L’Orchestra della Svizzera Italiana in viaggio verso Oriente accompagnata da Anoushka Shankar e Manu Delago

(Raffaella Mezzanzanica – 11 novembre 2019)

OSI al LAC Lugano – 7 novembre 2019

Orchestra della Svizzera Italiana
Markus Poschner: direttore, Anoushka Shankar: sitar, Manu Delago: handpan e percussioni.

Programma
Igor Stravinskij (1882-1971) L’uccello di fuoco suite dal balletto op. 20 (versione del 1945)
Anoushka Shankar e Manu Delago Suite from Reflections

La musica è globale. Il suono è universale, senza confini.

A “Girls United!”, oggi, introduciamo una novità. Per la prima volta parliamo di un evento “live”, spostandoci all’estero. Ci troviamo, infatti, andati a Lugano in Svizzera, per assistere ad un evento unico nel suo genere.

L’Orchestra della Svizzera Italiana e il suo direttore Markus Poschner hanno deciso di trasportare il pubblico in un viaggio verso Oriente, partendo dalla Russia fiabesca e arrivando fino ai suoni ricercati, tradizionali e contemporanei dell’India attraverso il sitar di Anoushka Shankar, accompagnata dal grande virtuoso di handpan, Manu Delago.

Che cosa unisce la Russia delle fiabe tradizionali all’India? E, soprattutto, che cosa unisce una suite “classica” alla produzione musicale di Anoushka Shankar?
La risposta è molto più semplice di quanto si possa pensare: la ricerca di un suono globale, senza confini.
Russia e India, infatti, potrebbero apparire come mondi opposti: fredda e algida la prima, colorata e calda la seconda. E queste caratteristiche dovrebbero probabilmente riflettersi nei suoni tipici di questi Paesi.

Ne siamo davvero certi?

Lo spettacolo, la coesione, l’unione portati sul palco della Sala Teatro del LAC di Lugano hanno dimostrato, senza alcuna possibilità di smentita, che “poli opposti”, così come “suoni opposti e in apparente antitesi” si attraggono e creano nuovo realtà, nuove dimensioni, nuovi mondi.

Nella serata del 7 novembre la Sala Teatro del LAC è sold out, a conferma di una curiosità, di una voglia di esplorazione da parte del pubblico, sia tra gli abbonati, come ho avuto modo di accertare, sia tra coloro che hanno deciso di partecipare esclusivamente a questo particolare evento.

Il programma della serata è diviso in due parti. Nella prima, protagonisti assoluti sono l’Orchestra della Svizzera Italiana e il suo direttore Markus Poschner. Oggetto dell’esibizione è L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij, suite dal balletto op. 20 (versione del 1945).

E’ bellissimo vedere le mani dei violinisti e dei violoncellisti che si muovono ora lentamente ora con estrema enfasi sui propri strumenti. E’ interessante notare la maestria nella gestione di situazioni di apparente difficoltà, come la rottura di una delle corde dell’archetto.
In effetti, è da questi particolari che si riconosce la grandezza di un artista e, in questo particolare caso, la coesione tra i membri stessi dell’orchestra.
Colpisce, inoltre, la composizione stessa dell’Orchestra in cui sono presenti anche ragazzi e ragazze molto giovani.
Lo stesso direttore, Markus Poschner, di origine tedesca, è nato nel 1971 e ha maturato, nel corso degli anni, una vasta esperienza sia come direttore sinfonico che operistico.
Poschner dirige l’OSI dal 2015 e, nel corso di questi anni, l’ha portata ad essere riconosciuta sulla scena europea per interpretazioni innovative ma sempre  e comunque convincenti.
La scelta di questa unione, di questo viaggio in Oriente, ne è certamente un’ulteriore conferma.

La seconda parte si apre con l’ingresso sul palco dapprima di Manu Delago, il quale si esibisce all’handpan e percussioni, accompagnato dall’orchestra.
Manu Delago, nato a Innsbruck nel 1984, è un artista decisamente creativo. Le sue peculiarità artistiche e la sua particolare scelta di utilizzare l’handpan lo hanno portato a collaborare con artisti davvero “globali”, tra cui Bjork, la Cinematic Orchestra e, da diversi anni, anche con Anoushka Shankar.
Una curiosità che lo riguarda: ama moltissimo la montagna che rappresenta una delle sue principali fonti di ispirazione. Il suo ultimo lavoro Parasol Peak è il risultato di una spedizione spedizione sulle Alpi di sette musicisti da lui stesso guidati e con i quali si è poi esibito in alcune soste del tragitto a diverse altitudini. Ad accompagnare l’album anche un film, presentato in occasione di diversi festival, tra cui il Cervino Cinemountain e il Beyond Earth Film Festival.

“Potrei scrivere qualcosa di accattivante e che vende molto bene. Ma non mi basta: voglio sempre qualcosa di nuovo per me. Per questo sperimento: poi è il mio gusto personale a decidere” (cit. Manu Delago).

Dopo un paio di brani, entra in scena Anoushka Shankar, artista dall’innata eleganza:

  • elegante è il suo abito: un bellissimo abito tradizionale indiano color bordeaux, profilato da ricami dorati;
  • elegante è il suo incedere, a piedi scalzi,  verso il centro del palco, dove è già stato posizionato il sitar.
  • elegante e semplice è il trucco, quasi impercettibile. I capelli raccolti mettono ancor più in evidenza i lineamenti del viso.

Non appena inizia a suonare le prime note, accompagnata da Manu Delago e dall’OSI, la prima cosa a cui si possa pensare è come due strumenti (sitar e handpan) così lontani dalla tradizione classica, si inseriscano in realtà perfettamente in questo mondo. Sitar e handpan diventano un completamento dell’orchestra e viceversa.
E’ impossibile togliere lo sguardo da Anoushka Shankar e dal modo in cui le sue mani si muovono sulle corde del sitar.
Concentrandosi, poi, sul sitar si scopre uno strumento bellissimo, imponente ed è impossibile non domandarsi quanto uno strumento che sembra molto pesante possa in realtà emettere un suono così leggero e delicato.
E’ emozionante vedere il modo in cui Anoushka Shankar suona: massima concentrazione, occhi chiusi che si aprono solo per cercare lo sguardo di Manu Delago.
L’alchimia artistica tra i due è evidente: non sono necessarie parole, si parlano con gli occhi.
Non si sente mai la voce di Anoushka Shankar, se non negli infiniti ringraziamenti (“Thank you”) sussurrati allo scrosciare degli applausi, all’Orchestra e al direttore.
E’ incantevole quando sorride e si scusa nel momento in cui fa un po’ fatica ad accordare il sitar tra un brano e l’altro.
Rientrando in hotel a fine serata riesco solo a pensare a come l’esperimento dell’Orchestra della Svizzera Italiana sia perfettamente riuscito: la musica è davvero senza confini.
E non solo: questa unione tra musica classica, tradizione e contemporaneità ha dimostrato che la musica non ha bisogno di essere “urlata” e che gli strumenti possono anche solo essere “accarezzati”.

La musica “parla” e, a volte, non serve nemmeno avere un testo affinché un messaggio arrivi forte e chiaro.

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