Steve Vai – Inviolate

Steve Vai è arrivato da poco tempo a tagliare il traguardo dei sessant’anni anagrafici, ha superato i quarantacinque anni di carriera e, tutto sommato, sarebbe ragionevolmente approdato ad un periodo della propria esperienza artistica in cui, mettiamola così, tirare i remi in barca non sarebbe affatto un gesto né clamoroso né privo di senso… ed invece non è così: la copertina di Inviolate, undicesimo album della sua carriera come solista, non contiene affatto, e va detto chiaramente, un’immagine atta semplicemente a stupire l’audience, o che rappresenta una sorta di guizzo, di vezzo puramente estetico, volutamente finalizzato a sorprendere o a strabiliare gli appassionati.

Perché quella chitarra/basso a tre manici, chiamata non a caso Hydra, non certo il primo strumento “complesso” da lui utilizzato, ma certamente il più articolato (chitarra sette corde, dodici corde, basso quattro corde metà fretless e metà fretted, ed arpa), e da un certo punto di vista epigona della Manzer Pikasso di Pat Metheny, rappresenta il segnale preciso del fatto che il chitarrista nato a Carle Place, New York, non si voglia affatto fermare, ma abbia tutta l’intenzione anzi di proseguire quel percorso di ricerca, di innovazione, di sperimentazione che gli ha permesso nel tempo di essere senz’altro annoverabile fra quei sette, otto chitarristi che hanno avuto la capacità, e la visionarietà, di spostare l’asticella dello strumento, nel suo ampio concetto di approccio totale, di qualche tacca più in alto.

E, no, un’altra cosa da chiarire subito è il fatto che, chiunque si aspetti un lavoro denso di mirabolanti acrobazie da shredder, di passaggi a velocità ipersoniche, di licks in cui non si comprende cosa facciano, sulla tastiera, quelle dita, troverà qualcosa di molto differente, rispetto a tutto questo, all’interno delle nove tracce contenute nell’album, al netto del fatto che, quella che possiamo definire la “velocità di crociera” di Vai, è ovviamente più elevata nei confronti della media dei chitarristi.

Teeth Of The Hydra, il primo singolo pubblicato e brano che apre l’album, dimostra chiaramente che quella chitarra non rappresenta né un orpello né un fattore estetico, né un capriccio da superstar: Vai la utilizza, tutta, costruendo grazie ad essa una serie di strutture musicali che si intersecano, che accelerano e rallentano di continuo, e componendo una struttura caleidoscopica, complessa si, ma affascinante, ricca di dinamica e di passaggi che portano il suo marchio inconfondibile.

Zeus in ChainLittke Pretty e Candlepower costituiscono, ognuna in maniera differente, una sorta di triade che rappresenta il cuore di questo lavoro, perché la velocità fine a sé stessa è completamente bandita e lascia spazio ad un lavoro armonico e melodico che Vai cesella con estrema maestria, con la voglia di creare ma anche con un sottile e perché no compiaciuto senso del divertimento, laddove inserisce guizzi a sorpresa oppure soluzioni curiose che paiono stupire prima di tutto lui stesso.

Rock, hard-rock, speed-metal, ma anche reminiscenze zappiane, in pratica l’intera storia artistica del chitarrista, fin dai suoi primi passi, sintetizzata in tre tracce, ed ecco che, dopo una rutilante Avalancha, brano in cui il chitarrista torna per un momento a spingere, effettivamente, sull’acceleratore, arriva Greenish Blues, pezzo con il quale si ritorna di colpo alle radici del chitarrismo: passaggi delicati, licks melodici avvolgenti e rassicuranti, un’attenzione estrema al dettaglio insomma l’attitudine, peraltro sempre manifestata e divenuta vero marchio di fabbrica, nel proporre sempre soluzioni interessanti, innovative quando non proprio inusuali.

Ci si potrebbe a questo punto attendere una sorta di finale pirotecnico, ed invece, una via l’altra, Knappsack e Sandman Cloud Mist, due brani che definiscono compiutamente il suo corso musicale attuale: zappiana la prima, vero paradiso per i chitarristi solisti, malinconica e nostalgica la seconda, che rappresenta una sorta di saluto nei confronti di un’audience che, probabilmente, a questo punto potrebbe apparire incantata, affascinata dal profluvio di note al quale ha appena assistito.

La lista dei collaboratori che hanno affiancato Vai, all’interno delle tracce di questo lavoro, è davvero notevole: Jeremy ColsonTerry Bozzio e Vinnie Colaiuta si dividono il seggiolino dietro alle pelli ed ai piatti, Bryan BellerHenrik LinderPhilip Bynoe e Billy Sheehan si occupano con perizia delle frequenze basse, David Rosenthal si inserisce con le tastiere mentre Dave Weiner lo appoggia alla chitarra ritmica; un gruppetto di amici, soprattutto e prima di tutto, ma anche di musicisti che lo conoscono molto bene, e che sono perfettamente in grado di assecondarne il flusso di idee, comprendendone sia lo stile che le intenzioni.

Nove tracce eterogenee per un lavoro che trova coerenza ed unitarietà non tanto nella mera tecnica, quanto invece nell’espressività e nello stile: tutti i brani, che nei contenuti sono davvero differenti l’uno dall’altro, hanno come minimo comun denominatore il marchio di fabbrica di Steve Vai, che si sostanzia in un suono, un’attitudine ed un approccio assolutamente inconfondibili; avere un tocco personale e riconoscibile è certamente tra gli obbiettivi di qualsiasi musicista, non tanto per il fatto di collocare una sorta di bandierina all’interno di un music business intasato come non mai, ma proprio per il desiderio di potersi differenziare, di raggiungere la consapevolezza di aver detto qualcosa di nuovo, con una voce ed una capacità espressiva personali.

Il genio non è sempre, necessariamente, percepibile in modo immediato, ed un album come Inviolate va ascoltato più volte perché è proprio all’interno delle pieghe di ogni singolo brano che si possono cogliere quei dettagli che ne fanno un lavoro di enorme spessore; non è comunque un lavoro per soli chitarristi, o per addetti ai lavori, e questo perché la voce chitarristica proposta da Vai è, al pari di quella umana, una traccia perfettamente comprensibile per tutti.

E, per comprenderla davvero a fondo, occorre soltanto avere la capacità di mettersi in ascolto, e di lasciarsi trasportare dal suono.

(Favored Nations/Mascot Label, 2022)

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