Manu Delago: musica e attivismo ambientale

Photo: Simon Rainer

(Raffaella Mezzanzanica)

Manu Delago è un percussionista e compositore nato a Innsbruck (Austria) e che attualmente vive a Londra.

È noto soprattutto per essere un virtuoso dell’handpan. Nella sua carriera ha collaborato con molti artisti, tra cui Anoushka Shankar, Joss Stone e Björk, e, come solista, ha suonato con alcune delle orchestre più importanti del mondo, come la London Symphony Orchestra.

Cosa rende Manu Delago un artista così speciale? Qualcuno potrebbe dire lo strumento che suona o gli artisti con cui ha collaborato. E questo è assolutamente vero. Tuttavia, c’è di più. È un attivista ambientale e il suo focus sull’ambiente ha sempre rappresentato un elemento fondamentale anche della sua produzione musicale.

In questa intervista Manu Delago parla della sua musica, della sua carriera e delle sue collaborazioni, del suo nuovo album, Environ Me, in uscita il 24 settembre, ma soprattutto dell’impatto della sua musica e di come gli artisti possano contribuire a rendere il nostro Pianeta un posto migliore.

D.: Hai iniziato ad appassionarti alla musica da giovanissimo e, da adolescente, hai suonato principalmente come batterista in gruppi rock. Parlami un po’ di quel periodo.

M.D.: Quando avevo tredici/quattordici anni volevo solo suonare in una band e suonare musica rock. Ho iniziato suonando la chitarra ma poi la band aveva bisogno di un batterista e così ho iniziato a suonare la batteria. Ho militato in diverse band. Alcune erano “cover band”. Avevo anche una band in cui suonavamo musica originale. Ero molto impegnato, perché ovviamente andavo a scuola di giorno, ma la sera facevo anche molti concerti.

D.: Poi hai scoperto l’handpan. In che modo questa scoperta ha cambiato il tuo approccio e la tua visione della musica?

M.D.: Avevo diciannove anni quando ho visto per la prima volta l’handpan. A quel tempo già suonavo la marimba perché studiavo percussioni classiche. Suonavo anche un po’ il pianoforte. L’handpan mi è sembrata una scelta molto naturale. E’ uno strumento che unisce perfettamente ritmi ed elementi melodici. Mi è subito piaciuto. Penso che abbia anche ampliato la mia sensibilità musicale perché la maggior parte della musica che suonavo all’epoca era piuttosto “rumorosa” e l’handpan mi ha dato l’opportunità di iniziare a scrivere e suonare musica più “tranquilla”. Ho anche iniziato a suonare con musicisti jazz e classici. In un certo senso, mi ha aperto molte porte perché era uno strumento nuovo e dovevo necessariamente comporre musica per suonarlo. Ho iniziato a improvvisare ma poi ho iniziato a comporre sempre di più. All’inizio era solo musica da solista o brani per duo/trio. Successivamente, ho iniziato a scrivere per orchestre e cori e, ovviamente, ho pubblicato molti album con la mia musica. L’handpan è stato una parte importante del mio viaggio nella musica.

D.: Sei anche un percussionista classico e un musicista esperto di batteria jazz, nonché un laureato in composizione musicale. Come hai scoperto di voler diventare un musicista professionista?

M.D.: Per me è stata una transizione naturale. Dopo la scuola, ho deciso di iniziare a studiare musica perché mi è sembrata davvero una cosa del tutto naturale. Non c’è mai stato un “piano B”. Ho giocato a calcio fino all’età di diciassette anni, ma non ero abbastanza bravo per guadagnarmi da vivere con questo sport. Serve molta disciplina e, in aggiunta, la carriera di un calciatore potrebbe finire anche a causa di un solo infortunio. Sono rimasto legato alla musica e ne sono molto felice.

D.: Concentriamoci un po’ sul tuo strumento. Si fa spesso confusione tra hang e handpan. Puoi spiegare le differenze e raccontarmi un po’ delle origini di questi strumenti?

