Sinner’s Fame, allontana definitivamente la band dal decennio precedente: gli anni ’80 sono distanti, le chitarre dominano ma in modo diverso, più quadrato e meno “tamarro”, se ci si passa il termine: siamo distanti dal trash metal di MetallicaPanteraSlayer o Anthrax, band cresciute nel medesimo periodo, e ciò perché è ancora molto presente l’influenza nella nwobhm.

The Misery Shows (Act II) è una ballad che rimanda direttamente agli Uriah Heep (per non dire di alcuni accenni davvero pinkfloydiani…): i Trouble avevano assorbito le influenze di un paio di decenni e denotavano una notevole cultura musicale, che erano anche in grado di tradurre in composizioni sicuramente interessanti.

Con R.I.P. si torna alle origini, in pieno territorio doom, per la cupezza, l’oscurità, per le ritmiche feroci, guidate da due chitarre che non danno letteralmente tregua, mentre la successiva Black Shapes of Doom è il brano più sabbathiano dell’album, per i riff di chitarra assolutamente riferibili al quartetto di Birmingham; Heaven on my Mind prosegue sulla medesima energica falsariga, perchè i Trouble maneggiano la materia con perizia, riuscendo a mettere insieme brani che, pur caratterizzati generalmente da registri bassi, non risultano né troppo monolitici, nè ripetitivi nel loro sviluppo.

E.N.D. è un pezzo curioso, l’unico che per furore esecutivo si avvicina, seppur a debita distanza, al trash della Bay Area, mantenendo una struttura del tutto settantiana, mentre la conclusiva All is Forgiven è un mix di anni ’70 ed ’80, una sorta di “bigino” in cui ritrovare influenze e caratteristiche dei due decenni, dalle armonizzazioni chitarristiche, di impronta ottantiana, ai break improvvisi, comuni negli anni ’70.

Malgrado la band abbia proseguito la carriera sino ai giorni nostri, questo lavoro rappresenta in un certo senso il canto del cigno del quintetto statunitense che, al netto di notevoli esibizioni dal vivo, negli anni successivi non è più tornato su questi livelli; tra il 1983 ed il 1990, i Trouble avevano forse esaurito la vena creativa, che non ha più trovato modo di rinnovarsi e di esprimersi come in passato. 

(Def American/Hammerheart Records, 1990)

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