The Mountain Sessions – Blues & Guitar Excursions – Roberto Menabo’

(Aldo Pedron)

Piemontese di nascita, da anni trapiantato in Emilia, Roberto Menabò è un musicista, noto interprete di blues e “acoustic music”, giornalista che ha scritto per diverse testate come Il Blues, Jam, Folk Bulletin e Jazzit, maestro di fingerpicking e della tecnica slide.
Studioso di country-blues dalle origini, dai primi anni del 1900 e spaziando dai musicisti neri del Delta del Mississippi, sino ai cantori bianchi di un’area denominata Piedmont. Una vasta zona a ridosso della catena montuosa degli Appalachi situata nella parte orientale dell’America del Nord che si estende e si sviluppa su circa 2500 km, dal golfo del fiume San Lorenzo fino allo stato dell’Alabama e tra la West Virginia e il South Carolina. Gli Appalachi si estendono in 26 stati americani e sono anche parte dell’isola canadese di Terranova e di quella francese di Miquelon.

Menabò è altresì insegnante, curatore ed interprete di alcune musiche per spettacoli teatrali, ha all’attivo diversi album ed è anche provetto scrittore con 5 interessantissimi libri dedicati alla musica. John Fahey – La storia- la discografia consigliata (Lapis Lapsus edizioni, 2002).  95 pagine. Vite Affogate nel blues (Roberto Menabò, 2014). 192 pagine. Rollin’ And Tumblin’ –Vite Affogate nel Blues (Arcana, Roma, luglio 2015). 158 pagine.  E’ lo stesso libro del precedente, copertina differente e distribuito a carattere nazionale da Arcana. Mesdames a 78 giri – Storie di donne che hanno cantato il Blues (I Libri della Collinetta, settembre 2018). 151 pagine. Il Blues ha una mamma bianca – Storie di chitarristi e banjoisti nell’America degli anni Venti e Trenta (I Libri della Collinetta, settembre 2019). 207 pagine.

Nel 1985 Menabò pubblica A bordo del Conte Biancamano, un disco di sola chitarra acustica con 14 brani, tutti originali eccetto due arrangiamenti di Bukka White e Sylvester Weaver che univano in un virtuale viaggio sonoro John Fahey e Athaualpa Yupanqui, Charlie Patton e la melodia italiana. (poi ristampato nel 2016 con bonus tracks e 20 canzoni in totale).

A seguire esce Laughing The Blues (Combo Jazz Club, 1995) e a 10 dal suo ultimo precedente disco Il Profumo del vinile ecco il nuovo The Mountain Sessions – Blues & Guitar Excursions.  Un disco che segna l’atteso ritorno discografico di Roberto Menabò per molti appassionati di “acoustic blues” che lo aspettavano con trepidazione per un CD prodotto in collaborazione con A-Z- Blues e con la partnership di Blues Made In Italy. 14 brani acustici equamente divisi tra blues tradizionali e strumentali scritti per l’occasione da Menabò, suonati in diretta, proprio come nelle sessions degli anni ’30 in cui si previlegiava un certo tipo di suono caldo, immediato ma al tempo stesso accattivante. I sette brani cantati sono pescati da altrettanti 78 giri anni ’20 e ’30 mentre le composizioni originali rispecchiano la predilezione di Roberto per un certo tipo di fingerpicking dal piglio melodico nonché robusto. Un lavoro discografico che come i precedenti è assai rigoroso e rispettoso delle tecniche usate dai primi bluesmen e maestri di country-blues.

L’aria frizzante degli Appennini emiliani in cui vive lo trovano a suo perfetto agio tra gli spazi aperti, gli alberi e i rumori della natura che si sono amalgamati bene con quello che è il suo spirito musicale, indubbiamente campagnolo, non cittadino. Tutto ciò riporta Menabò ad un paragone e accostamento ai monti Appalachi che in qualche modo con la sua musica risultano più vicini. Per lui vivere e suonare significa riferirsi indubbiamente al blues che ama di più, quello dei primi decenni del secolo dove la musica era viva, passionale, misteriosa, affascinante, un’autentica avventura dello spirito e nei suoi dischi incisi senza filtri o correzioni esce tutta l’anima blues e la sua tecnica chitarristica sopraffina che sfiora e tocca le corde con i polpastrelli.  

In The Mountain Sessions ci sono naturalmente brani poco conosciuti di artisti bianchi e neri e comunemente non suonati. Dall’iniziale Tom Cat Blues di Cliff Carlisle (1903-1983) suonata con un arpeggio delicato si passa ad una sua affascinante composizione come Spuma bianca e Juke Box in puro stile fingerpicking. Worried Blues è un motivo di Frank Hutchison, originario delle montagne boscose del West Virginia, pubblicato nel 1927 a 78 giri dalla Okeh (Okeh 45114) in cui si evidenza lo stile slide, il suono limpido, circolare, a tutto tondo e dal fraseggio preciso e incontaminato dello slide in open G (come Menabò stesso cita nel suo libro Il Blues Ha Una Mamma Bianca a pagina 43). Un artista Frank Hutchison, caposcuola del cosiddetto Piedmont Blues. Worried Blues con la slide ma la stessa successiva A casa di Simone ragionando di Primitive Guitar da lui composta, conferma la bravura di Menabò che estrae dalla chitarra un suono pulito, dinamico, costante, seducente, edenico.  

