The Winery Dogs – The Winery Dogs

(Andrea Romeo)

L’esperienza del trio, più propriamente del power trio, anche se si trattava di una situazione un po’ particolare, Billy Sheehan l’aveva già provata quando, nel 1996, era stato coinvolto nel progetto Niacin dal tastierista ed hammondista John Novello e dal batterista Dennis Chambers; Mike Portnoy e Ritchie Kotzen, viceversa, provenivano da situazioni musicali ben più articolate: il primo, da esperienze con Dream Theater, Transatlantic e Flying Colors, con la parentesi solo strumentale dei Liquid Tension Experiment, il secondo da Poison, Mr. Big, e da una lunga e decisamente prolifica carriera solista.

Per tutti e tre si trattava, comunque, di rimettersi in gioco, ma in un contesto scarno, asciugato da quelle iperproduzioni alle quali erano ormai abituati: una sorta di ritorno alle origini, dunque, non solo per quanto riguarda la scrittura ed i suoni, ma soprattutto per quello che concerne l’attitudine, l’approccio alla forma canzone.

Nessuno ha nulla da dimostrare, in senso assoluto, ma tutti hanno qualcosa da dimostrare in un contesto così essenziale: The Winery Dogs nascono perché tre musicisti, estremamente creativi, hanno deciso di tornare a quel rock, diciamo così, “classico”, che ascoltavano da ragazzi, quel rock diretto, senza fronzoli, in cui anche il virtuosismo viene centellinato perché non diventi mai troppo pervasivo.

L’album di debutto, scritto dai tre in uno studio di Los Angeles, ha visto la luce nel 2013 e, sin dalla prima traccia, è stato chiaro il percorso che si andava ad iniziare: il basso di Sheehan lo si riconosce subito, per il suo timbro particolare, quasi “cavernoso”, e per la rapidità dell’esecuzione, la batteria di Portnoy è anch’essa perfettamente identificabile grazie anche a quei fill, rapidi e brevissimi, che il batterista di Long Island ama piazzare frequentemente.

Kotzen ha una voce calda, blues, ricca di bassi e di una profondità quasi soul, ed è anche, ma era cosa nota, un eccellente chitarrista, probabilmente sottovalutato ma che, in questo contesto, può abbandonare lo shredding a cui aveva abituato il pubblico ed esprimersi in maniera più completa ed autorevole.

Elevate, che parte subito con il turbo innestato ed è un susseguirsi di stop e ripartenze, Desire, un classico hard rock in cui Kotzen sale sensibilmente di tono, seguita da I’m No Angel, i tre singoli divenuti anche video clips, danno un’idea chiara di quanto il trio abbia voluto realizzare: un rock, come detto, molto diretto, immediato, a suo modo “cantabile” ed orecchiabile, anche perché i brani sono brevi, a loro modo semplici e privi di eccessive sovrastrutture.

Quello che traspare, in modo evidente, da queste tredici tracce è la passione, dei tre, per la musica, per questa musica: il rischio, paventato un po’ da tutti, era che venisse fuori un album in cui, tre musicisti ipertecnici, facessero a gara per vedere chi era più bravo, più veloce, più complesso nell’articolare le proprie parti, ed invece è successo esattamente il contrario.

La copertina dell’album, tutto sommato, sintetizza in modo realistico quanto vi è contenuto: rock “stradaiolo”, suonato con trasporto, supportato da una tecnica, manco a dirlo, eccellente, e che permette ai tre di accelerare, o rallentare, a piacimento, lasciandosi andare con un entusiasmo quasi adolescenziale: si potrebbe quasi dire che, finalmente, usciti da quella sorta di gabbie dorate che erano rappresentate dalle loro esperienze precedenti, si siano dedicati a suonare, finalmente, in maniera rilassata, senza dover inventare, per forza, qualche “numero” ad effetto per catturare l’audience.

Rock, come detto, ma anche tracce di blues, qualche lampo di grunge e di alternative rock, e questo perché difficilmente, le tracce della tua storia, possono scomparire del tutto, e questo Ritchie Kotzen lo sa benissimo; la cosa invece interessante è il fatto che, i suoi due “compari”, lo accompagnino perfettamente lungo questo percorso, facendo si che il proprio stile si connetta con generi per loro meno consueti.

Se per i fans di Portnoy, ed in parte di Sheehan, potrà sembrare strano esibirsi in questo contesto, quelli di Kotzen saranno certamente soddisfatti, perché il loro beniamino ha trovato i partner ideali per esaltarne le doti, vocali e chitarristiche.

Non un album che cambierà la storia del rock, sia chiaro, ma un album che sarà davvero difficile riporre nello scaffale senza riprenderlo, ogni tanto, per farlo girare nel lettore.

(Three Dogs Music-Loud Proud Records, 2013)

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