M.D.: L’hang è stato inventato nel 2000 da PANart che è una piccola azienda di Berna (Svizzera) ed è lo strumento che ho iniziato a suonare. Nel corso degli anni è diventato molto difficile acquistare un hang perché la domanda per questo strumento era notevolmente aumentata. L’azienda, d’altra parte, era diventata molto selettiva. Sempre più persone, quindi, hanno iniziato a costruire i propri strumenti. Hang, però, è un nome brevettato e quindi non era permesso chiamare quegli strumenti in quel modo. Oggi ci sono circa 300 produttori nel mondo che fabbricano strumenti simili, ma per i motivi che ho appena menzionato non sono autorizzati a chiamare il loro strumento hang. E’ stato necessario cercare un nuovo nome e, alla fine, è stato deciso di chiamarlo handpan perché questo termine deriva da una parola in dialetto tedesco bernese che ha un doppio significato: “mano” e “collina”, quest’ultimo a causa della forma convessa dello strumento. Ci sono anche altri termini in giro, ma handpan è sicuramente il più comune. Alcune persone direbbero che un hang è un tipo di handpan. Ovviamente, l’inventore non sarebbe d’accordo. Handpan sembra essere il termine generale, così ho iniziato ad utilizzarlo anch’io, soprattutto perché implica strumenti diversi.

D.: Nel corso della tua carriera e grazie alle tue numerose collaborazioni, hai anche dimostrato che l’handpan è uno strumento estremamente versatile, passando da composizioni di sole percussioni a collaborazioni con DJ e musica elettronica. È facile adattarsi a generi musicali così diversi?

M.D.: Il vantaggio dell’handpan è quello di non essere legato culturalmente a un Paese, a un continente. Il sitar, ad esempio, ti riporta immediatamente alla musica indiana ma con l’handpan non è così. Mi è piaciuto il fatto di poterci fare qualsiasi cosa. È stata anche una sfida perché si tratta di uno strumento inventato di recente e questo significava che non esistevano ancora una storia o dei precedenti. Ho dovuto imparare tutto da solo e mi sono costruito un seguito. Ad esempio, se sei un batterista straordinario puoi avere centinaia di migliaia di fan. Questo non è stato il caso dell’handpan. La comunità ha appena iniziato a crescere. È semplicemente fantastico poter utilizzare uno strumento acustico così “giovane”, perché nel XXI° secolo non sono stati inventati molti nuovi strumenti acustici.

D.: Come solista, hai anche registrato con alcune delle orchestre più importanti del mondo, come la London Symphony Orchestra, e suonato in alcuni dei luoghi più prestigiosi dei sei continenti. Come ti adatti a questi luoghi? Voglio dire, il modo in cui il suono stesso si diffonde è diverso a seconda dell’ambiente in cui viene prodotto.

M.D.: Nel complesso direi che mi piace la varietà perché trovo che sia fonte di ispirazione. Suoni una nota e quella stessa nota rimane nella stanza perché c’è molto riverbero. Se poi suoni all’aperto mentre sta piovendo, non hai la stessa sensazione e quindi devi suonare più note per ottenere un risultato simile. Ciò significa che devi adattarti costantemente. D’altra parte, il numero delle persone presenti per me non fa molta differenza. Cerco di suonare nel modo più intenso possibile. Non fa differenza quanto è grande il posto o quante persone ci sono. Ciò che mi piace è adattare il suono allo spazio.

D.: Tu sei anche un attivista ambientale, hai davvero a cuore il nostro Pianeta. Questo è uno degli aspetti che apprezzo maggiormente negli artisti che seguo. Hai terminato di recente un tour assolutamente non convenzionale, che hai chiamato “ReCycling Tour”. Raccontami tutto.

