Neal Casal, un sogno infranto.

(Andrea Lenti – 2 ottobre 2019)

Su Neal Casal dopo la sua morte è già stato scritto tutto, perciò questo non è un articolo solo su di lui. Ma non posso non cominciare da un’immagine che ho ancora ben viva nella mia testa: Göteborg, Pustervik 2016. Come sempre, nei concerti della Chris Robinson Brotherhood mi mettevo davanti a Casal; quella volta ricordo che nel mezzo di un suo assolo mi giro alla mia sinistra, e un vichingo sui 35 anni con cappello ornato da piume mi guarda e mi dice: ”E’ bravo come Derek Trucks”… io gli do un cinque e ci scambiamo uno sguardo complice. Lo penso anch’io. Ma allora come è possibile che uno dei più grandi chitarristi degli ultimi 10-15 anni abbia finito la sua corsa in questo modo?

Fade Away Diamond Time è stato giudicato uno dei migliori dischi del ‘95, ma nel tour promozionale dell’album la sua casa discografica fallisce e lui rimane senza contratto. Probabilmente una carenza di personalità che un band leader deve avere ed una voce che secondo me è troppo monocorde fanno da zavorra ad una carriera che infatti non decolla; malgrado dischi di buon livello Casal deve rimettere le cose in ordine e reinventarsi come chitarrista di lusso per Ryan Adams, Todd Snider negli Hard Working Americans (altra ambiziosa band che finirà presto nel dimenticatoio) e soprattutto Chris Robinson e la sua Brotherhood, diventandone quasi un co-leader per 8 lunghi anni e centinaia di concerti, amato e rispettato da migliaia di fans e colleghi.
Quanto è opprimente il peso di suonare centinaia di concerti all’anno, spesso davanti a poche centinaia di persone, sottopagato e sballottato da un continente all’altro mentre si ha la consapevolezza di essere uno dei migliori del tuo tempo ? Cosa si nascondeva dietro la gentilezza ed i sorrisi che dispensava a tutti, a quella gentilezza magari artefatta, quel sembrare interessato e divertito a parlare in spagnolo con un pazzo partito da Valenza, Italy, per andarlo a vedere suonare a Göteborg, Stoccolma, Amburgo, Monaco, Milano ?
Il rock and roll business di questi ultimi anni è un circo crudele, pochi dischi venduti e contratti sanguinosi da firmare per fare da contorno a leader a volte spietati che ti spremono come un limone. Spesso mi sono chiesto, vedendo vecchie rockstar che negli anni ‘80 erano sulla cresta dell’onda e che ora dopo chemio, infarti e cure disintossicanti si sbattono su sgangherati palchi di provincia: ”ma chi glielo fa fare? Perché ?”. I soldi. Sempre i soldi. Ed i soldi possono essere un’altra causa per cui decidi di farla finita. Perché i musicisti, essendo artisti, li spendono anche facilmente i maledetti soldi. Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare qualche anno fa un giovane talentuoso chitarrista inglese, Adam Green di una band chiamata Saint Jude. Vantava collaborazioni con Clapton, ha suonato e composto canzoni per Grace Jones e con la sua band ha girato l’Europa e suonato con Ron Wood in più di un’occasione (vedere su YouTube Ron Wood and Saint Jude). Ebbene, finiva un tour e dopo poche settimane non aveva più una lira, il tutto speso con leggerezza nei mercatini londinesi o in chissà quali altre cose. Per lui , una Coca Cola o un lussuoso cappotto vintage avevano lo stesso valore. È morto poco più che 40enne per un tumore alla testa, un ragazzo innamorato della musica, ingenuo e puro come pochi, un diamante grezzo con Faces e Stones nel cuore.
Carriere mai decollate , problemi finanziari… nessuno saprà mai che cosa ha portato Neal Casal a farla finita. L’amore, la costernazione di centinaia di fans italiani mi ha persino stupito, è incredibile come una persona così schiva e defilata, col suo sorriso dolce e improbabili magliette da liceale abbia potuto scavare nel profondo solchi di tristezza così marcati in molti di noi.
Le ultime parole che ci ha lasciato pochi istanti prima di farla finita sono piene di beffarda gratitudine per la vita stessa e per le esperienze vissute, e soprattutto sono un ultimo atto di amore per il rock and roll e per la band che anche per me rappresenta al meglio la “nostra“ musica: gli stones decadenti, selvaggi e pericolosi di Exile On Main Street e la canzone Moonlight Mile da Sticky Fingers.
Sapere che anch’io, come Casal, l’ho ascoltata centinaia di volte ed ho provato le stesse sue senzazioni, mi fa sentire ancora più parte di un qualcosa di grande e profondo che unisce tanti rock and roll hearts sparsi nel mondo, e mi fa sentire fiero di aver preso quegli aerei per andare a rendergli omaggio negli angoli più sperduti del nostro incredibile Continente. E di ringraziarlo per la sua musica.

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