Polymoon – Chrysalis

Spettacolari contrapposizioni cromatiche e una tavolozza di suoni ad ampio spettro. Un involucro dorato caratterizzato dalla creatività dei Polymoon, esternazione di Tampere, Finlandia, che si rinnovano come un’incubatrice schiusa, invasa da suoni vorticosi e fluenti e dal notevole impatto psicotico-postimpressionistico.

Quando si interviene nel miscelare due componenti, come lo psych-prog di Chrysalis, psichedelia e rock progressivo forniscono diversi connotati comuni. L’apparizione fonica stravagante, gli spartiti espressi tramite lo studio morfologico in assenza di vincoli, l’estemporanea meditazione insieme all’allungamento viscoso della melodia, lo sviluppo di arte e tecnica per distribuire e combinare gli interventi dei vari strumenti. Spesso invocano dosate improvvisazioni schizoidi, con mirate divagazioni elettroniche per ricucire una musica raffinata in sostanza e architettura.

Nel precedente album d’esordio, l’ottimo Caterpillars Of Creation, la produzione fu affidata a Juho “Jun-His” Vanhanen cantante di Oranssi Pazuzu, mago della black psych, che ha reso il caleidoscopio Polymoon affine al riflesso del firmamento al tramonto. Oggi Christoph “Tiger” Bartelt ha prodotto il nuovo progetto mixandolo in Germania (Kadavar Studio), conseguentemente alla firma dei finnici per la label berlinese Robotor Records dei vampireschi Kadavar, dove Bartelt “Helter Skelter” suona la batteria. Le canzoni mantengono l’impeccabile collante allucinatorio anteriore. Risultano, concretamente, più dure e determinate, come a voler fornire elementi nei quali disegnano un effetto plastico e volumetrico, in modo da stabilire un rapporto di natura fisica ed emozionale, basato su fenomeni sorretti dalle stesse leggi estetiche.

Alla fine dello scorso anno, la band ha annunciato l’arrivo dell’italiano Marco Menestrina, già nei Kaleidobolt, che ha sostituito Juuso Valli al basso. Il resto della formazione continua con Kalle-Erik Kosonen (vocal, keyboards), Jesse Jaksola (guitars), Otto Kontio (guitars), Tuomas Heikura (drums). Le parti vocali sono diventate più intraprendenti e a volte distorte o rimbalzate verso la grandezza del Cosmo. Le tastiere si dispongono ad un decoro docile, lo stile chitarristico progredisce allentato e rarefatto; quasi a voler moderare e indebolire il Tempo; indurre la coscienza, separare note sofisticate. Una lezione cara a David Gilmour. L’atmosfera di Chrysalis richiama alla mente gli esordi floydiani anche se non compare la dissonanza surreale di Barrett. Un riverbero che conduce al cofanetto di  A Nice Pair (1974) dove i primi due dischi dei Pink Floyd venivano proposti con una grafica attraversata da giochi di parole figurati. Similitudine percepita nei concerti dei Polymoon, canalizzata alla performance live verso un’esperienza audiovisiva diretta al pubblico. I brani di Chrysalis brillano vertiginosamente. Dall’iniziale Crown Of The Universe passando all’ambiziosa Istar, fino alla vibrante alienazione di Set The Sun. Sorseggi irradiati emotivamente nel “a fork in the road” di Viper At The Gates Of Dawn, ovvero come prendere una decisione su una coppia di opzioni altrettanto valide. Il parallelo sul magnum opus del 1967 (The Piper At The Gates Of Dawn) rimane puramente indicativo in quanto si tratta di un pezzo giocato su timbri e colori, un flusso elegante di suoni gradevoli ed una sezione ritmica dinamica.

I Polymoon trascinano ogni singolo contenuto del pensiero, ogni entità mentale, non solo nella scenotecnica proiettata alla psiche. Dilatano i tempi astratti osservando, dalla finestra, un mondo radioso, ricco di affascinanti alterazioni della forma.

(Robotor Records)

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