M.D.: Esattamente. E’ stato davvero un tour “non convenzionale” perché io e la mia band abbiamo pedalato per cinque settimane e abbiamo suonato in 18 luoghi diversi lungo il percorso. Il tour ha toccato principalmente l’Austria, facendo anche alcune tappe in Germania e passando anche dall’Alto Adige. Ho sempre cercato di fare le cose in modo diverso nella musica. Ad esempio, alcuni anni fa ho registrato l’album Parasol Peak in montagna. C’è una sorta di spirito avventuroso in me che mi spinge a fare le cose in modo diverso. Con il ReCycling Tour si è parlato molto della questione climatica. Abbiamo esteso il concetto, non solo pedalando da una location all’altra ma seguendo anche una dieta completamente vegetariana. Abbiamo consumato cibo fornito dalla gente del posto. I fan e il pubblico ci hanno preparato cibo fatto in casa, regionale e senza sprechi. Avevamo pannelli solari sulle nostre bici e la nostra attrezzatura era tutta riposta nei nostri carrelli. Attraverso i nostri pannelli solari, abbiamo generato l’elettricità per i vari concerti. Abbiamo anche cercato di ridurre il più possibile gli sprechi, scegliendo location in cui non venivano vendute bottiglie di plastica e abbiamo anche chiesto ai fan e al pubblico di utilizzare la bicicletta, i mezzi pubblici oppure di venire a  piedi ai concerti. Abbiamo solo cercato di rendere l’intero tour il più possibile sostenibile. La cosa che mi rende davvero orgoglioso è che, alla fine, ce l’abbiamo fatta! Sento tante persone parlare di crisi climatica, ma con il Recycling Tour possiamo davvero affermare di essere stati un esempio. È stato difficile e impegnativo. E’ stato necessario organizzare tutto nei minimi dettagli. Non è stato semplice organizzare un tour di questo tipo. Il percorso doveva essere davvero perfetto.

D.: Ti sei allenato molto per affrontare il ReCycling Tour?

M.D.: Sì. Ho chiamato solo musicisti, tecnici e troupe che sapevo sarebbero stati pronti per questo tipo di avventura perché, alla fine, non si trattava solo andare in bicicletta al sole per due ore, ma a volte anche di dover pedalare sotto la pioggia per otto ore di seguito. Ho solo cercato di costruire il tutto in modo coerente. Ho programmato questo tour per un anno e mezzo, ma poi è stato rinviato a causa del Covid. Ho avuto molto tempo per allenami e, soprattutto negli ultimi quattro mesi prima della partenza, mi sono allenato sempre di più in bicicletta.

Photo: Simon Rainer

D.: Cosa hai imparato da questo tour? C’è davvero la voglia di impegnarsi per salvare il Pianeta in cui viviamo? Come hanno reagito le persone vedendovi?

M.D.: Poiché eravamo un gruppo di sei persone in bicicletta con dei carrelli, credo che la gente abbia pensato che fossimo parte di un “addio al celibato” o qualcosa del genere. Poi, però, sono venuti a conoscenza di questo tour dai media, poiché c’è stata tanta attenzione. Facevano il tifo per noi e ci hanno sostenuto lungo tutto il percorso. A volte le persone si presentavano con cibo extra. Avevamo pubblicato un modulo online per fare in modo che le persone potessero fornirci cibo lungo tutto il percorso. E’ stato davvero fantastico. C’è stato poi un elemento che non avevo davvero pianificato e cioè che saremmo diventati una vera e propria attrazione lungo la strada. Abbiamo anche incontrato automobilisti arrabbiati perché, avendo bisogno di molto spazio per noi, per le nostre biciclette e per i nostri carrelli, li abbiamo rallentati. Si sono davvero arrabbiati soprattutto in Italia, ma, in quel caso, non abbiamo nemmeno capito cosa ci stessero dicendo.

Dobbiamo davvero fare qualcosa per la crisi climatica. Dobbiamo uscire dalle nostre abitudini e dalla nostra zona di comfort. È molto facile parlarne, ma poi, la maggior parte delle persone non fa altro che riciclare un po’ di spazzatura in casa, solo per pulirsi la coscienza. Andare in bicicletta, ad esempio, per noi è stato davvero un grande cambiamento rispetto all’essere su un tour bus. Durante il tour abbiamo anche fatto molti esperimenti. Un giorno abbiamo ordinato cibo da asporto e lo abbiamo confrontato con il cibo fatto in casa. I rifiuti rimasti dopo un solo giorno di consumo di cibo da asporto erano il doppio rispetto a quelli rimasti dopo due/tre settimane di cibo fatto in casa. Abbiamo anche pubblicato un video blog giornaliero per permettere alla gente di seguirci. Abbiamo imparato molto e spero di avere anche ispirato molte altre persone ad essere più attive e a cambiare un po’ le proprie abitudini.

