Mapesbury Road, Andrew Loog Oldham e i Rolling Stones , il tempo dalla loro parte.

(Nik Maffi – 15 ottobre 2019)

Nel mio io sono beatlesiano al cento per cento, ai fab four perdono tutto, tranne Yellow Submarine, Obladì Obladà e Maxwell’s Silver Hammer mentre per i Rolling Stones il discorso si fa più selettivo.
Con il passare del tempo e il susseguirsi di ascolti, secondo il mio parere gli Stones con Brian Jones (1942 – 1969) ancora lucido e creativo, erano una gran band di R&B seconda solo ai selvaggi uccellacci, gli Yardbirds!.
Il paggio biondo dava un tono di colore e uno sguardo verso musiche di altri paesi che rese affascinante la musica degli Stones, pensate al sitar di Paint It Black. Pur essendo lui un gran conoscitore del blues, dopo la sua dipartita si sarebbero impelagati in alcuni dischi discutibili, soprattutto tra i ’70 e gli ’80, “concediamo la grazia” considerando che non è semplice mantenere un livello creativo sempre alto, nota bene che i Beatles conclusero la loro carriera all’apice, anche se in leggero calo, e i dischi solisti dei quattro non brillarono certo come capolavori.

Back to bomb, durante una vacanza nei Paesi Bassi acquistai in un negozio di dischi un EP il cui valore di mercato  aumentò nel tempo, misteri della compravendita di vinili e di chi ci lucra, ma questa è una questio che andrebbe dibattuta al pub di fronte  a una birra bella fresca. The Rolling Stones, Decca 457050 è datato 1964, stampa olandese, riporta come pezzo di riferimento Time Is On My Side firmata da Meade e Norman, una cover, elementare Watson! E di cover su questo EP ce ne sono ben altre due, Little Red Rooster, a firma Willie Dixon (santo subito) e Off The Hook a firma Nanker/Phelge, ma il duo Jagger/Richarda? Siiiii… ci sono pure loro e firmano un pezzo non molto conosciuto Congratulation.

E’ proprio dal duo Glimmer Twins, che faccio partire il teletrasporto e chiedo a Scotty di portarmi nel 1962: Scott! Energia! Al numero 33 di Mapesbury Road nacquero i Rolling Stones, parola di Andrew Loog Oldham (1944) il primo manager degli Stones: “era li che li costringevo a scrivere canzoni. Il 33 era una casa anni ’30, convertita in appartamenti. I tre terribili eravamo io, Mick e Keith, alloggiavamo nell’ angolo sinistro del secondo piano. La sistemazione per dormire e lo spazio erano spartani, pratici e sufficentemente stretti da rendere necassaria una civiltà reciproca forse stonata con l’immagine complessiva“. Continua Oldham: “la mattina lasciavo Mick e Keith a recuperare le ore piccole del concerto della sera prima e mi dirigevo alla fermata della metro di Willesden, diretto verso Piccadilly e il mio ufficio da 4 sterline alla settimana indossando il mio Blazer migliore“.

Secondo Pete Townshend (1942) i Beatles avevano instaurato un trend: “Dovevi scrivere i tuoi brani. Gli Stones non avevano dimostrato di saper scrivere; il loro primo disco era una canzone di Chuck Berry (1926 – 2017), C’Mon, credo fossero nel panico perché non erano sicuri di saper comporre“.
Keith Richards (1943): “Non mi era mai venuto in mente di scrivere canzoni finché Andrew venne da me e da Jagger (1943) e ci disse: guardate, quanti bei dischi credete di poter continuare a fare se non avete del nuovo materiale? Potete fare solo cover, io penso che sappiate fare di meglio”. Noi non ci avevamo mai pensato. Lui ci chiuse in una stanza grande quanto una cucina e disse: “vi do un giorno libero, voglio sentire una canzone quando uscite”. Chi crede di essere? Sta scherzando, dicemmo io e Mick, a modo suo Andrew aveva ragione. Uscimmo da li con due canzoni. Ma per me fu un’esperienza allucinogena, ero un chitarrista, avevo la mentalità di uno che sapeva suonare solo la chitarra, erano gli altri a scrivere canzoni“.
Sempre Richards: “Fu lui a mostrarci l’idea non dal punto di vista artistico, ma da quello economico: più soldi. Erano affari, un’osservazione molto astuta da parte di Andew. Dopo che ce lo disse in effetti diventò una cosa ovvia“.

… Scotty, qui Kirk, riportaci su…

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