Necromandus – Orexis of Death & Live

(Andrea Romeo)

Tony Iommi è certamente uomo con tante storie da raccontare, la sua vita è stata ricca di episodi che l’hanno segnata, come l’incidente sul lavoro che rischiò di stroncargli una carriera di chitarrista non ancora iniziata (… e tagliarsi la falange di un dito il giorno stesso in cui uno ha deciso di licenziarsi, per diventare musicista professionista, ha davvero del clamoroso…), l’incontro con i suoi futuri compagni di viaggio, la nascita dei Black Sabbath, ma l’elenco sarebbe davvero lungo…

Tra le varie vicende, però, c’è stato anche un breve passaggio come talent scout, nei primi anni ’70, che gli permise di lanciare una band alla carriera in realtà assai breve, ma che è stata nel tempo annoverata tra i pionieri dell’heavy metal.

Nel 1968 due band di Egremont, West Cumbria, i Jug e gli Heaven, si sciolsero, ed alcuni membri di entrambe decisero di ripartire da zero: Barry “Baz” Dunnery, lead guitar, Dennis McCarten, bass, Frank Hall, drums ed il cantante Bill Branch fondarono gli Hot Spring Water, poi divenuti Taurus ed infine Necromandus, dopo che durante una trasmissione radio venne chiesto agli ascoltatori un suggerimento per darle un nuovo nome.

Per un paio d’anni suonarono, e parecchio, in terra inglese, aprendo anche per i Tony Kaye’s Badger e per gli stessi Black Sabbath, cercarono di realizzare un album, senza però riuscirci, ma il fato fu loro favorevole perché capitò che, a trarne una buona impressione, fosse proprio il chitarrista dei Sabbath che si offerse di fare loro da manager; da quel momento l’accelerazione degli eventi fu davvero rapidissima.

All’inizio del 1973 infatti, sotto la supervisione di Iommi, entrarono nei Morgan Studios di Londra e ne uscirono con il loro album di debutto, successivamente chiamato Orexis of Death, un brillante concentrato di heavy metal e doom con non poche sfaccettature prog e financo jazz-rock: l’album giusto, quindi, con le idee giuste, ed uscito anche al momento giusto, questo almeno in teoria…

La realtà, decisamente più amara, vide invece l’improvviso abbandono di Dunnery, evento che congelò, di fatto, quell’uscita avvenuta effettivamente soltanto nel 1999, ben ventisei anni dopo la registrazione; nel frattempo erano state recuperate alcune demo ma, soprattutto, un intero set dal vivo, di poco successivo al termine della lavorazione dell’album, in pratica tutto il materiale prodotto dalla band in quei pochi anni di vita che rappresentarono, in pratica, tutta la loro carriera; si sciolsero infatti, proprio nel 1973 e, dopo un iniziale interessamento di Ozzy Osbourne, inteso ad inserire nella propria band, che all’epoca era il Blizzard of Ozz Project, Dunnery, McCarten ed Hall, nel 1977, di loro si persero letteralmente le tracce.

Uscito dunque nel 1999, ristampato sei anni dopo ed infine rieditato completamente nel 2010, insieme alle otto tracce dal vivo, ecco un album che ha suscitato un interesse davvero curioso ed inatteso per una band che si era perduta nella notte dei tempi; eppure Orexis of Death & Live è da annoverare, senza ombra di dubbio, tra le pietre miliari del metal più oscuro, ed analizzandone le tracce risulta chiaro il motivo.

Una breve intro, Mogidisimo, spalanca le porte per il primo riff assassino di Nightjar, di fatto il singolo che presenta l’intero album: le assonanze con il suono dei Sabbath ci sono, certamente, ma le differenze sostanziali e percepibili sono la pulizia dei suoni, la ritmica molto brillante e definita, e la scelta di suoni decisamente meno cupi.

La successiva A Black Solitude amplia ulteriormente il campo, ed i Necromandus si affrancano nettamente dalle venature strettamente “dark”: dimostrano intanto notevoli doti di arrangiatori, anche su un territorio che si avvicina al prog, fanno largo uso di suoni acustici ma, soprattutto, si fanno notare per un equilibrio esecutivo e timbrico che si allontana decisamente dagli stilemi del metal estremo, avvicinandosi invece ai territori del jazz-rock.

Homicidal Psychopath accentua ulteriormente questa direzione: McCarten ed Hall stendono un notevole tappeto ritmico in 5/4 sul quale Dunnery inserisce interventi chitarristici davvero pregevoli, mentre il cantato di Branch è intenso, a tratti drammatico; Still Born Beauty rieccheggia addirittura quelle atmosfere malinconiche tipiche del Canterbury sound, ed ancora la chitarra di Dunnery centra in pieno il mood del brano con passaggi estremamente indovinati.

Molto interessante anche Gypsy Dancer, brano che rimanda direttamente ai coevi Nektar, soprattutto per le scelte timbriche delle chitarre, liquide e trasognate, soltanto appena distorte; di fatto un brano anche ritmicamente decisamente prog, articolato ed eseguito con una estrema pulizia sonora.

La title track, Orexis of Death, in cui Iommi collabora con un proprio solo invero assai differente da quelli ai quali ha abituato i propri fans, si apre con un notevole intro di chitarra che lascia poi spazio ad un brano dal ritmo sincopato, in cui la chitarra si incrocia con la voce, detta la linea melodica ma inserisce anche una serie di fill ritmici di ottimo livello.

L’album si chiude con la reprise di Mogidisimo, un breve inserto medievaleggiante che peraltro non aggiunge nulla al lavoro.

Molto interessante anche la scaletta live che, oltre a riproporre quasi tutti i brani registrati in studio, presenta altri due pezzi facenti parte del repertorio della band, ovvero l’aggressiva e decisamente sabbathiana Judy Green Rocket e la ruvida ed acida Limpet Man, il tutto registrato il 30 Marzo del 1973 presso il Casinò di Blackpool.

Una band che avrebbe certamente meritato di più ma che, per motivi rimasti più o meno oscuri, si è dissolta dopo un paio d’anni di vita: Dunnery ed Hall fonderanno i Nerves, il primo andrà poi ad unirsi agli evanescenti Violinski, ed entrambi infine suoneranno, ma solo per breve tempo, negli Hammerhead.

Quanto ad eventuali, e possibili, reunion postume, il destino posizionerà paletti davvero insormontabili: Branch morirà nel 1995, McCarten nove anni dopo, Dunnery nel 2008, ed il solo Frank Hall, nel 2016, raccogliendo l’eredità della band, la rimetterà in pista con una formazione rinnovata che realizzerà il secondo album della band, Necromandus, uscito infine il 21 Luglio del 2017.

Non casualmente, e forse con un pizzico di nostalgia, il primo brano di questo lavoro avrà per titolo Don’t Look Down Frank

(Rise Above Records/Plastic Head Music Distribution, 2010)

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