Stray – Fire & Glass – The Pye Recordings, 1975-1976

(Andrea Romeo – 27 marzo 2020)

La storia del rock può essere paragonabile, facendo un parallelo un po’ ardito, alla griglia di partenza di una sorta di gran premio: ci sono le prime file, quelle da cui partono gli artisti più importanti, quelli che potenzialmente faranno una gara, se non del tutto a sé, per lo meno di testa, almeno stando alle previsioni dei più. Poi ci sono le file intermedie, occupate da quegli artisti meno accreditati ma che, durante la gara, potranno forse dire la loro e magari, per una serie di fortunate, o anche meritate, coincidenze, potranno ambire ad ottenere un piazzamento interessante, probabilmente non preventivato e dunque ancor più sorprendente e gradito. Poi ci sono le file, diciamo così, di coda, quelle appannaggio degli outsider, dei debuttanti o di coloro che, per tutta una serie di motivi, non riusciranno ad emergere, per lo meno in quella singola gara.

Ma la musica, così come lo sport, è un mondo davvero strano: dopo anni, a volte anche decine di anni, artisti di fatto scomparsi dai radar degli ascolti, per strane ed imperscrutabili congiunzioni astrali, saltano fuori, senza un motivo apparente.
Può capitare infatti che, un video su Youtube, o un ascolto su Spotify, incuriosisca i titolari di un’etichetta che, fra le proprie “mission”, ha proprio quella di andare ad indagare su quel sottobosco di file intermedie, o di ultime file, e riportare alla luce personaggi dati per dispersi.

Gli Stray sono, indubitabilmente, la tipica band che ha vissuto un’esperienza di questo tipo: nati infatti in Inghilterra, intorno al 1966, furono tra gli antesignani di quell’hard rock che, evolutosi poi verso una forma musicale più dura, sarebbe esploso poco più di una decina di anni dopo, dando luogo a quel fenomeno che risponde al nome di New Wave of British Heavy Metal. Peccato che, proprio in un momento sicuramente decisivo per il rock, ed inquadrabile verso la fine degli anni ’70, con un tempismo drammaticamente perfetto, la band già non esistesse più.

Steve Gadd, voce, Del Bromham, chitarra, Gary Giles, basso e Steve Crutchley, batteria, poi rimpiazzato da Richard “Ritchie” Cole, erano state una delle classiche “school band”, nata all’interno della Christopher Wren School di Londra, e già nel 1970 avevano firmato il loro primo contratto discografico; nei sette anni successivi, pur realizzando una decina di album, tra cui ben due live, la band faticò non poco ad uscire da quel circuito di piccoli club che li ingabbiò inesorabilmente, un po’ come capita, proprio nei gran premi, quando ti trovi a sgomitare nelle retrovie..

Pete Dyer rimpiazzò alla voce l’uscente Gadd, nel 1975, e ciò accadde poco prima della realizzazione del quinto album; è a questo periodo che fa riferimento il doppio cd The Pye Recordings, 1975-1976, uscito nel 2017, che raccoglie infatti i tre album più significativi dell’era Dyer, ovvero Stand Up and Be Counted (1975), Houdini (1976) ed Hearts of Fire (1976), gli album più maturi e che hanno definito il suono e lo stile degli Stray, e fa seguito al box All In Your Mind: The Transatlantic Years 1970-1974, pubblicato nello stesso anno, e che va a coprire l’intera produzione antecedente.

Se a ciò aggiungiamo la ristampa di Live at the Marquee, datato 1983, registrato durante la prima reunion della band e ripubblicato nel 2018, questa operazione di recupero, pressochè totale, di una band ormai virtualmente consegnata all’oblio, appare in tutta la sua interezza.
I brani del doppio cd sono certamente l’espressione della band al suo apice, colta nel momento in cui, forse, avrebbe avuto davvero le chances per ambire a palchi più importanti, raggiungere così un pubblico più ampio e, conseguentemente, ottenere più ampi consensi.

Paradossalmente questo gruppo, nella sua quarta ed ultima incarnazione, che comprendeva Del Bromham, Pete Dyer, affiancati da Stuart Uren al basso e Karl Randall al batteria, raggiunse una certa notorietà soltanto nel 2003, quando fece da opening act per gli Iron Maiden durante il Dance of Death World Tour, nelle date di Spagna, Portogallo, Francia e Polonia, quegli stessi Maiden che avevano inserito una cover di All in Your Mind nella riedizione di No Prayer For The Dying.

Nel 2016, presso il London Borderline, si è tenuto infine un concerto, andato immediatamente sold-out, in cui la line-up originale, al completo, ha celebrato i cinquant’anni di vita degli Stray.

Strana storia davvero, quella di questa band: mai divenuti davvero famosi, eppure mai del tutto dimenticati, vissuti in un eterno limbo da cui questa pubblicazione, insieme alle altre coeve, li ha fatti riemergere, consegnando loro una postuma, da un certo punto di vista tardiva, ma comunque meritata, seconda occasione.

(Cherry Red Records, 2017)

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