Rymden – Reflections & Odysseys

(Andrea Romeo)

Il 14 Giugno del 2008 è stato, per Dan Berglund e per Magnus Öström, il giorno in cui la loro vita ha subito un colpo decisivo, il giorno dopo il quale nulla sarebbe stato più lo stesso: il bassista ed il batterista e percussionista svedesi perdevano l’amico, il compagno di viaggio, il collega Esbjörn Svensson e, di fatto, l’Esbjörn Svensson Trio, quel giorno, ha cessato di esistere.
Ci sono voluti più o meno dieci anni perché, i due musicisti, ricominciassero a ragionare in termini di band, nonostante il fatto che, nel frattempo, i due non siano certamente rimasti con le mani in mano: oltre a varie collaborazioni, che li hanno visti protagonisti, Berglund, nel 2009, ha fondato i Tonbruket, insieme a Johan Lindström (chitarra, tastiere), Martin Hederos (piano, fisarmonica, violino, tastiere) ed Andreas Werliin (batteria, percussioni), Öström la Magnus Öström Band; entrambi hanno dunque suonato in vari ed importanti contesti, ma risultava chiaro che, a queste esperienze, seppur valide, mancava quel quid che avrebbe permesso loro di andare oltre.
L’incontro decisivo è avvenuto verso la fine del 2016, quando il batterista di Skultuna ha incrociato Bugge Wesseltoft, norvegese, pianista, tastierista (spesso anche dj) appassionato ed amante della sperimentazione elettronica, proveniente dall’esperienza ultradecennale New Conception of Jazz, che ha buttato lì un… “facciamo qualcosa insieme”: invito certamente allettante, ma passo davvero importante, diventato oltremodo difficile quando, poco tempo dopo, è stato inevitabile coinvolgere il contrabbassista di Sigtuna.

Per i due ex-E.S.T. si è trattato di un altro momento chiave: rimettere insieme un trio, con un altro pianista, dopo un’esperienza precedente così importante durata quindici anni ed una ventina di album; eppure la scintilla è scoccata di nuovo, ed il progetto Rymden, che in svedese significa “spazio”, si è materializzato spontaneamente. Dopo pochi mesi il terzetto suonava già, al Bergen’s Nattjazz Festival, ed i due “superstiti”, grazie all’amico, si sono ripresi quello spazio, cui forse aspiravano, ma che non era certamente facile tornare ad occupare.

Reflections & Odysseys, con le sue undici tracce, rappresenta, nell’ambito del jazz nordico, un nuovo tipo di approccio che è già stato definito “future jazz” o nu jazz; al netto delle etichette, sempre più o meno plausibili ma anche assai soggettive, quello che risulta chiaro è ciò che si ascolta: una batteria, quella di Magnus Öström, che si può definire tellurica e che, soprattutto nei suoi aspetti percussivi, si avvale dell’elettronica per concepire non solo dei suoni particolari, ma delle vere e proprie atmosfere; e poi un contrabbasso che, Dan Berglund, accarezza, aggredisce, strappandogli le note oppure estraendole, quasi fossero spine piantate nella carne, il tutto grazie ad un rapporto molto “fisico” con lo strumento, e che dal vivo risulta visibile e percepibile.

Bugge Wesseltoft, dal canto suo, fa scorrere le dita lungo la tastiera del pianoforte, poi attacca con grinta i tasti del Fender Rhodes, ed infine estrae, dagli oscillatori del suo Korg Mini Moog, suoni spaziali, onde musicali che lanciano il trio in uno spazio senza confini.

Non dunque un jazz di ispirazione “geograficamente” nordica, come ci si potrebbe attendere, e quindi caratterizzato da una sorta di sguardo, quasi ascetico, sull’altro da sé, ma un discorso musicale dinamico, a tratti melodico, a tratti financo aggressivo, ricchissimo di accelerazioni, break, pause e riprese, insomma una visione musicale totale, che fa dell’alternanza tra “pieni” e “vuoti” una regola spontanea.

I tre musicisti, letteralmente “cavano fuori” i suoni dai loro strumenti, creando una sorta di “space-jazz” caleidoscopico e continuamente a caccia di novità. In questo senso Rymden riprende, come processo di elaborazione musicale, la lezione dell’Esbjörn Svensson Trio, andando però “a caccia” in territori in buona parte non ancora esplorati, creando dunque un legame, una continuità, con l’esperienza precedente.

Quella dei tre Rymden è, forse, una delle possibili evoluzioni di quel progetto, che fu talmente innovativo da essere immortalato, primo gruppo europeo in assoluto, sulla copertina di Down Beat, ma è un’evoluzione che ha le gambe per camminare lungo una strada, propria ed assolutamente originale.

In studio sono precisi, attenti ai dettagli, e cesellano i suoni con molta attenzione; dal vivo aggiungono, a questa attitudine, una grinta ed una vivacità davvero esplosive. Hanno conquistato il loro spazio, adesso debbono iniziare ad esplorarlo.

(Jazzland Recordings Norway, 2019)

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