The Neal Morse Band – The Great Adventure

(Andrea Romeo – 11 novembre 2019)

Definire Neal Morse, autore, cantante, tastierista e chitarrista, un artista semplicemente prolifico, significherebbe davvero fargli un enorme torto.
La sua carriera, ormai quasi quarantennale, prende l’avvio quando, nei primi anni ’90, insieme al fratello Alan Morse fonda la prog-band degli Spock’s Beard, divenuti immediatamente un fenomeno quasi di culto. Da allora, e sino ad oggi, il polistrumentista statunitense, se si esclude un breve periodo in cui, a causa di una profonda crisi, e susseguente riflessione, di tipo religioso, aveva interrotto l’attività, non si è letteralmente più fermato, mettendo in piedi una serie di progetti che, per un’evidente capacità di essere ubiquo, riesce tutt’ora a mantenere in attività.

Lasciato il gruppo che aveva contribuito a creare, ha fondato i Transatlantic, (con Mike Portnoy, Roine Stolt e Pete Trewavas), i Flying Colors, (con Mike Portnoy, Steve Morse, Dave LaRue e Casey McPherson), e la band che porta il suo nome, la Neal Morse Band (con Mike Portnoy, Randy George, Eric Gillette e Bill Hubauer), oltre ad aver pubblicato una ventina di album come solista.
Inutile sottolineare la presenza, continua, e divenuta partnership artistica, dell’ex-batterista dei Dream Theater, altro soggetto in grado di dividersi tra numerosi progetti, spesso eterogenei, ma sempre di alto livello qualitativo.

The Great Adventure è il sesto album della band, un album doppio, cosa che non stupisce affatto, perché l’urgenza di raccontare porta il musicista californiano ad essere letteralmente torrenziale, fatto che, al netto della qualità, probabilmente lo penalizza in termini di ascolto; forse un maggiore controllo, ed una minore dilatazione dei brani, avrebbero giovato nei confronti della resa complessiva.
Certo, la sintesi non è, sicuramente, una delle sue doti fondamentali, ma glielo si perdona proprio perché è un artista che si offre, al suo pubblico, senza freni e senza risparmiarsi, tant’è che questo album è stato portato in tour e suonato per intero.
Le caratteristiche principali che, immediatamente, saltano all’orecchio, quando si ascoltano gli album di Morse, sono l’essere lavori, in un certo senso, “sinfonici”, e quindi complessi, orchestrali e di ampio respiro, e la “circolarità” delle trame musicali per cui, in diversi punti di quella che è, di fatto, una lunga suite, si trovano passaggi musicali ricorrenti che, anche se spesso proposti in modo differente, richiamano un tema musicale che diventa la caratteristica dominante di tutto il lavoro.

Inutile dire che, anche The Great Adventure, narrazione dell’esistenza, e dei suoi diversi passaggi, è un album che va ascoltato possibilmente per intero, perché solo nella sua totalità può esprimere le proprie caratteristiche e le motivazioni che lo hanno fatto nascere.
Ci sono, è vero, diversi brani che, anche presi singolarmente, camminano con le proprie gambe, come ad esempio Welcome to the World, la title track stessa o anche I got to run, ma è chiaro che, soltanto inserite nel contesto delle suite in cui sono posizionati, trovano maggior senso.
Musicalmente siamo di fronte ad un album di prog sinfonico, e quindi abbastanza dilatato nei passaggi strumentali, un album in cui il cantato, e quindi la narrazione, è comunque molto presente, e nel quale sicuramente il drumming di Mike Portnoy e la chitarra di Eric Gillette giocano un ruolo di fondamentale importanza nella costruzione delle trame sonore.
Ovviamente non lo si può certo definire un genere, diciamo così, easy-listening, per cui chi è più avvezzo ad ambiti musicali più concisi, asciutti ed essenziali, farà fatica ad entrare in questo modo di proporre musica.
Viceversa, chi sia disposto a prendersi un po’ di tempo per coglierne ed apprezzarne i vari passaggi, troverà sicuramente un ricco menù dal quale poter attingere.

(Radiant Records/Metal Blade, 2019)

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