Stardrive – Intergalactic Trot

(Andrea Romeo)

Si parla di tastieristi, restando in ambito rock, e la memoria va subito ai nomi più ovvi, un elenco infinito che attraversa almeno tre decadi a partire dagli anni ’70 per arrivare sino alla fine degli anni ’90: in mezzo ci sono l’hard-rock, la musica progressive, il jazz-rock e poi la fusion, l’Aor, il neo-prog e la new wave degli anni ’80, che sulle tastiere e sull’elettronica hanno costruito un intero edificio musicale, poi ancora il synth-pop ed il prog-metal, due facce differenti accomunate da un utilizzo massivo di synth digitali, insomma, un universo dalla molte sfaccettature all’interno del quale però è inevitabile che l’attenzione venga catturata dai soliti noti, i tastieristi considerati più iconici, quelli che tradizionalmente hanno fatto la storia.

Come per quasi tutte le realtà musicali esiste un sottobosco fittissimo, una ragnatela di artisti che, pur non arrivando al centro della scena, non solo ne hanno fatto parte ma spesso hanno contribuito a crearla ed a svilupparla, supportandone l’evoluzione.

Il personaggio in oggetto, ed il lavoro che ne ha segnato la carriera, è un musicista sconosciuto ai più, e del quale si è ipotizzata anche l’inesistenza date le scarsissime informazioni reperibili: Robert Mason è senza dubbio uno dei pionieri della costruzione e dell’utilizzo dei synth polifonici, avendo costruito personalmente il proprio strumento, chiamato StarDrive, utilizzando parti dell’Arp 2500, sintetizzatore modulare monofonico analogico, assemblate ad altre unità audio di sua progettazione.

In un’intervista rilasciata a Changes Magazine, il 19 Marzo 1972, spiegava tra le altre cose i motivi per i quali lo strumento che aveva realizzato fosse differente rispetto agli altri in uso all’epoca, spesso utilizzati come sostituto dell’organo: “The electronic thing provides a new frame of reference so that the way in which the sounds come at you, the way they order themselves in your mind, is much more flexible; they sound different from anything that has occurred before, so it makes a whole other frame work possible. There aren’t many people who are really playing the instrument; there are a lot of people who use it, a lot of studios that have them around and use them for everything from serious music to filling in commercial product. But it’s still pioneering to get out there and go on the road and play the synthesizer. So there’s that and also there’s the touch-control thing. Synthesizers are normally like organs; the amount of pressure you put on the keys doesn’t alter the volume: mine does, however. But that’s only part of it” he adds. “The music is what is important. All this is only a way to find the music. That is what Stardrive is about.

Gli vengono attribuiti due album, il primo intitolato Stardrive, ed il secondo, ovvero Intergalactic Trot, realizzato nel 1973 sempre a nome Stardrive, e questo perché Mason aveva radunato intorno a sé una vera e propria big band: l’inossidabile Michael Brecker ai sax soprano e tenore, Steve Gadd, vera leggenda vivente, alla batteria, Harvey Sarch alle chitarre, già collaboratore di Ray CharlesOrnette Coleman e Jack ReillyJaime Austria al basso, che aveva precedentemente collaborato con la American Symphony Orchestra, avrebbe poi suonato nel cast di A Chorus Line dal 1975 al 1990 e sarebbe divenuto membro permanente dell’American Ballet Theatre Orchestra, nel 1989 e della New York City Opera Orchestra, nel 1993, ed infine Bruce Ditmas, prolifico batterista e session man di Atlantic City, alle percussioni.

Molto interessanti risultano alcuni passaggi contenuti nelle note di copertina, che delineano l’intento di questo lavoro: “… Robert Mason has built the world’s first multi- voiced synthesizer that can be played like a real keyboard instrument with full chords and tonal clusters. All the music of this album was performed live on the StarDrive synthesizer…” e le sette tracce contenute nell’album rappresentano davvero uno spaccato delle enormi potenzialità timbriche, ma verrebbe quasi da dire “vocali”, di questo strumento, all’avanguardia e per molti versi ancora da scoprire in maniera più approfondita, cosa che sarebbe avvenuta negli anni successivi, quando i synth polifonici andranno lentamente a sostituire quelli monofonici, in attesa dell’avvento dell’era dei sintetizzatori digitali; nulla si sa, invece, di questo strumento custom-made, costruito in un unico esemplare, e di che fine abbia fatto.

Si apre con Rushes, un viaggio tastieristico percorso a tutta velocità, con batteria e basso in gran spolvero, che plana su una cover affascinante, ed assolutamente inusuale, di Strawberry Fields Forever, per arrivare a Stardrive, una suite che si potrebbe definire in “Moog style”, ricca di cambi di tempo, con inserti chitarristici funk e jazz, e diverse atmosfere vagamente riferibili ai Genesis di The Cinema Show.

Il secondo lato dell’album viene introdotto dal brano forse più catchy dell’intero lavoro, Dr. Tandem (Takes a Ride), quasi una sorta di divertissement che introduce una tripletta davvero notevole: con Want to Take you Higher Mason ed i suoi colleghi entrano a piè pari, e con grande autorevolezza, nei territori del jazz-rock e della fusion, mentre Everything at Once è un pezzo di rock sinfonico costruito intorno a chitarre prima decisamente smooth, poi più jazzate, a suoni di synth molto morbidi, ed al sax di Brecker lasciato libero di svariare nel finale; si chiude con Intergalactic Trot, la titletrack in cui Mason cede il proscenio ai musicisti che hanno collaborato con lui: Gadd ed Austria (con linee di basso davvero incisive) si lasciano andare ad uno scatenato mood funky, Brecker rivaleggia con il leader nel guidare la melodia ed i due creano un continuo gioco di rimandi che alimenta la dinamica dell’intero brano.

Mason sarà presente con i suoi synth nell’album Mirror Image, dei Blood Sweat & Tears, pubblicato nel 1974, dopodichè di lui, e del suo StarDrive, si perderanno completamente le tracce: questo lavoro testimonia la sua notevole attività di ricerca sonora che permetterà a molti altri musicisti, anche di maggior fama, di utilizzare i frutti di questo studio per implementare le proprie sonorità: per gli ascoltatori, invece, un vero e proprio compendio che rivela molti interessanti dettagli riguardanti la musica che verrà sviluppata negli anni immediatamente successivi.

(Elektra/Wounded Bird Records, 1973)

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