The Flock – Truth-The Columbia Recordings ’69,’70

(Andrea Romeo)

Quando si parla di jazz-rock, tendenzialmente si vanno a prendere in considerazione i primi anni ’70, quando artisti come Miles Davis, Charles Lloyd, insieme a Keith Jarrett e Jack DeJonnette, Jeremy Steig e Mike Mainieri, lo stesso Frank Zappa e le sue Mothers of Invention, iniziarono a mescolare i due ambiti musicali mettendo in atto una sperimentazione che ha poi percorso parecchia strada.

Non furono gli unici ad avventurarsi lungo questo percorso dato che l’evoluzione del genere coinvolse numerosi altri soggetti, negli States ed in Inghilterra: Colosseum, Chicago, Blood, Sweat & Tears, e poi Soft Machine, Nucleus, e con essi la cosiddetta Scuola di Canterbury, Brand X sono i più noti alle cronache musicali;oltre ad essi, unanutrita schiera di band considerate minori, che non uscirono da un limbo di relativa notorietà ma contribuirono in modo significativo allo sviluppo di ciò che divenne prima jazz-rock, poi smooth jazz ed infine fusion.

Tra questi gruppi, sottovalutati quando non proprio dimenticati, una misconosciuta band che vide la luce nel 1966 in quel di Chicago: Fred Glickstein, guitar, lead vocals, Jerry Smith, bass, Ron Karpman, drums, Rick Canoff, saxophone, Tom Webb, saxophone e Frank Posa, trumpet, dopo i quattro singoli, Can’t You See, Are You The Kind, Take Me Back e What Would You Do If The Sun Died? accolsero nelle loro fila Jerry Goodman, violin, che era stato loro roadie e, con questa formazione, realizzarono The Flock, nel 1969 e Dinosaur Swamps, l’anno successivo.

Non furono, come detto, una band dalla carriera particolarmente fortunata, nonostante fossero stati lanciati da John Mayall che, narra la leggenda, ebbe occasione di ascoltarli in un piccolo bar di Las Vegas; l’influenza di Davis, però, e del suo album Bitches Brew,rappresentò uno stimolo potentissimo ed a ciò va aggiunto che, con i due album usciti nel volgere di un paio d’anni, mostrarono una evoluzione stilistica davvero singolare, in cui si possono ritrovare tracce della lezione di Canterbury, ma anche un approccio strumentale che li condusse in poco tempo a proporsi quasi fossero una big band, con un taglio decisamente molto più americano.

Muro do Classic Rock

L’etichetta Esoteric ha pubblicato i due album aggiungendo alle tracce originali una dozzina di altri brani, alcuni registrati ma non inclusi negli album, altri che sono le A e le B Sides dei singoli che avevano anticipato l’uscita degli lp.

The Flock, il loro primo lavoro, inizia con una lunga Introduction affidata al pirotecnico violino di Goodman, dopodichè l’abbinata jazz-rock/big band inizia lentamente a prendere forma: Clown, guidata dal basso di Smith, contiene delicate aperture chitarristiche, rapidi interventi del violino, inserti di fiati molto mirati, il tutto nell’ambito di una costruzione melodica raffinata e molto bilanciata in cui la batteria di Karpman enfatizza o placa i passaggi del brano stesso.
Seguono la placida I am the Tall Tree, ricca di interessanti incroci vocali così come Tired of Waiting, robusta ed energica cover del brano scritto da Ray Davies nel Gennaio del 1965, poi i sette minuti di Store Bought – Store Thought che in alcuni passaggi strizza l’occhio alla black music, e la conclusiva Truth, con basso e violino ancora sugli scudi, suite dall’andamento blueseggiante in cui la band dell’Illinois illustra chiaramente il suo particolare approccio musicale, un unicum nell’ambito di una produzione a cavallo tra jazz, rock, prog e fusion ante litteram.
Oltre a Tired of Waiting e Store Bought – Store Thought, i singoli in versione edit, ci sono What Would You Do if The Sun Died? e Lollipops and Rainbows ed una versione di Clown divisa in due parti, i due lati del 45 giri.

Dinosaur Swamps allinea sette brani che conducono il loro sound verso un approccio più corale; introdotto da una oscura e misteriosa Green Slice l’album decolla con Big Bird, intro strumentale dal retrogusto country che, dopo un break centrale, vira verso un jazz-rock venato di blues, cui segue Hornschmeyer’s Island, rock-pop più britannico che americano, che rimanda alle atmosfere musicali nate, tra Londra e Canterbury, verso la metà degli anni ’60.
Lighthouse è il brano più chitarristico dell’album, pezzo rock decisamente quadrato solo leggermente addolcito da una sezione fiati che fa un passo indietro limitandosi ad accompagnare uno scatenato Glickstein, mentre la successiva Crabfoot cambia del tutto registro proponendosi come vulcanico pezzo black con forti venature funk, grazie a basso e batteria decisamente impetuosi in pieno stile blaxploitation, in cui fiati ed Hammond, ovviamente, sono in grandissimo spolvero.
Band multiforme dunque, e lo dimostrano passando agevolmente dai ritmi incalzanti ad una quasi pastorale Mermaid, ballad decisamente british giocata principalmente sulle voci, percussioni solo appena accennate e violino in primissimo piano.
Si chiude con Uranian Sircus: incipit decisamente vaudeville, abbastanza inquietante, poi un rock duro, ma che continua a mutare forma: si passa infatti da venature hard ad echi west coast che richiamano a tratti Jefferson Airplane o Grateful Dead.
In coda all’album, oltre alle versioni edit di Mermaid e Crabfoot, quattro singoli inediti di ispirazione blues: Chanja, strumentale articolato così come Atlantians Truckin’ Home, di impronta chitarristica, poi Afrika, brano d’atmosfera cupo e decisamente notturno cui fa seguito la conclusiva Just Do It, dal beat jazz-funk incalzante, ben sorretto dal basso cui pianoforte, tromba e sax fanno da controcanto.

Della band si perdono quasi subito le tracce, se si escludono l’occasionale reunion del 1975 e la nascita dei Flock 3, con Glickstein e Karpman, nel 1976, di cui restano sparse testimonianze live.

Ben diversa, e di ben altro spessore, la carriera del violinista Jerry Goodman che, apparso nell’album My Goal’s Beyond pubblicato da John McLaughlin nel 1971, verrà chiamato dal chitarrista britannico a far parte della Mahavishnu Orchestra, con cui realizzerà album epocali quali The Inner Mounting Flame, Birds of Fire, Between Nothingness & Eternity, The Lost Trident Sessions ed Unreleased Tracks from Between Nothingness & Eternity, prima di proseguire, con collaborazioni importanti, a fianco di Jan Hammer, Dixie Dregs e numerosi altri musicisti che lo chiameranno come guest nei loro album.

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