The Alan Parsons Project – Eye in the Sky

(Andrea Romeo)

Quando, a ventun’anni, collabori con Sir George Martin nella produzione di Abbey Road, l’anno successivo affianchi Phil Spector durante la realizzazione di Let It Be, soltanto tre anni dopo siedi dietro il mixer mentre i Pink Floyd mettono su nastro The Dark Side of the Moon e, poco tempo dopo, ti occupi della produzione di Year of the Cat di Al Stewart, beh, intanto un nome te lo sei già fatto e tutto sommato hai una gran bella carriera come produttore nel tuo futuro; tuttavia, se lavorare per altri è certamente molto stimolante, è altrettanto vero che un musicista ha bisogno di esprimere sé stesso, e di farlo attraverso la propria musica, ed allora l’idea venuta in mente ad Alan Parsons, nato a Willesden, North West London, il 20 Dicembre del 1948, ha un nome ben preciso: The Alan Parsons Project.

Data di nascita, il 1975, ovvero un anno dopo l’incontro, avvenuto presso gli Abbey Road Studios, con Eric Woolfson, autore, cantante, pianista, arrangiatore e produttore, originario di Charing Cross, Glasgow, con il quale formerà un’accoppiata che risulterà tanto creativa quanto di successo negli anni successivi.

Realizzano cinque album, che ne accrescono notevolmente la fama, e ne affinano lo stile, iniziando da Tales of Mystery and Imagination (1976), per proseguire con I Robot (1977), Pyramid (1978), Eve (1979) e The Turn of a Friendly Card (1980), all’interno dei quali brillano subito una serie di singoli di successo, tra cui The Raven, I Wouldn’t Want to Be Like You, Some Other Time, Don’t Let it Show, Voyager, What Goes Up…, The Eagle Will Rise Again, One More River, Lucifer, Damned if I Do, If I Could Change Your Mind, Games People Play, Time, The Gold Bug, ed in ognuno di essi, intorno ai due protagonisti, una serie incredibile di musicisti, soprattutto cantanti, che collaborano alla realizzazione dei loro lavori: alcuni di essi, come il chitarrista Ian Bairnson ed il bassista David Paton, suoneranno con loro in quasi in tutti gli album di questo progetto.

L’Alan Parsons Project diventa, in soli cinque anni, una realtà musicale, riconoscibile e riconosciuta, che si muove agilmente tra pop, rock e prog, ma nulla lascia davvero presagire il successo, clamoroso, che si appresta a conseguire.

Tra il 1981 ed il 1982 Parsons e Woolfson si piazzano a più riprese negli studi londinesi di Abbey Road, insieme ad un ristretto numero di collaboratori: Bairnson e Paton, ovviamente, Lenny Zakatek, Chris Rainbow, Colin Blunstone ed Elmer Gantry alle voci, Stuart Elliott alla batteria e Mel Collins al sax, ai quali si aggiunge The English Chorale; un anno e mezzo di lavoro, ed il risultato finale ha un nome, ed una copertina, che entrano direttamente nella storia della musica mondiale: Eye in the Sky esce nel mese di Maggio del 1982, e l’affermazione è impressionante, non solo presso la critica, salvo davvero rare eccezioni, ma soprattutto presso il pubblico.

I brani della tracklist divengono nel tempo vere e proprie icone musicali, a partire dall’uno-due iniziale, Sirius/Eye in the Sky che, ancora oggi, definisce musicalmente lo stile del Project; le atmosfere sono eteree, il suono brillante ed in un certo senso luminoso, i vari generi coinvolti vengono mescolati con abilità e senso dell’equilibrio e, fattore non secondario ma spesso poco considerato, gli strumentisti coinvolti offrono prestazioni eccellenti: le voci sono sempre centrate, i soli di Bairnson si distinguono per il gusto e la capacità di interpretare il senso del brano, Paton ed Elliott forniscono un supporto ritmico dinamico e ricco di patterns interessanti e creativi mentre i due leader, e le loro tastiere, si occupano delle tessiture armoniche che, in Children of the Moon, Gemini e Silence and I, rappresentano in maniera precisa l’approccio stilistico della band, quel tocco di romanticismo e di malinconia che pervade l’intero lavoro.

Si transita attraverso un pop-rock di gran classe, You’re Gonna Get Your Fingers Burned, in cui Bairnson tira fuori un altro solo notevolissimo, per arrivare a due brani divenuti anch’essi, nel tempo, assolutamente iconici: Psychobabble, pezzo pop elettronico dallo sviluppo “ondeggiante”, ma soprattutto Mammagamma, il primo brano composto completamente grazie al Fairlight CMI Computer, di fatto il nonno dell’odierna informatica musicale, i cui suoni si appoggiano sulla base fornita dalla band creando un andamento dance ipnotico e vagamente floydiano.

Quello che si percepisce, nell’ascoltare queste tracce, è la grande capacità dei due leader di tessere trame, di bilanciare i suoni, di trasferire in ambito rock il concetto di musica d’insieme: mai passaggi eccessivi o troppo carichi, mai sezioni dilatate, o ripetitive, ma un equilibrio che, per i detrattori, può anche apparire come troppo perfetto; eppure è grazie a questo approccio che, a distanza di quasi quarant’anni, questo lavoro suona ancora piacevole, ed i suoni utilizzati sono tutt’altro che datati.

L’intro di Step by Step, ad esempio, e lo sviluppo del pezzo, sono davvero esemplificativi di come si possano equilibrare i pieni ed i vuoti all’interno di un medesimo brano e la chiusura dell’album, affidata ad Old and Wise, delicata e malinconica ballad che si arrampicò fino al ventunesimo posto della Billboard AC Chart, e fu il primo singolo del gruppo ad entrare nelle charts inglesi, offre alla voce degli Zombies, Colin Blunstone, un palcoscenico davvero ideale.

Difficile sapere se i due si attendessero un riscontro di tale portata: fatto sta che Eye in the Sky è uno di quegli album che contribuisce a definire un intero periodo, gli anni ’80, e lo fa restando ancora oggi un album godibile, evocativo, invecchiato benissimo da ogni punto di vista; il fatto che Parsons e Woolfson fossero anche abili produttori ha certamente contribuito al risultato finale, ma è anche vero che ciò che conta, alla fine, è la musica che si mette su nastro, sono le idee; la varietà di proposte, iniziata già dagli album precedenti e qui decisamente implementata, parla di due musicisti creativi e ricchi di inventiva, non certo di due semplici tecnici del suono prestati alla musica.

(Arista Records, 1982)

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