Little Richard, the last King standing

(11 maggio 2020)

“Little Richard Penniman è nato a Macon, Georgia nel 1932, con un naturale talento per il canto e con una forte attitudine verso la musica, sviluppata in chiesa durante la sua infanzia. Il giovane Richard vince un contest indetto dalla RCA ad Atlanta che gli permette di firmare nel 1951 un contratto discografico. L’anno seguente si sposta a Houston per una nuova collaborazione, con la Peacock Records. Nel 1955, senza contratto torna a Macon e lavora come lavapiatti a una stazione di servizio Greyhound. Mentre lavora scrive ‘Good Goolly Miss Molly’ e ‘Long Tall Sally’ e risponde al suo severo capo con un provocatorio ‘Wop-bop-a-loo-mop alop-bom-bom tutti frutti!’. Little Richard ha influenzato tanti artisti, incluso Bobby Darin e molte rockstar britanniche. Ha rappresentato la parte più oltraggiosa del rock and roll. Non è qui con noi stasera a causa di un incidente automobilistico in cui è stato coinvolto. La sua energia ora la ascoltiamo da questo film.” Ciò che avete letto fin qui è la fedele traduzione del discorso di presentazione, a tratti discutibile, che Ahmet Ertegun, cofondatore della Atlantic Records e della Rock’n’Roll Hall of Fame di Cleveland, tenne prima di cedere il microfono a Roberta Fleck in occasione dell’inserimento di Penniman nella neonata Hall of Fame. Con poche altre parole, non molto meno formali, la Fleck si disse onorata di celebrare Little Richard e a sua volta passò la parola al cognato giunto in frac per ritirare il premio. Era il 1986, l’anno in cui la stessa onorificenza venne concessa ai grandi della prima generazione in riconoscimento del loro contributo alla creazione del Rock’n’Roll e del Soul: Chuck Berry, James Brown, Ray Charles, Sam Cooke, Fats Domino, gli Everly Brothers, Buddy Holly, Jerry Lee Lewis e Elvis Presley.
Tre anni dopo, nel 1989, venne chiesto proprio a Little Richard di annunciare l’inserimento nella Hall of Fame del compianto Otis Redding, fan dichiarato di Richard e suo concittadino. Lo show di Little Richard fu a dir poco esilarante, tenne il palco con debordante simpatia, spesso autoironica, intonando egregiamente alcuni successi di Redding, regalando a Mick Jagger, Keith Richards e Bruce Springsteen e tutto il pubblico presente, composto da artisti e addetti ai lavori, una serata da ricordare. Fu un’occasione, l’ennesima, per dimostrare al mondo intero il talento che nessuno ha mai potuto contestargli, la sua attitudine istrionica e la naturalezza con la quale sapeva prendersi sempre il centro del palco. Eppure, nonostante la sua conclamata grandezza, si deve tristemente constatare che a differenza di Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Fats Domino e Elvis Presley, non gli è mai stato dedicato un solo album tributo da parte di suoi colleghi e molto scarso si è dimostrato anche l’interesse nel pubblicare libri che raccontassero le sue gesta. Se il numero di biografie pubblicate su un artista può essere un valido indice di riconoscimento, è confermata allora la sensazione che Little Richard sia stato tra i più sottovalutati della sua generazione. Solo un paio di libri, il criticato “LITTLE RICHARD, The Birth of Rock’n’ Roll” di David Kirby (2010) e “The Life And Times Of Little Richard” di Charles White, l’autobiografia autorizzata pubblicata nel 1985 e ristampata un paio di volte. Il volume di White è ricco di curiosità e aneddoti che riguardano la sua famiglia composta da ben 12 figli, una mamma affettuosa e un padre duro, la sua sessualità, le esperienze personali e musicali, le goliardate, gli eccessi e i peccati di cui un giorno si pentirà, come la rovente nottata passata con Buddy Holly e una spogliarellista. Da questo libro nel 2000 verrà tratto un film per la televisione che, malgrado abbia fatto guadagnare un Emmy Award al primo attore Leon Robinson, delude per una regia più attenta allo show d’indirizzo televisivo che alla valorizzazione dell’artista soggetto dell’opera.
