Porcupine Tree – Coma Divine

(Andrea Romeo)

Che Steven Wilson sia un artista, in un certo senso, “dickensiano”, lo si percepisce chiaramente dalla sua produzione solista, intrisa di malinconia, struggimento, memoria, ricordi, sofferenze velate o palesi, insomma un insieme di sensazioni che rimandano ad una certa letteratura, ad una narrazione che scava nei sentimenti e nelle emozioni.

Ma questa attitudine arriva da lontano, ed è cresciuta in una “palestra” che è stata, di fatto, la prima creatura importante del musicista di Hemel Hempstead, ovvero quei Porcupine Tree che, vista la luce nel lontano 1987, sconvolsero quasi subito il mondo del prog, del rock, e della musica in generale, ispirandosi in parte alla psichedelia floydiana degli anni ’70.

Nati dunque quasi per scherzo, almeno secondo le cronache più accreditate, ma resisi conto nel giro di pochi anni di avere un potenziale commerciale davvero importante, che si espresse già nei loro primi lavori, On the Sunday of Life…, Up the Downstair, The Sky Moves Sideways e Signify, divenuti in brevissimo tempo dei classici.

Solitamente il passaggio che conduce al primo album live (se si esclude Spiral Circus che, però, era un insieme eterogeneo di brani dal vivo, realizzati in varie location) viene pianificato partendo dalla ricerca di un luogo, diciamo così, prestigioso, ma anche da questo punto di vista Wilson ed i suoi Porcupine Tree andarono decisamente controcorrente: venne scelto un piccolo ambiente, il Club Frontiera, un antico hangar sulla via Aurelia trasformato in locale notturno, nel quale la band formata da Steven Wilson (voce, chitarra, pianoforte, sintetizzatore, campionatore, banjo), Richard Barbieri (tastiere, sintetizzatore, pianoforte), Colin Edwin (basso, contrabbasso) e Chris Maitland (batteria, cori) ebbero modo di presentare, in tre date fissate nel marzo del 1997, quattordici brani che andavano a coprire tutta la discografia del gruppo sino a quel momento.

Già qui, le doti di Wilson come produttore, iniziarono ad emergere in maniera chiara ed evidente, perché l’album che venne registrato in quell’occasione, Coma Divine, è diventato uno standard, ponendo una sorta di asticella, a livello esecutivo, di registrazione e di produzione, sotto la quale non è più possibile andare.

I brani proposti, da Signify a The Sky Moves Sideways, ed ancora Dislocated Day, Moonloop, Up the Downstairs, sino a Radioactive Toy, rivisitati e riarrangiati per l’occasione, surclassano le versioni in studio, che già erano pregevoli da vari punti di vista, e questo anche grazie ad una pulizia, ad una dinamica ad un suono che difficilmente si potevano riscontrare negli album live prodotti sino ad allora.

Il tutto considerando anche che, l’unico minimo lavoro di post-produzione, ha riguardato esclusivamente le voci.

Da quel momento in poi la fama della band si espanse sempre di più, e da fenomeno di nicchia, per appassionati e cultori del genere prog e dintorni, divennero lentamente un gruppo ampiamente conosciuto, ma soprattutto riconosciuto tra i più interessanti ed innovativi del decennio; l’aver fuso, insieme, il prog anni ’70 e la psichedelia del medesimo periodo, esaltandole con un tasso tecnico ed esecutivo immenso, ed offrendo nel contempo suoni che mai appaiono vecchi o “passati”, ha reso i Porcupine Tree, di fatto poi “congelati”, mai sciolti, da Wilson, nel 2010, una band decisamente di culto, ma  assolutamente accessibile anche ad un pubblico più generalista, o comunque di non addetti ai lavori.

Ancora oggi, in interviste o colloqui con l’artista inglese, l’argomento Porcupine Tree, direttamente o indirettamente, fa capolino tra le domande, e questo perché il segno lasciato da questa band è indubbiamente molto importante; generalmente Wilson glissa, sempre con molto stile, sulla questione, considerando quella band un capitolo, importante, ma chiuso, della sua carriera, che peraltro prosegue con risultati eclatanti.

Certo è che, riascoltando Coma Divine a distanza di oltre vent’anni, non si può che rimanere stupiti di fronte al livello artistico raggiunto, già allora, e poi riconfermato negli album successivi; molto probabilmente, con dieci lavori in studio, undici live, sei raccolte ed otto EP, la loro parabola era effettivamente giunta ad un punto in cui, proseguire, avrebbe fatto correre loro il rischio di diventare ripetitivi.

Meglio lasciare, dunque, al massimo della forma, piuttosto che galleggiare sulle glorie passate; del resto Wilson, tra le sue caratteristiche, ed i suoi pregi, ha certamente quello di guardare, sempre, molto avanti.

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