Photo: Simon Rainer

D.: La musica è uno strumento di comunicazione estremamente potente. Pensi che gli artisti stiano facendo abbastanza per affrontare i gravi problemi che riguardano il nostro Pianeta e, di conseguenza, tutta la nostra vita?

M.D.: Penso che si possa fare decisamente di più. Anche durante il ReCycling Tour ho pensato che il nostro obiettivo fosse chiaro, ma poi abbiamo trovato spesso luoghi o location dove, ad esempio, si utilizzava tantissima plastica. Sto parlando di un Paese (l’Austria – n.d.r.) – dove c’è molta acqua potabile che puoi bere tranquillamente dal rubinetto o in cui puoi ottenere acqua filtrata senza problemi. C’è ancora un utilizzo assolutamente eccessivo di plastica. So che in molti altri paesi la situazione è persino peggiore rispetto all’Austria. C’è sicuramente molto da fare. Più persone devono parlarne, ma soprattutto, è necessario agire. Non sono solo gli artisti. E’ l’intera industria musicale. Basti pensare, ad esempio, ai grandi festival. E’ difficile essere un artista internazionale e non prendere aerei. Il ReCycling Tour mi ha permesso di rendermi conto di aver preso troppi aerei nella mia vita. Ora, quando non sono in tour, uso quasi sempre la mia bicicletta oppure cerco di camminare il più possibile. Il ReCycling Tour è stato fantastico perché abbiamo pedalato anche per 120 km al giorno. Ora se devo pedalare 10 km non me ne accorgo nemmeno. Ho avuto una sola nomination ai Grammy nella mia vita ma non sono andato alla cerimonia. Ho pensato fosse davvero ridicolo andare in California per un evento della durata di due ore, senza nemmeno doversi esibire. Sono stato invitato ma mi è sembrato davvero sbagliato. Se devo prendere un aereo, voglio almeno che ne valga la pena. Ad agosto avevo un concerto in Georgia, un Paese in cui non ero mai stato prima. Desideravo andarci da tantissimo tempo, perché è un Paese con grandi montagne, pieno di cultura e storia. Si trattava, però, solo di un concerto. Così, ho deciso di trascorrere lì le mie vacanze, fare escursioni e rimanere più a lungo. Si trattava pur sempre di prendere un aereo, ma mi sono sentito un po’ meglio perché ho reso quel viaggio più efficiente.

Photo: Simon Reithofer

D.: Hai anche collaborato con artisti che, come te, sono anche attivisti e filantropi: Anoushka Shankar, Joss Stone e, naturalmente, Björk. È qualcosa che consideri importante quando scegli le tue collaborazioni?

M.D.: Direi che è più una coincidenza, ma forse c’è stata anche una sorta di connessione. Tuttavia, penso che la musica sia sempre la prima ragione. Oggi, molte collaborazioni avvengono online e, se si è soddisfatti, si continua a fare cose insieme. Anoushka e Björk sono le artiste con cui ho collaborato di più. Ho collaborato con Björk per più di dieci anni. Con Anoushka collaboro, invece, da circa nove.

D.: Com’è stata la collaborazione con Björk?

M.D.: Sono sempre stato un suo grande fan, quindi per me è stata davvero la realizzazione di un sogno. Lei è super stimolante. Penso che sia stata la prima artista con cui ha collaborato a portarmi a pensare ad altri aspetti, oltre alla musica. Björk non pensa mai solo alla voce. Si preoccupa dei ritmi, degli archi, del suono, delle luci, delle immagini e dell’intero messaggio sottostante alle sue creazioni. Ho trovato tutto questo davvero stimolante. Sicuramente ho imparato molto da lei ma ho anche imparato molto dalle persone con cui lavora. È davvero brava nel trovare ottimi collaboratori.

D.: Il tuo nuovo album, Environ Me, uscirà il 24 settembre. Come hai scelto questo titolo?