Fortunatamente al nostro non sono a mancati altri tipi di soddisfazione. Nel 1985 il film “Su e giù per Beverly Hills” ha rilanciato l’immagine e riavviato la sua carriera cinematografica attraverso una serie di ruoli secondari che hanno contribuito a mantenerlo popolare e ad aprirgli in seguito la strada a una serie di partecipazioni in serial televisivi. Ha cantato per l’insediamento di Bill Clinton, ai matrimoni di Cyndi Lauper, Little Steven, Bruce Willis e Demi Moore, ha partecipato a produzioni discografiche dedicate a Johnny Cash e Jerry Lee Lewis, si è scoperto autore di canzoni per bambini e ha continuato ad esibirsi fino al 2012 quando ha annunciato che si sarebbe ritirato definitivamente dall’attività live, salvo poi fare un’altra uscita al festival Viva Las Vegas nel 2013. E’ da anni a riposo, partecipa solo a meeting religiosi, ogni tanto si fa accompagnare lungo il boulevard che a Macon gli hanno nominato, a casa si gode il suo Grammy alla carriera e vive il suo sereno tramonto con i mille ricordi di una carriera costellata di esperienze forti, intense, ma anche di momenti difficili.
Ricorderà l’eccitazione che lo pervase quando vide arrivare Bumps Blackwell, l’uomo inviato da Art Rupe, il boss della Specialty Records, convinto dall’ascolto di un nastro che Richard gli inviò su consiglio del suo amico Lloyd Price. Mr Rupe chiese a Blackwell di portare Richard negli studi di Cosimo Matassa a New Orleans per registrare qualcosa di interessante. Da quelle prime session ne uscì ‘Tutti Frutti’, vendette 200 mila copie in una settimana. Era il novembre del 1955, cinque mesi prima che Elvis diventasse famoso con i successi della RCA, la strepitosa canzone non-sense rimase ben 22 settimane in classifica. Da allora fino al 1958, quando decise di interrompere la sua carriera artistica, Little Richard per la Specialty pubblicò undici best-seller, la maggior parte dei quali finiti nella Top Ten.
Come Jerry Lee Lewis e Buddy Holly, il periodo più importante della sua carriera si consumò in poco più di due anni. Un’incredibile concentrazione di successi che rimarranno nella storia della musica rock, “Long Tall Sally”, “Slippin’ and Slidin’”, “Rip It Up”, “Ready Teddy”, “Lucille, Send Me Some Lovin’”, “Jenny Jenny”, “Miss Ann”, “Keep A Knockin’”, “Good Golly Miss Molly”, tutti usciti dallo studio di Matassa, che mise a disposizione di Richard la house band diretta da Dave Bartholomew, il fedelissimo collaboratore di Fats Domino. Al culmine del suo successo, nel 1958, la decisione improvvisa di ritirarsi dalle scene, conseguenza di un momento di panico che lo convinse a troncare la vita di eccessi e peccati fin lì condotta per affrontare un percorso interiore che lo avvicinasse a Dio all’interno dell’Oakwood College di Huntsville, Alabama, dove rimase chiuso fino a tutto il 1962.
Quando nel 1964, dopo aver pubblicato un paio di dischi gospel, ritenne di poter tornare a fare rock and roll, trovò un mondo completamente cambiato, l’invasione di artisti britannici aveva spazzato via quel che rimaneva dei teen idol e la Gran Bretagna per la prima volta nella storia della discografia superava in vendite gli Stati Uniti. Little Richard adeguandosi dal punto di vista stilistico a quanto in voga nel periodo e pur riuscendo a offrire un discreto livello qualitativo, non si avvicinò nemmeno al grado di popolarità raggiunta nella seconda metà degli anni Cinquanta. Fortunatamente il rinnovato interesse verso il rock and roll sul finire del seguente decennio riesumò tutti i giganti della prima generazione ai quali venne offerta la possibilità di esibirsi in arene e stadi e davanti alle telecamere di televisioni da entrambi i lati dell’Atlantico.
Gran parte dei dischi prodotti negli anni 60 furono realizzati per etichette minori, mai ristampati e quindi attualmente di difficile reperibilità. Peccato, perché alcuni di essi meriterebbero di far parte della collezione di tanti suoi fan, molti ancora oggi. Nelle interviste che ci hanno rilasciato Mike Stoller, il mitico autore di tanti classici del rock and roll, e Ian Paice e Roger Glover dei Deep Purple, alla domanda su chi fosse il più importante della prima generazione di rocker, senza esitare risposero Little Richard. L’altro Re. Il più trasgressivo, quello che meglio si prestava ad essere odiato dall’establishment conservatore e bigotto, in quanto gay oltre che negro. Little Richard e Jerry Lee Lewis, the last men standing.

Maurizio Faulisi
Carmelo Genovese

(Scritto due anni fa per la rubrica Good Rockin’ Tonight, ospitata dalla rivista Classic Rock)

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