Nico – Chelsea Girl

All’anagrafe iscritta come Christa Päffgen, nata a Colonia il 16 Ottobre del 1938, di professione cantante, attrice e modella; per la storia, non solo della musica, conosciuta anche con il soprannome di Sacerdotessa delle Tenebre, a causa delle atmosfere gotiche e decadenti dei brani interpretati e da alcuni considerata, di fatto, la progenitrice del futuro gothic-rock… in una parola: Nico.

Personaggio affascinante, misterioso, musa di Andy Warhol e collaboratrice dei Velvet Underground, con i quali pubblicò il primo album della band, intitolato appunto The Velvet Underground & Nico, prodotto nel 1967 dallo stesso Warhol che ne disegnò anche la celeberrima ed iconica copertina, nel medesimo anno iniziò una carriera solista che prese le mosse proprio da Chelsea Girl, lavoro nato come colonna sonora per un omonimo film di Warhol ed i cui brani portano firme decisamente illustri, ovvero quelle di Lou ReedJohn Cale e Jackson Browne che vi suoneranno insieme a Sterling Morrison ed al flautista Jerry Fallon.

Al centro delle dieci tracce che ne fanno parte, la voce di Nico: ruvida, profonda, a tratti anche, volendo, volutamente sgraziata, in un certo senso inquietante perché mai melodica, né dolce, ma capace di ammaliare, di penetrare profondamente e di lasciare un segno tangibile: la si può definire senza problemi un’artista dark perché le atmosfere sepolcrali, sospese, quasi congelate nel tempo, quel mix di apparente freddezza, ma di insidiosa seduzione, hanno certamente ispirato più di un musicista attratto negli anni successivi dal rock nelle sue forme più oscure e tenebrose, considerandola una sorta di soggetto di culto per il quale parlare di una vera e propria venerazione è affermazione che risulta essere tutt’altro che fuori luogo.

In questo suo esordio come solista Nico mette subito in chiaro quelli che saranno non solo i contorni del suo personaggio, ma anche quelli del suo stile di vita, perennemente circondato da un alone di mistero, a partire dalla data di nascita, ovvero il 1938, il 1941 o il 1943, in base alle fonti, dal luogo, Colonia o Budapest…

Si parte con un brano scritto da Jackson Browne e Gregory Copeland, The Fairiest of the Seasons, affascinante e non priva di una certa delicatezza, ma resa malinconica ed in un certo senso decadente grazie ad un’interpretazione in cui tristezza, ed una certa quale amarezza, vengono rese palesi anche dal timbro della voce e, perché no, da una pronuncia, che suonano davvero differenti dal solito, uniche e non replicabili.

These Days, sempre di Browne, è un brano in un certo senso più caldo e che, grazie ad un arrangiamento più melodico ed all’uso di certi passaggi in tonalità minore, trasmette una forte sensazione di struggimento, delicato ed a tratti quasi impalpabile.

Lou Reed e John Cale, con cui Nico collaborerà spesso in futuro, firmano Little Sister, altro acquarello essenziale, minimalista nel suo sviluppo musicale e fortemente centrato sulla voce di Nico, quasi recitativa, a tratti atonale, cantilenante, che mette in scena una sorta di delicata e dolente preghiera laica cui fa seguito Winter Song, brano di Cale, in cui spicca una maggiore vivacità della struttura armonica, cui non è estraneo il flauto di Fallon con i suoi inserimenti rapidi ma incisivi, e nel quale anche il cantato di Nico risulta più articolato, ricordando in parecchi passaggi certe atmosfere, e talune interpretazioni delle voci femminili che caratterizzarono spesso l’ambiente musicale che si muoveva intorno alla Scuola di Canterbury ed al folk-rock britannico.

Il brano più lungo dell’album, It Was a Pleasure Then, è anche l’unico di tutto il lavoro in cui, a quelle di Reed e Cale, si affianca la firma di Nico come autrice: andamento straniante, cui non è estranea l’assenza di batteria, come anche negli altri brani, chitarre che mettono in scena una sorta di raga indiano, ripetitivo, asciutto, totalmente privo come detto di uno schema ritmico e sul quale Nico appoggia letteralmente una melodia salmodiante, che possiede una forza e quasi una sacralità, pressochè del tutto aliene rispetto alla musica dell’epoca se si escludono forse alcuni brani dei Doors, quelli più recitativi ed in cui Jim Morrison adottava il medesimo approccio vocale ed interpretativo, ma che non avevano certamente questo livello di minimalismo musicale che sfiora, in certi passaggi, il primissimo Syd Barrett.

La title track dell’album, Chelsea Girls, che è anche il titolo del film girato da Warhol al quale aveva partecipato la stessa Nico, è un brano quasi bucolico, dall’andamento pastorale e decisamente orientato verso il folk rock, con un retrogusto che alcuni critici hanno considerato ragionevolmente vicino al rock barocco.

Altra firma importante, presente all’interno di quest’album, è quella di Bob Dylan, conosciuto da Nico a New York, autore della successiva I’ll Keep it with Mine, questa si una vera e propria ballad acustica che il cantautore di Duluth aveva già registrato, come demo, per piano e voce, nel 1964, e che venne poi pubblicata all’interno di The Bootleg Series Volumes 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991, il 26 Marzo del 1991.

Nico and Sterling Morrison of the Velvet Underground perform on stage at the New York Society for Clinical Psychiatry annual dinner, The Delmonico Hotel, New York, 13th January 1966. (Photo by Adam itchie/Redferns)

Va detto, tra l’altro, che la stessa cantante, malgrado la collaborazione di artisti di questo calibro, non si espresse in termini entusiastici verso questo lavoro anzi, in un’intervista rilasciata nel 1981, ebbe per esso, ritenendolo troppo minimale e “morbido”, parole tra il risentito ed il dispiaciuto: “I still cannot listen to it, because everything I wanted for that record, they took it away. I asked for drums, they said no. I asked for more guitars, they said no. And I asked for simplicity, and they covered it in flutes!… They added strings and – I didn’t like them, but I could live with them. But the flute! The first time I heard the album, I cried and it was all because of the flute.

Somewhere There’s a Feather è, in tutto e per tutto, un brano Browniano, breve ma probabilmente troppo sovraccaricato di archi, ed in questo senso le critiche di Nico hanno probabilmente più di una ragion d’essere, ed in tal senso anche Wrap Your Troubles in Dreams, opera di Reed, soffre della medesima sovraproduzione che ne fa un brano più folk che urban, nonostante i passaggi recitati, probabilmente assai differente da quelle che potevano essere le intenzioni originarie.

Chiude l’album Eulogy to Lenny Bruce, opera di Tim Hardin, musicista e compositore folk-blues che, nato artisticamente nel Greenwich Village, si affermò a Woodstock e morì per overdose, nella sua casa di Hollywood, agli inizi del 1980.

A Nico regala una dolcissima ballata acustica, asciutta ed essenziale, che la cantante tedesca fa sua grazie ad un’interpretazione ricca di pathos e di profondità: uno degli episodi migliori, se non il migliore di un album che, probabilmente, avrebbe potuto e dovuto essere sviluppato diversamente, ma che ha dato comunque modo a Nico di lasciare le prime, importanti, tracce del proprio percorso artistico come solista.

(Verve Records, 1967)

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