M.D.: Ho aspettato molto tempo prima di decidermi a pubblicare un album da solista, perché ho sempre pensato che potesse essere un po’ noioso. Mi sono chiesto che cosa avrei potuto fare per renderlo meno noioso. Alla fine ho deciso che sarei stato io con la mia musica insieme all’ambiente che ci circonda. Ogni traccia dell’album, infatti, è collegata a un aspetto diverso del nostro ambiente. Un brano parla dell’acqua, uno del fuoco, uno degli animali, uno delle piante. Poi ce n’è anche uno sulle macchine e uno sul vento. Ogni traccia ha un suono diverso e ogni traccia è accompagnata da un video che mostra quell’elemento o quell’aspetto e si può anche sentire il suono stesso di quell’elemento. All’inizio della pandemia, le persone si sono isolate. In quei momenti, io mi sono sentito ancora più connesso all’ambiente e alla natura. Ho cercato di aggiungere una forte componente visiva e anche, quando possibile, un’intera storia. Il brano ReCycling è stato il primo e ho deciso di incorporare i suoni degli elementi legati all’andare in bicicletta. E’ solo un brano ma, in questo caso particolare, ho creato un intero progetto, il ReCycling Tour. Il singolo successivo è Trees for the Wood ed è un brano in cui ho scelto venti contrabbassisti e abbiamo suonato in una foresta abbattuta. Ho sostituito gli alberi con i contrabbassisti. Alla fine, abbiamo anche ripiantato una nuova foresta come parte del progetto. Tutti i musicisti hanno rinunciato a parte del loro compenso e lo abbiamo utilizzato per ripiantare la foresta. Ho cercato di fondere in ogni brano una storia legata all’ambiente e di creare maggiore consapevolezza per i suoni e la bellezza del nostro Pianeta.

D.: Per i primi due singoli estratti da Environ Me hai di nuovo infranto dei confini. Per Interference tu e altri sei percussionisti avete suonato su una di quelle costruzioni metalliche che sono diventate parte della natura moderna, mentre per Curveball avete creato una versione “2.0” del catchball game. Dobbiamo aspettarci qualcosa di più elettrico o urbano da questo nuovo album?

M.D.: La gente solitamente si dilettano a giocare a catchball in spiaggia. Un giorno, però, mentre stavo passeggiando per un parco di Londra durante il lockdown, ho visto alcune persone che ci giocavano. Ho solo pensato che avesse un suono eccezionale e mi è sembrato fantastico. Ovviamente ho dovuto renderlo un po’ più avanzato. Ho dovuto soffermarmi sullo spazio tra i giocatori perché il tempo doveva essere perfetto. Ho incontrato i due giocatori solo un paio di volte. Ho dato loro le parti da memorizzare perché dovevamo esibirci al buio. E’ stato molto impegnativo. Abbiamo dovuto fare molte riprese per ottenere il video come lo avrei voluto. È stata dura ma ce l’abbiamo fatta.

D.: Per il tuo ultimo singolo, Liquid Hands, uscito venerdì 27 agosto, hai registrato ritmi di batteria e basso e suoni subacquei in un lago ghiacciato in inverno. Quel video è stata un’altra sfida in termini di registrazione perché anche il suono è coreografato con le mani.

M.D.: Per questo video ho lavorato con coreografo professionista perché mi è venuta l’idea di suonare nell’acqua volevo anche che fosse interessante da vedere. Suonare in acqua senza aggiungere altro non era abbastanza per me. Siamo quattro batteristi nel video. All’inizio ho pensato di utilizzare dei ballerini pensando che l’effetto finale sarebbe stato migliore. I batteristi, però, sono molto bravi a stare sul tempo ed era quello che mi serviva in questo video. Ci siamo allenati molto, iniziando in autunno, quando tutto era ancora incerto a causa del lockdown. In inverno non avevamo niente da fare perché tutti i concerti erano stati cancellati, quindi sono andato avanti con i miei video. Sapevo che il lago sarebbe stato ghiacciato perché rimane così fino ad aprile, ma non vedevo l’ora di finire, anche perché a maggio avrei iniziato il ReCycling Tour. Considerando il freddo, all’inizio abbiamo provato con tute in neoprene ma non tenevano abbastanza caldo. Siamo, poi, passati a quelle fantastiche mute che si vedono nel video. Questo ci ha permesso di poter stare nel lago ghiacciato per qualche ora. Le mani, però, sono rimaste esposte al freddo. È stato davvero doloroso. La superficie del lago era ghiacciata e abbiamo dovuto romperla prima di iniziare la registrazione.

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