The Tangent – Auto Reconnaissance

(Andrea Romeo)

C’è una leggerezza non casuale nel nuovo lavoro dei Tangent, sempre guidati saldamente dal loro leader, il tastierista e cantante Andy Tillison, l’undicesimo di una carriera, iniziata diciassette anni fa come side-project di altre esperienze musicali, che ha acquisito nel tempo un ruolo ed un peso decisamente di rilievo.

Insieme a Tillison, l’unico componente originale della band è il bassista Jonas Reingold (The Flower Kings, Kaipa, Karmakanic e Steve Hackett Band); negli anni, un nutrito numero di musicisti è transitato nel gruppo, contribuendo fattivamente non solo a connotarne lo stile ma soprattutto a definirne il suono.

La formazione di Auto Reconnaissance vede la presenza di Theo Travis, sassofonista e flautista già con Soft Machine, Robert Fripp, King Crimson, David Gilmour, David Sylvian, Steven Wilson e Gong, affiancato dai riconfermati Steve Roberts, batteria e percussioni, ma soprattutto dal chitarrista Luke Machin, allievo di Guthrie Govan e partner musicale di Jeff Beck, Francis Dunnery, Pain of Salvation e Robert Plant, che ha integrato al meglio i suoi fraseggi, spesso decisamente hard, all’interno di un contesto prog, contribuendo a creare esiti musicali davvero interessanti.

In una recente intervista il tastierista ha affermato, tra il serio ed il faceto, che il nuovo album è “… uno dei pochi lavori pubblicati quest’estate influenzato da ELP, The Isley Brothers, Steely Dan, Aphex Twin, National Health, Rose Royce, Squarepusher e Return To Forever”, frase che contiene tanta ironia quanta verità perché la leggerezza cui si faceva cenno deriva da questa capacità, o agilità mentale e musicale, nel passare da un approccio ad un altro senza soluzione di continuità, anche all’interno di uno stesso brano, senza che l’esito risulti frammentato o dispersivo.

Ed allora non stupisce affatto che, in un album appartenente ad un gruppo considerato a pieno titolo facente parte della scena progressiva nordica, si ritrovino elementi di funk mescolati a sprazzi di soul, che l’elettronica si dilati sino a sfociare nel pop, che influenze jazz, ma anche hip-hop, facciano capolino qua e là: il progressive, quindi, ma interpretato davvero nel senso più ampio del termine, creando mescolanze ed avventurandosi su terreni meno conosciuti o praticati, grazie anche all’attitudine rock del giovane chitarrista mancino, che ne scandisce diversi passaggi.

Auto Reconnaissance è un lavoro solo apparentemente semplice, che va ascoltato attentamente e più volte, per comprenderne bene la direzione, e ciò perché l’insieme di generi che la band ha voluto assemblare è tutt’altro che casuale.

Life On Hold, che apre il lavoro, è un brano in pieno stile Tangent, dunque solare, lineare, privo di orpelli, un brano in cui basso e batteria hanno un tiro quasi funky, i synth giocano spesso in controtempo rispetto alla linea melodica, la chitarra a tratti è quasi in modalità “Nile Rodgers Style”, in altri passaggi è decisamente più hard; stesso discorso per il primo singolo pubblicato, ovvero The Tower of Babel, altro brano che ha il pregio di una piacevolezza spontanea e naturale.

Tutto cambia con Jinxed in Jersey, la prima delle tre suite, una sorta di racconto in musica in cui, la struttura realizzata dalla band, risulta più complessa ed articolata: il brano vive di pause e riprese, più volte pare terminare dopodichè riparte con uno stile differente che lo trasporta in pratica in un’altra canzone; la voce di Tillison, l’alternare il cantato al parlato, conferiscono a questo brano un’aura narrativa particolare, per certi versi straniante ma dotata di un fascino particolare.

Under your Spell è una pausa, dagli accenti soul/jazz ed un retrogusto Aor in cui chitarra e sax giocano “morbido” e che aiuta a “tirare il fiato” dopo la precedente ridda di sollecitazioni, pausa che, solo appena movimentata dalla successiva The Tower of Babel, conduce a Lie Back & Think of England, il vero e proprio tour de force dell’intero album, quasi mezz’ora di suite in pieno stile prog settantiano in cui, gli stimoli presenti in Jinxed in Jersey, vengono moltiplicati ed ulteriormente differenziati.

I richiami ad altre suite, ad altri gruppi, dipendono dalla formazione musicale di chi ascolta ma è chiaro che ci si trovi di fronte ad uno sforzo compositivo e narrativo notevole, non assimilabile in breve tempo, anche per il numero e la complessità delle strutture musicali che i cinque sono riusciti a mettere insieme.

Come tutte le suite va ascoltata senza pregiudizi, prendendosi tempo, lasciandosi trasportare e coinvolgere dal flusso della narrazione che ha l’interessante caratteristica di alternare, tra l’altro, gli stili musicali: si troveranno diversi riferimenti, ma nessuno di essi ascrivibile in toto ad una band precisa.

The Midas Touch è un brano in linea con i primi due analizzati, brillante, allegro, chiaramente pop-oriented; del resto i Tangent non sono certamente gli unici ad essersi avvicinati al pop, sfruttandone la semplicità e la melodicità: The Mute Gods, i Fish on Friday, ma anche band più “ortodosse” come Transatlantic o Flying Colors hanno inserito nella loro scrittura passaggi di questo tipo.

Si chiude con Proxima, la bonus-track “space-psichedelica”, la terza suite dell’album ricca di atmosfere rarefatte, oniriche, in cui elettronica ed aperture etniche si fondono in dodici minuti in cui la band rivisita gli stilemi della Kosmische Musik in chiave moderna: un gioiellino che va sorseggiato con calma per assaporarne gli aromi.

Alla fine di un lauto e variegato pasto, quel goccio di liquore che distende, rilassa e permette di metabolizzare i sapori da poco degustati.

(Insideout Music/Sony Music, 2020)

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