Pino Daniele – Bella ‘Mbriana

(Andrea Romeo)

Nel 1982 Pino Daniele aveva già una storia importante da raccontare: nato a Napoli, Quartiere Porto, compagno di classe di Enzo Gragnaniello all’Istituto Oberdan, chitarrista autodidatta, coinvolto nei movimenti del ’68, esordì come musicista nel complesso dei New Jet; decisivo fu però l’ingresso nei Batracomiomachia, in cui militavano Paolo Raffone, Rosario Jermano, Rino Zurzolo, Enzo Avitabile ed Enzo Ciervo, proprietario dello spazio in Vico Fontanelle, alla Sanità, dove il gruppo provava, esperienza che gli aprì la strada verso la carriera musicale professionista.

Apprezzato session man, entrò come bassista nel gruppo Napoli Centrale dove conobbe il sassofonista James Senese con cui avrebbe collaborato spesso negli anni a venire e, nel 1977, pubblicò il suo primo lavoro, Terra Mia; nei quattro anni successivi uscì una serie di album che fece conoscere, ad un pubblico sempre più vasto, quello che da quel periodo in poi venne denominato “Neapolitan Sound”: Pino Daniele, 1979, Nero a Metà, 1980 e Vai Mo’, 1981.

Il 27 Giugno 1980 fu tra gli artisti che aprirono il concerto di Bob Marley a San Siro, di fronte ad 80.000 persone, una ribalta che per un venticinquenne in fase di ascesa volle dire parecchio; fu allora che giunse il momento per un ulteriore salto di qualità, ovvero iniziare a collaborare anche con artisti stranieri di una certa importanza.

Presso gli Stone Castle Studios di Carimate, al tempo un’eccellenza a livello europeo, con la produzione affidata ad Allan Goldberg, Nick Lovallo, Willy David ed allo stesso Daniele, si riunì un gruppo di musicisti di livello impressionante: Pino Daniele, ovviamente, voce, chitarra elettrica ed acustica, Alphonso Johnson, basso, ex Woody Herman Orchestra e Weather Report, Joe Amoruso, tastiera e melodica, Tullio De Piscopo, batteria, percussioni, da anni turnista affermatissimo, Rosario Jermano, percussioni, già frequentato da Pino Daniele nei Batracomiomachia e Wayne Shorter, sax soprano, la cui serie di collaborazioni, incluso il periodo con i Weather Report, era già allora assolutamente incredibile.

Una vera e propria all-star band, non facile da gestire, il cui esito era tutt’altro che scontato; poteva uscirne un lavoro di maniera, esteticamente pregevole ma con poco spessore, oppure un album tecnicamente impeccabile ma senz’anima: ma bastano le prima note di Annarè, il brano di apertura, per capire che no… nulla di tutto ciò.

Bella ‘Mbriana è l’album della consacrazione definitiva, il lavoro che riunisce e sintetizza gli anni di lavoro ed i dischi precedenti, innalzando sensibilmente l’asticella e consegnando a Pino Daniele una dimensione artistica che, da allora in poi, andrà ben oltre quella strettamente nazionale.

Annarè, si diceva, che esprime insieme amore, malinconia, rabbia, ricordi, i sentimenti di una napoletanità che, non più stereotipo, diventa una sorta di veicolo emotivo… De Piscopo e Johnson viaggiano in scioltezza, Jermano la tocca pianissimo, Amoruso pennella tocchi di pura magia, mentre Pino si gioca una quarantina di secondi di chitarra delicata e sognante… un piccolo gioiello.

Ci pensa Amoruso, con un’intro di piano sulla quale si inseriscono Daniele e Johnson, a lanciare il vero e proprio simbolo di quest’album, Tutta ‘nata storia, un funk moderato ma deciso, energico, dai passaggi marcati, con una linea di basso tanto semplice quanto efficace e la chitarra di Pino a creare quel riff che tiene insieme l’intero brano: un lavoro corale, in cui ognuno dà il massimo, sempre senza strafare.

Cambia tutto con Bella ‘mbriana, che dà il titolo all’intero album, con le sue suggestioni latine ed una ritmica quasi in punta di dita, seguita da Tarumbò, che viaggia tra soul, r’n’b e latin-funk, avvolgente e sinuosa grazie al duo De Piscopo-Johnson, ma caratterizzata anche da una chitarra “acida” inusuale quanto azzeccata.

Napoli e l’America, una storia nata nei locali del porto e poi divenuta patrimonio anche delle band locali… I Got the Blues, in cui brilla uno splendido solo di Alphonso Johnson, è un po’ il simbolo di questa connection, grazie anche a quel linguaggio anglonapoletano che Pino Daniele ha reso una propria precisa caratteristica; in ogni album del musicista partenopeo c’è poi un brano, come dire, “inca**ato”, di protesta, che diventa una sorta di sfogo, ed ecco allora Mo basta, la sua ritmica serrata, le linee melodiche semplici, scariche, tanto spazio alla voce e soprattutto all’interpretazione, ma anche ad un Daniele solista a tratti quasi hard rock.

Se ballad doveva essere, poteva esserlo solo in questo modo: chitarra dal timbro liquido, tastiere e percussioni appena accennate, basso profondo e morbido ed il sax di Shorter che, ad un certo punto, prende per mano Io vivo come te e la porta lontano.

Si torna al funk, e qui la ritmica è davvero a livelli strepitosi: Ma che mania, con la sua chitarra a mezza via tra Benson e Rodgers, riferimenti affatto casuali, è un altro punto di contatto tra la napoletanità ed un’America che pare davvero dietro l’angolo.

Toledo invece, l’unico brano strumentale contenuto nell’album, è puro soul con chiari riferimenti chitarristici a Carlos Santana ma anche tanto, tanto Wayne Shorter, soprattutto per quanto riguarda la struttura armonica e le scelte stilistiche.

Si va a chiudere, prima con E po’ che fa, indolente, pigra, sonnolenta, un brano che parla di sole, caldo, di atmosfere estive, quei pomeriggi in cui, nel silenzio, ci si trova a chiacchierare di tutto, magari davanti ad una birra, ed infine con Maggio se ne va, quasi colonna sonora di un film neorealistico in cui amarezza e malinconia si mescolano, uno struggimento intenso e quasi doloroso, che racconta un addio.

C’è davvero tutto, in queste undici tracce: il passato, ma anche quei semi che, piantati allora, gli permetteranno di attraversare gli anni successivi sviluppando linguaggi musicali differenti, allontanandosi ad un certo punto da ciò che aveva fatto per poi tornarci, verso la fine, improvvisa e prematura, della carriera.

Bella ‘mbriana ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni, resta un album assolutamente fondamentale: se non il più bello, certamente il più completo e maturo.

(Emi, 1982)

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