La quinta traccia s’intitola Shake That Thing composta da Papa Charlie Jackson (la musica) e J. Mayo Williams (il testo) ed incisa a New York il 23 dicembre 1925 (disco Columbia) originariamente cantata da Ethel Waters con una versione sbarazzina e lenta di un classico hokum con Menabò a ricordare certi vocalizzi e skat alla Leon Redbone. Shake That Thing mi ricorda Hesitation Blues nella versione di Jorma Kaukonen (dal primo album degli Hot Tuna – Recorded Live At the New Orleans House, Berkeley del 1970).

Ecco allora le registrazioni con il solo Roberto Menabò alla chitarra (C.F. Martin HD 28) e voce che rispecchiano l’atmosfera di quando una volta si trovavano le cosiddette “field recording” (letteralmente registrazioni sul campo) e dove le case discografiche organizzavano per i bluesmen incisioni da pubblicare a 78 giri (anni ’20 e ’30 soprattutto). Fanno qui eccezione Tom Cat Blues con l’aggiunta di uno slide e di Columbus Stockade Blues composta da Thomas Darby & Jimmie Tarlton, una canzone degli anni ’20 contro la guerra. La Columbus Stockade in questione è un edificio in mattoni rossi ubicata a Columbus, Georgia, al 622 della 10th Street. Fu costruito verso la metà del XIX secolo per essere adibito a carcere della contea di Muscogee. E’ una struttura detentiva tuttora in funzione per arresti di durata limitata. Fu incisa per la Columbia Records nel 1927 e tra le interpretazioni notevoli si segnalano quelle di Doc Watson e di Woody Guthrie. Menabò nel brano ci aggiunge una voce nel refrain nel cosiddetto ritornello. 

La celeberrima Stack O’ Lee Blues (o Stagger Lee o Stagolee), è una bellissima canzone popolare, una folk song che parla dell’assassinio di Billy Lyons avvenuta per mano di Lee Shelton (soprannominato Stag Lee dal nome di un battello fluviale Stack Lee della famiglia Lee di Memphis) a St. Louis nel Missouri nel Natale del 1895 per il furto del suo prezioso cappello Stetson. La prima incisione a Camden, New Jersey, è del 18 aprile del 1923 a cura dei Fred Wiking’s Pennsylvanians (singolo accreditato come autore a Ray Lopez e su etichetta Victor). Ne ricordiamo anche una cover di Loyd Price del 1958 che arrivò prima in classifica e la stessa Stagger Lee di Taj Mahal del 1969 nel suo doppio album Giant Step / De Ole Folks At Home. L’incisione di Mississippi John Hurt che viene ritenuta la definitiva è del 1928 con alcune varianti nel testo della canzone stessa.

Sempre di Mississippi John Hurt é Ain’t No Tellin’, dove il ritmo e la melodia sono divisi ma ugualmente uniti, complessi e dove esce tutta la bravura del fingerpicking.

La passione per i treni di Roberto Menabò è arcinota e si manifesta qui con due brani Il Settebello sulla Direttissima con una stupefacente esecuzione e saggio di bravura alla chitarra, a ricordare a un profano come me di John Fahey o ancor di più di un contemporaneo come Leo Kottke e L’Ultima Litorina (il treno delle piccole tratte) in cui la chitarra imita e si sostituisce all’intercedere sferragliante del convoglio sui binari. Con la sua chitarra Martin ed una notevole capacità tecnica, Menabò ci fa sentire e rivivere il fascino dei treni e le ruote che corrono sui binari.

Altri tre preziose gemme di Roberto Menabò di sua composizione sono Il Ponte Romano sulla Dora (il ponte Vecchio che resiste da due millenni che unisce le due sponde della Dora Baltea a Ivrea e la sua prima realizzazione risale infatti all’epoca romana).

Il Cagnolino di Clifford dedicato ad un artista Clifford “Grandpappy” Gibson nato nel 1901 a Louisville, Kentucky ma poi trasferitosi stabilmente a St. Louis nel Missouri fino alla sua morte in miseria il 21 dicembre del 1963. Clifford era noto per aver inciso e accompagnato Jimmie Rodgers in un singolo per la Victor Let Me Be Your Side Track del 1931. Il palcoscenico preferito da Gibson, come da quasi tutti i grandi bluesmen della sua epoca sono le strade dove il pubblico impara a conoscerlo e ad apprezzarlo per gli inusuali acuti lunghi e prolungati che trae dalle corde della sua chitarra e per come racconta la leggenda, per sbarcare il lunario si esibiva per strada in compagnia di un cagnolino ammaestrato che teneva il cappello per raccogliere i pochi soldini lasciati dai viandanti.

Chiude l’album Una Jam sul tram la cui linea melodica ed il fingerpicking sono sempre notevoli e radiosi.      

Un album assai piacevole, suonato divinamente, estremamente consigliato ai chitarristi ma anche a tutti gli amanti del blues acustico, a tutti coloro che amano la bella musica, una musica senza tempo e che ci fa ben riconciliare con la vita.

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